DI GIULIETTO CHIESA
Metti insieme i dettagli ed ecco emergere il ritratto della situazione, sempre più netto con il passare dei mesi, sempre più inquietante. Il secondo mandato di George Bush sarà come il primo, più duro del primo. L’Impero non solo non dà segni di volersi fermare a riflettere, ma procede, anzi accelera; travolge chi si contrappone…
Condoleeza Rice, il nuovo segretario di Stato, torna in Europa per la seconda volta in pochi mesi. Come un’Erinni infuriata mette piede a Mosca, apparentemente per preparare il prossimo vertice tra Bush e Putin, ma in sostanza per bacchettare sulle dita il presidente russo, sempre più sconcertato.
Poi va a Vilius per incontravi i leader dell’opposizione bielorussa a Lukashenko. E, nel corso dell’incontro, proclama che la Bielorussia è “l’ultima dittatura rimasta in Europa”. Alza il dito in segno di minaccia e annuncia che le elezioni del prossimo anno “non dovranno essere una farsa”. Attento, dice all’ultimo dittatore dell’Europa, ti terremo d’occhio, tutta la comunità internazionale ti terrà d’occhio.
E la comunità internazionale, in questo caso i “nuovi europei-americani”, sono già pronti a mandare aiuti, a scatenare l’assalto verbale, a organizzare la protesta. Per le elezioni irachene gli applausi preventivi, senza osservatori internazionali, per quelle bielorusse è già pronto il verdetto negativo, con o senza osservatori internazionali.
I signori bielorussi che incontrano la Rice, i futuri governanti di Minsk, ormai dotati dell’investitura imperiale, escono giubilanti dalla riunione e annunciano, a loro volta, che “vi sarà una pressione di massa per il cambiamento”. Condoleeza Rice dirà poco dopo che non era sua intenzione suggerire con quali metodi si debba liquidare Lukashenko. Nel senso – si capisce – che tutti andranno bene. Si annuncia dunque una nuova “rivoluzione democratica” in Europa. Resta solo da definirne il colore, perché l’arancione è già stato occupato dall’Ucraina di Viktor Jushenko.
Lukashenko
Un tempo lontano queste dichiarazioni, questi atti, sarebbero stati giudicati forme inaccettabili di ingerenza dall’esterno negli affari interni di un paese sovrano. Espressioni della teoria e della pratica della “sovranità limitata”. Era in questi termini che venivano bollate a parole di fuoco le “ingerenze” sovietiche nella vita dei paesi fratelli, le pressioni, le invasioni.
Adesso tutto questo è diventato non solo legittimo ma – direbbe Fassino – doveroso, in quanto espressione limpida e commendevole della difesa dei diritti umani violati dai vari dittatori. Difesa di cui è incaricato l’Impero, che – come tutti ormai sanno – è impegnato su tutti i fronti del pianeta come il garante principale, se non l’unico.
L’ingerenza sovietica di un tempo era grossolana, palese. Quella di oggi, invece, ha l’aria di una spontanea e massiva protesta popolare. Sembra che avvenga per caso, come effetto di una lunga sedimentazione democratica autonoma e autoctona. Naturalmente non è vero niente. In Bielorussia, come in Ucraina, come in Georgia, come nella ex Jugoslavia, scorrono fiumi di denaro, a sostegno degli oppositori; si organizzano a centinaia, a migliaia, borse di studio; si pagano viaggi e soggiorni, si finanziano giornali e radio; si inaugurano fondazioni , si stampano bollettini, si promuovono campagne.
Di fronte a questo fiume di “solidarietà democratica” dall’esterno i regimi dei dittatori non sanno che fare. Se lasciano libero campo al flusso “democratico” eversivo ne escono travolti. I loro giornali e le loro televisioni, rigorosamente monopolistici, non sono capaci di fronteggiare questo tipo di offensiva. Sono armi spuntate. Hollywood non l’hanno inventata loro e loro non hanno Wall Street. Se cercano di contrastare, poiché non sono capaci di farlo con mezzi democratici, ma anche perché sono più poveri e privi di tecniche e di quadri, di know-how e di intelligenza, finiscono per esasperare la censura, per ridurre ulteriormente le libertà civili, cioè per essere ancora più odiosi (al grande pubblico occidentale) di quanto già non siano.
Non tutti hanno la fortuna di essere isole, come Cuba, e non tutti hanno la forza e il prestigio di Fidel Castro. Ma la situazione è identica. Il dollaro, anche se cade, può soffocare chiunque. Porta la “libertà” per i potenti, che ha l’aria di essere, a prima vista, la libertà per tutti. Dopo se ne accorgeranno, perdendo l’assistenza sanitaria gratuita, perdendo le pensioni e gli asili nido gratis, perdendo istruzione e cultura sotto l’ondata delle Fox tv americane. Ma al momento i giovani cui piace il rock e il pop, e i film americani, questo pensano. Non si può fermare la degradazione galoppante dell’incultura di massa. Ecco perché Lukashenko cadrà, come è caduto Kuchma, come è caduto Milosevic, o Shevardnadze, e, primo tra tutti, Mikhail Gorbaciov.
