DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
Un rapporto di polizia riferisce che dopo l’indulto, votato dal Parlamento il 31 luglio del 2006, nel periodo agosto-ottobre si è registrato un aumento di 1.952 rapine e di 28.830 furti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Dato ancor più significativo se tien conto che prima dell’indulto questi fatti criminosi erano in flessione.
Visitando Rebibbia il Presidente Napolitano ha difeso l’indulto come “passo eccezionale ma necessario”.
Poi ha affermato che “il più formidabile strumento di prevenzione contro il crimine è diffondere fra gli italiani la cultura della legalità”. Già, ma come si diffonde una ‘cultura della legalità’ se chi delinque o ha tendenza a farlo sa che ogni tot anni avrà a disposizione un indulto, un’amnistia, un condono?Il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, replica che i detenuti che hanno beneficiato dell’indulto e poi sono tornati in carcere per aver commesso un altro reato sono solo il 12%. Ma il 12% non è affatto poco in soli otto mesi, bisognerà vedere che cosa succederà nei prossimi anni.
Inoltre Mastella parla di recidivi che sono stati individuati ed arrestati, non, ovviamente, di quelli che non sono stati individuati e che presumibilmente sono molti di più perchè in Italia il tasso dei delitti “commessi da ignoti” è altissimo, in particolare proprio per i furti e le rapine.
Ma la questione di fondo non è nemmen questa. La pena non ha solo una funzione retributiva, cioè di punire il reo, ne ha una deterrente, di “controspinta alla spinta criminosa” per dirla col grande penalista Francesco Antolisei, per dissuadere chi ha tendenze criminali dal metterle in atto. Ed è evidente che, indulti, amnistie e condoni hanno l’effetto esattamente opposto.
Che ‘cultura della legalità’ si può diffondere in un Paese dove l’assassino di un commissario di polizia, Adriano Sofri, che deve scontare ancora dieci anni della sua pena è libero perchè ritenuto ‘incompatibile’ col carcere a causa delle sue condizioni di salute, che peraltro non gli impediscono di scorazzare per l’Italia, gode dell’amicizia di importanti uomini politici e di giornalisti, viene abbracciato e baciato in pubblico da un ex Presidente della Repubblica ed è diventato, per meriti penali, editorialista del più diffuso settimanale di destra e del più prestigioso quotidiano di sinistra? Con quale autorità e credibilità si può fare la voce grossa con gli ultras che a Catania hanno ucciso un poliziotto, peraltro in uno scontro frontale e causale e non in un vilissimo e premeditato agguato sotto casa?
Quale ‘cultura della legalità’ si può diffondere in un Paese dove, dopo che la Magistratura, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana aveva chiamato al rispetto della legge cui tutti siamo tenuti anche esponenti, politici ed economici, della classe dirigente, questa stessa classe dirigente, soprattutto di destra, bisogna pur dirlo, ha condotto, e ancora conduce, in prima persona e con l’appoggio dei suoi media, una devastante campagna di delegittimazione della Magistratura, per cui i colpevoli sono diventati i magistrati, i ladri, le vittime e, eletti e rieletti in Parlamento, anche i giudici dei loro giudici?
Che ‘cultura della legalità’ si può diffondere in un Paese dove per i reati finanziari, che sono quelli commessi dal ‘lorsignori’, si sono escogitate leggi ipergarantiste che rendono impossibile, di fatto, colpire i responsabili prima che il processo cada sotto la mannaia della prescrizione? Che ‘cultura della legalità’ si può diffondere in un Paese dove ci vogliono due lustri per condannare a sei anni un imputato di gravi reati poi costui fa un solo giorno di carcere?
Ma basta. Smettiamola con queste menzogne, con queste pantomime, con le ipocrisie della ‘giornata della memoria’. L’Italia è un Paese che fa solo venir voglia di delinquere. E per resistere alla tentazione bisogna essere dei santi o, più probabilmente, dei fessi.
Massimo Fini (www.massimofini.it)
Fonte: http://gazzettino.quinordest.it
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11.05.2007