L'INCONSISTENZA DEL FEDERALISMO IRACHENO

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DI LAITH SAUD

Il 16 marzo il parlamento iracheno si è riunito per convocare la sua prima sessione ufficiale dei deputati del cosiddetto nuovo Iraq.
Il nuovo governo ha dovuto ovviamente affrontare molti problemi come la nomina dei ministri, la scelta di un consiglio presidenziale e chiaramente la ricerca di un accordo sul primo ministro.

Comunque la sessione è stata macchiata da una sottile e ancor più preoccupante omissione: cioè non ha fatto riferimento allo stato di occupazione straniera dell’Iraq.
Sebbene l’occupazione oggi continui ad essere la forza più clamorosa e distruttiva nel paese, l’assemblea nazionale ha invece messo all’ordine del giorno la divisione dell’Iraq in uno stato federale.

Sono tre le caratteristiche principali strutturali ed ideologiche di un Iraq federale che non sono state colte dall’assemblea: a) i partecipanti non hanno capito la natura del federalismo, b) se bisogna riconsiderare la struttura dell’Iraq, allora perché non farlo per l’intero mondo arabo? e c) un Iraq federale perpetua l’occupazione.

Chi preferisce un Iraq federale sostiene che i curdi non possano e non debbano essere governati dalla maggioranza araba del paese. E subito ci confrontiamo con il primo problema di questa analisi; nonostante si sostenga che l’Iraq sia rimasto unito, il paese è stato diviso lungo linee etniche.

Tuttavia le divisioni etniche non sono la base del federalismo. Il federalismo è una dottrina politica che permette di autogovernarsi a livello locale. Gli Stati Uniti, culla ideologica del cosiddetto nuovo Iraq, sono effettivamente uno stato federale, ma non sono divisi da questioni etniche o religiose.

Proviamo ad immaginare che cosa succederebbe se degli stranieri proponessero che gli Stati Uniti venissero rimodellati, sistemando la più grande popolazione latina a sud ovest o la popolazione ebraica sulla costa orientale.

Gli Stati Uniti, culla ideologica del cosiddetto nuovo Iraq, sono effettivamente uno stato federale, ma non sono divisi da questioni etniche o religiose.
Mentre George Bush incita gli iracheni a pensare in modo etnico e settario, negli Stati Uniti promuove una cultura civile e politica che dissolve proprio queste differenze.

La base del federalismo è la cooperazione economica e militare. Gli stati che compongono l’America si sono unificati per formare un blocco economico e militare che unito doveva essere più potente che diviso.

In Iraq, l’Assemblea Nazionale sta per fare il contrario – dividere il paese sulle sue esigenze etniche economiche e sulle sue truppe, rendendo uno stato che un tempo era forte, e uno dei più progrediti nella regione, un conglomerato debole e fragile.

Se si permette alla logica di un federalismo etnico di mettere le sue radici in Iraq, allora perché non si prova a seguire questa logica fino alla fine? Se l’etnía e la lingua sono alla base dell’unità politica, e non i confini dello stato e le infrastrutture civili, allora cosa c’è alla base della divisione del popolo arabo dell’Arabia, dei paesi mediorientali, del Nord Africa e dell’Iraq?

La nuova configurazione dell’Iraq non è stata accompagnata da una più ampia riforma nella regione. In passato i tentativi di consolidare le risorse e le qualità del popolo arabo fatti sia da nazionalisti che da islamisti sono sempre stati screditati e dichiarati estremisti e reazionari.

È chiaro che l’unificazione araba non è all’ordine del giorno di nessun governo nella regione. Qui voglio solo precisare l’inconsistenza delle priorità e del livello di comprensione politica.

Alcune potenze considerano politicamente importante dividere i popoli del mondo islamico in base a linee etniche, mentre l’unione di questi popoli in base a linee simili viene costantemente denunciata.

Gli europei, i latinoamericani e gli asiatici hanno tutti perseguito una consolidazione economica (e anche militare) per essere entità più potenti in un mondo di grossi blocchi economici, mentre il mondo arabo è stato incoraggiato a fare l’opposto.

Mentre George Bush incita gli iracheni a pensare in modo etnico e settario, negli Stati Uniti promuove una cultura civile e politica che dissolve proprio queste differenze.
È la stessa inconsistenza di quando i siriani in Libano sono stati chiamati forza di occupazione straniera, e i combattenti arabo-musulmani non iracheni della resistenza in Iraq sono stati descritti come terroristi stranieri, invece che come una condivisa identità arabo-musulmana.

Lo ripeto, non sto dicendo che la divisione dell’Iraq è accettabile se è accompagnata dall’unità degli arabi, sto solo invitando a riflettere sul fatto che la dottrina del federalismo è chiaramente stata utilizzata in modo inconsistente.

Bisognerebbe aggiungere che se una stabilità reale deve permeare la regione, il mondo arabo dovrebbe rigorosamente perseguire una consolidazione economica e militare. Ad ogni modo se il dibattito in Iraq dovesse continuare così, le conseguenze sono certe: l’Iraq non sarà più una parte di questa discussione, ma piuttosto una delicata entità costretta in una struttura politica che è stata usata in maniera selettiva.

Per finire, di fatto la formazione del federalismo sta perpetuando l’occupazione illegale del paese. Il motivo dietro al mantenimento di una milizia curda al nord è che i curdi abbiano in questo modo un entità militare autonoma che possa “proteggerli” dagli arabi.

Il fatto che ci siano ancora delle milizie etniche non è espressione di libertà politica e pluralismo in un nuovo Iraq, quanto piuttosto la testimonianza del sospetto e dell’ostilità che sono cresciuti tra le fazioni del popolo iracheno.

In mezzo a questa atmosfera di sfiducia, gli Stati Uniti sostengono di essere una forza che funge da arbitro e hanno costantemente parlato della minaccia di una guerra civile come base per continuare ad occupare il paese.

Rimane oscuro il motivo per cui in Iraq – una società ben integrata nella quale ci sono sempre stati numerosi matrimoni misti tra arabi sunniti, arabi sciiti e curdi – dovrebbe scoppiare una guerra civile; ciò nonostante questa mitica guerra civile è stata considerata una minaccia più grande dell’attuale occupazione illegale del paese.

Per noi osservatori comunque, la più grande ironia è che mentre l’Iraq viene diviso lungo linee linguistiche in nome della libertà e della stabilità, nessuno dei maggiori politici in Iraq si è ancora rivolto in maniera adeguata all’occupazione straniera anglo-americana.

Riflettendo sulla direzione che sta prendendo il nuovo parlamento iracheno, ci si chiede se si rivolgeranno mai all’occupazione o se la nuova costituzione federale creerà un senso di estraneità tra gli stessi iracheni.

Laith Saud è ricercatore e professore accademico negli Stati Uniti.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Aljazeera.

Fonte:www. http://english.aljazeera.net/
Link:http://english.aljazeera.net/NR/exeres
/117378DC-6737-464F-8777-7769B272AB9A.htm
16.05.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di OLIMPIA BERTOLDINI

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