Il doppiogiochismo iraniano
Il vittimismo genocida israeliano
Il terrorismo “islamico” USA
(con una coda velenosa: la stampa “di sinistra”)
DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane fuorilinea
Fascisti, razzisti, piduisti, spioni, velinari venduti, servi sciocchi, utili idioti, opportunisti, complici e apologeti di crimini e, fieri e felici in questa compagnia, giornalisti al servizio dell’affetto da vespite acuta Bertinotti come Ivan Bonfanti, Guido Caldiron e Stefania Podda: ecco il parterre de monstres, la crema politica e mediatica nazionale che ha segnato la colossale toppata dell’infiltrato CIA (confesso) Giuliano Ferrara e del suo pinocchietto Magdi Allam (a forza di menzogne e provocazioni vicedirettore del Corsera) davanti all’ambasciata iraniana. C’era, tra la patetica parodia pecorariana del giorno prima (foglia di fico sulle vergogne) e la porcata del 3 novembre – prolungamento cadaverino del giorno dei morti – tutta l’assenza degli italiani e tutta la presenza di una classe politica ridottasi a oscenità fallaciana. Una classe politica finalmente espressasi in tutta la sua autentica vocazione all’orbace da tirapiedi (ieri dei nazisti, oggi dei nazisionisti di Washington e Tel Aviv): sicofante, palo, serva e trombettiera di uno Stato (attenzione, “Stato”, non “popolo”, ha detto il pur sempre provocatore Ahmadinejad) razzista, fondamentalista, guerrafondaio e genocida.
Bertinotti, tu che furbetto te ne stavi alla finestra sventolando il fazzolettino di seta, cosa ne dici dei tuoi alleati nell’Unione che scelgono come unico Stato per cui spendersi a dirotto quello che si è costruito ed espanso sui corpi e sulla terra di milioni di espropriati, cacciati, torturati, strangolati, massacrati a suon di attentati terroristici e poi di aggressioni con il più sofisticato armamentario del mondo (già, per te niente al confronto con quei “disperati criminali” dei kamikaze…)? Proprio quello Stato che, lui sì, un popolo lo ha davvero cancellato dalla mappa, un altro sta collaborando a estirparlo e altri ancora ha programmato apertamente di obliterare. Che ne dici del tuo compare opusdeista e ontologicamente inciucista D’Alema e del suo ciambellano Fassino che se ne stavano beati e coccolati da striscioni con su scritto “Brigate ebraiche”, o “Orgogliosi di essere sionisti”, dietro ai quali il più distratto dei passanti avrebbe potuto percepire l’odore di oceani di sangue succhiato da moribondi, sentire l’urlo di un popolo in agonia, annichilito dallo stupratore, tradito dai suoi stessi rappresentanti, intravedere desertificazione di civiltà?
Grazie allo spione confesso, dunque traditore del suo paese e famiglio di un governo straniero, per Sabina Guzzanti “fetecchia”, Ferrara, “giornalista” goebbelsiano, volgare e maleducato, oscanemente deformato dalla bulimia sia di materia che di veline Cia-Mossad, oltre al dato del definitivo disvelamento dell’identità dei protagonisti dell’incombente Stato di polizia à la Sharon, abbiamo avuto anche quello dello svergognamento dei nostri “operatori dell’informazione”. Non se ne è salvato nessuno e proprio nell’occasione in cui le celentaniane verità e ragione stavano lì limpide, enormi, alla portata del più miope degli occhi, del più anchilosato dei braccetti dei nostri scribacchini. Salvo il solito Manifesto, particolarmente coraggioso di fronte alla canea del vittimismo sanguinario sionista, che però anche stavolta la sua brava caduta non ce l’ha voluta risparmiare. Ed è stato quando si è lasciato rifilare due articoli – “Le divisioni di Tehran” e “L’Iran ha l’atomica? Sì, grazie agli USA” – di tale Farian Sabahi, noto disinformatore-intossicatore a sostegno delle truffe imperialiste, che vaneggia di armi nucleari che l’Iran avrebbe acquistato dal Kazakistan con il beneplacito USA. La notizia è talmente idiota e propagandistica da non aver fatto neanche alzare un sopracciglio a quelli dell’AIEIA che, pure, hanno esaminato ogni zolla del territorio iraniano. Le “fonti”, poi, sono di assoluta affidabilità, all’americana: “Un italiano esperto del settore energetico” e “un medico iraniano che non torna in Iran da ventisette anni”! Avrebbero dovuto, queste “fonti”, essere motivo sufficiente per far cestinare l’evidente velina. Tanto più che il personaggio si era già esercitato, approfittando anche qui del candore (?) dei responsabili, su “Avvenimenti”, qualche tempo fa, con un sedicente reportage sull’Iran che veniva descritto, con l’ausilio delle solite “fonti” (ovviamente Mossad-Cia), come ricettacolo di terroristi Al Qa’ida (a dispetto del fatto che Al Qa’ida è un reparto della Cia).