Il tutto in nome dei valori universali che, certo, sono violati dai dittatori in attesa di pagare il loro pedaggio, ma la cui graduatoria, quanto a sanguinarietà, è stabilita rigorosamente dall’impero. Adesso, semplicemente, tocca a Lukashenko.
Putin è in lista d’attesa e, se non farà ciò che gli viene detto, un po’ più in là toccherà anche a lui. Ma non subito: per ora lo si tiene sotto osservazione, mostrandogli il viso stizzito di Condoleeza, appena prima delle solite pacche amichevoli sulle spalle che gli somministrerà il texano, secondo la ben collaudata (con Boris Eltsin) tattica della doccia scozzese.
Nel frattempo si procede, a tutta velocità, al consolidamento delle conquiste così realizzate. L’Ucraina è appena passata nel campo occidentale, con un pezzo d’Europa esultante (polacchi e baltici in testa a tutti) che già si fa sotto la NATO, proponendo a Kiev di associarsi senza perdere tempo. Jushenko è appena andato negli USA per concordare l’ingresso.
Domanda: ma a che serve? A chi serve? Risposta: solo all’Impero che ha sete di vittoria e non ha tempo da perdere. Altre scadenze incombono e l’Ucraina è solo un pedone di turno da mangiare sulla grande scacchiera. Nemmeno il più importante, ma simbolico. La Russia è la torre più importante, per ora è sufficiente metterla in angolo e tenerla in soggezione.
Non c’è spazio per la distensione in questa politica imperiale. Non c’è necessità di alcuna benevolenza. Meglio, anzi, non concedere respiro. E i Quisling, in giro per l’Europa, sono centinaia. Perché non usarli?
Che farà la Russia? Poco può fare e nemmeno quel poco sa fare. In Ucraina, precisamente in Crimea, a Sebastopoli, ci sono le navi russe, la flotta russa del mar Nero. Come si farà? Avremo un paese della NATO che ospita contemporaneamente i resti dell’armata ex avversaria? No. Prima bisognerà cacciare i russi. Ma l’accordo., a suo tempo firmato da Eltsin e Kravciùk, prevede che i russi possano restare almeno fino al 2017, pagando l’affitto s’intende. Così è già cominciato il tira e molla, che presto diventerà polemica feroce. Con gli ucraini che chiedono ai russi, la consegna di tutti i sistemi di rilevazione idrografica e del controllo della navigazione della costa, attialmente in mano della flotta russa. I russi rispondono che una flotta che si rispetti, anche se arrugginita, non può privarsi degli strumenti essenziali.
Ma è già chiaro come finirà: con un graduale ritiro delle navi russe nel porto di Novorossijsk, l’ultimo rimasto ai russi in tutto il Mar Nero. Lo stesso giorno la bandiera della NATO comincierà a sventolare sugli storici moli russi di Sebastopoli.
La Russia di Putin e degli oligarchi suoi amici potrà erigere un’unica barriera di resistenza: quella energetica. Kiev consuma il gas russo: glielo faranno pagare di più. Kiev consuma il petrolio russo: glielo centellineranno. Kiev ricatterà Mosca minacciando di non far passare il gas russo verso l’Europa. Che sarebbe una catastrofe per la Russia che, non producendo nient’altro, resterebbe a secco di valuta. Ma sarebbe una catastrofe per la Germania e per il resto dell’Europa che consuma il gas russo.
Lo scontro non avverrà, dunque, perché ci sono troppi interessi coalizzati a impedirlo, ma Russia e Ucraina resteranno sul piede di una guerra commerciale logorante. L’Impero veglierà sui suoi domini litigiosi, ammonendo, quando occorre, chi dovesse disobbedire. Intanto si prende l’Ucraina sotto il suo diretto controllo. In attesa di portare via a Putin anche la Bielorussia.
Dal Cremlino vengono flebili proteste. Il ministro degli esteri del Cremlino ricorda che tra Russia e Bielorussia è in corso un progetto di unificazione e che, quindi, mettere nel mirino la Bielorussia significa mettere nel mirino anche la Russia. Condoleeza risponde proponendo che la Russia accetti manovre militari della NATO sul suo territorio: non si sa mai, qualche emergenza può sempre succedere, qualche atto terroristico contro centrali nucleari, qualche rivolta incontrollabile. E il Cremlino, tra lo stupore generale, sembra accogliere la proposta. Il suo ministro degli esteri, Sergej Lavrov, si reca anche lui a Vilnius, al seguito di Condoleeza, che complotta per abbattere Lukashenko, e si compiace delle nuove intese tra Russia e NATO, perché sono state prese “senza fare ricorso all’ideologia”.
Bravo! Ha capito tutto, lui. Ha solo un’eccezione da fare: “La Russia – mormora – non è favorevole a un cambio di regime a Minsk”. E se il cambio di regime avverrà ugualmente – viene da chiedere – cosa farà la Russia? Niente farà, perché si è già arresa. La sua oligarchia è interessata essenzialmente alla propria sopravvivenza e di questo tratterà con l’Impero.
Giulietto Chiesa
Fonte:www.giuliettochiesa.it
23.05.04