Non mette conto parlare della stampa padronale di qualsivoglia schieramento si voglia definire. Lì non c’è giornalismo, ma solo obbedienza variamente articolata, esibita, mimetizzata. Si va dall’universale accreditamento di Israele, massima potenza nucleare, razzista, fondamentalista e guerrafondaia nella regione, come vittima storica e sempiternamente attuale, avvalorando una strategia di perfida falsificazione che tramuta un lupo dalla voracità inestinguibile (mi perdoni il nobile e sociale animale) in agnello assalito per ogni lato dalla storia e dalla geografia. A questa falsificazione, grazie alla quale l’olocausto diventa la copertura per l’attuazione di un progetto senza uguali di sterminio di popoli e squartamento di paesi ed un ricatto morale per l’intera umanità, non v’è chi non renda tributo. Con la formula indebita dell’antisemitismo, utilizzata a mo’ di attacco termonucleare, proprio dai razzisti antisemiti incuneatisi in Palestina, contro chiunque osi dubitare della bontà della macelleria militare, economica e sociale da loro perpetrata dal 1948 a oggi, non solo in Medio Oriente, le “brigate ebraiche”, “orgogliose si essere sioniste”, hanno cucito la bocca e lobotomizzato il cervello a tutti. E così il proposito reiterato da 26 anni in Iran di non riconoscere lo Stato di Israele – cioè il suo impianto sionista, razzista e colonialista – viene deformato nel progetto di cancellare il popolo israeliano dalla faccia della terra. La ricerca, legittima per chiunque non sia inviso agli USA o a Israele, di energia nucleare per i propri bisogni industriali, diventa la minaccia atomica a un paese che, nell’area, è l’unico a minacciare da decenni con 400 ordigni nucleari e vettori avanzatissimi di cielo, terra e mare, non solo la nazione araba da disintegrare e, comunque, da bloccare nella sua aspirazione storica e fisiologica all’ unità, nel segno della laicità e della giustizia sociale, ma il pianeta tutto.
Ma è la stampa di sinistra, radicale o conformista, a coprirsi di cretinaggine , o di collateralismo, ostinata ormai quanto quella capitalista nell’ignorare nessi, storia e retroscena e quindi a pervertire il ruolo stesso del giornalismo. Ecco il tonitruante ingresso nel coro sionista di un rifondarolo come Ramon Mantovani (uno, a forza di scimmiottamenti delle balle Nato, dei becchini della Jugoslavia), degno predecessore nella carica di responsabile esteri dell’ancora più inconsapevole Gennaro Migliore, con il suo tambureggiare sulla “feroce dittatura iraniana”. Ecco l’aperto apprezzamento per le dichiarazioni di Ahmedinejad da parte di chi (Campo Antimperialista), conseguentemente, era arrivato a esaltare l’azione “antimperialista dei patrioti afgani del’11 settembre”, riuscendo in un colpo solo a dire una puttanata doppia (che erano musulmani gli attentatori e che erano patrioti). In mezzo ecco coloro che, con un minimo di sforzo analitico, comunque zoppicante, accreditano le cattive intenzioni di Ahmedinejad e propongono foschi scenari di imminente attacco occidentale al suo paese. Ne esce in positivo solo SERGIO CARARO DI CONTROPIANIO , che, quanto meno, articola qualche introspezione sui universalmente segretati connubi tra Iran e USA. Ne andrebbe tratta l’irrinunciabile conclusione che non è l’Iran dei fratelli musulmani delle teocrazie evangeliche o ebraiche ad essere in prima fila per un attacco imperialista, ma che forse tutto questo chiasso serve a nascondere i preparativi di aggressione alla
SIRIA (già ben avviati con il provocatore di turno di KOFI ANNAN, DETLEV MEHLIS, che, quasi fosse un cialtroncello qualsiasi della vicenda Mitrokin, confeziona i suoi rapporti sull’assassinio Hariri con la fandonie prezzolate di un malvivente ampiamente pregiudicato).
E’ curioso dover constatare che è proprio un giornalista israeliano, di solito non esente da ambiguità nel suo sistemico porre su in piano di equivalenza i misfatti israeliani e quello che chiama il “terrorismo” palestinese (connotazione propria di tutti i cosiddetti “liberal” israeliani), a indicare con discreta approssimazione il vero nocciolo della questione. Cito ZVI SCHULDINER sul Manifesto:”L’atteggiamento fondamentalista e criminale del presidente iraniano, in teoria, sarebbe destinato ad aiutare il popolo palestinese, ma quasi sicuramente è uno dei migliori contributi per far dimenticare quel che sta realmente accadendo in queste settimane. Il gentile presidente fornisce inoltre un’opportunità inestimabile a tutti i signori della guerra: adesso sappiamo che non succede nulla e che il problema è l’Iran”. A parte il fatto che “l’atteggiamento fondamentalista e criminale del presidente iraniano”, che è di chiacchiere, sta al comportamento fondamentalista e criminale, fattuale, di Israele come una bertuccia sta a un gorilla, Schuldiner coglie nel segno. Cosa sta effettivamente accadendo in queste settimane da cui il signor Ahmedinejad ci avrebbe distolto? Da noi, dove la sparata iraniana ha suscitato uno tsunami senza confronti in molti altri paesi, rimasti altamente indifferenti, succedeva che il governo Berlusconi stava affogando nella melma di un grottesco falso dei servizi con il quale, accusando Saddam di volersi procurare uranio per la bomba, si voleva, alla solita maniera cialtronesca nostrana, agevolare il progetto bellico dei nazisionisti di Washington, provocandogli invece una crisi istituzionale senza precedenti. Nella stessa Washington, l’amministrazione, pur solo blandamente perseguita dalla magistratura, già in crollo verticale di consensi, già assediata da un movimento pacifista che al confronto il nostro fa pena, perdeva pezzi come quel re di Andersen perdeva stracci e vedeva profilarsi sempre più da presso, se non l’impeachment del capo, lo sgretolarsi della banda di gangsters che ne sorregge l’inettitudine strutturale.
In Israele si trattava di offuscare con le nebbie iraniane l’ininterrotto stragismo di Sharon e Mofaz, gli infanticidi di sistema, gli assassinii extragiudiziari, detenzioni di massa e torture, a dispetto delle mille tregue palestinesi la progressiva demolizione del pur disponibilissimo Abu Mazen, l’indignazione mondiale per quel muro dell’apartheid che in altri tempi aveva fatto del Sudafrica il paria delle nazioni e gli aveva meritato sanzioni vincenti, l’ormai evidente riduzione dello “Stato” palestinese al 15% della Palestina e a tre cantoni ingabbiati in fame, siccità, strade, muri, reticolati e posti di blocco come fossero Auschwitz. E poi i crescenti appetiti, storicamente sanciti, su altri pezzi di mondo arabo. Anche in Iraq c’era molto da cui depistare: una sconfitta sempre più evidente degli occupanti per merito di una fortissima e validissima guerriglia di liberazione; risposte angloamericane di carattere psicotico-criminale consistenti nella polverizzazione di città dopo città con dentro tutta la popolazione civile; le sanguinose provocazioni di confine contro la Siria per aprire a Israele uno spazio di intervento strategico con cui dar man forte alla repressione in Iraq e al tempo stesso sbarazzarsi dell’ultimo paese laico e progressista della regione; la clamorosa scoperta, attraverso vari episodi non smentibili (ma universalmente taciuti in Italia) a Basra e a Baghdad, che a condurre operazioni terroristiche contro la popolazione civile sono squadre speciali anglo-israelo-statunitensi, etichettate “Al Zarkawi”, con evidenti conclusioni da trarre su chi, dall’11/9 in poi, conduce la danza del terrorismo cosiddetto “islamico”; la rivelazione da varie fonti, anch’esse non smentite, che i delinquenti di Washington, oltre a voler porre il veto a un emendamento del Congresso che vieta alla Cia di torturare a piacimento, hanno allestito nei paesi satelliti (Polonia, Romania, Giordania, Israele, Saudia, repubbliche asiatiche…) carceri per sospetti antimperialisti da rapire qua e là e da torturare fino all’eliminazione, fuori dallo sguardo della Croce Rossa ed enti affini. In effetti, roba da non farci convergere troppa luce sopra per un apparato di dominio già in notevole deficit di consenso a casa e in giro per il mondo. Luce, invece, da far convergere con forza abbagliante sui patrioti di Hezbollah in Libano e di Hamas in Palestina che, venendo collegati dalle solite “fonti” all’Iran (mentre con i tentacoli sciti dell’Iran in Iraq non hanno proprio niente in comune, anzi sono nella trincea opposta), grazie alle esternazioni di Ahmadinejad potevano essere presi ulteriormente a pretesto per sfasciare il Libano e dare in testa a siriani e palestinesi. E dunque grande, grandissimo è il merito del presidente iraniano per aver ribadito un concetto geopolitico e ideologico niente affatto nuovo, ma tale da poter essere gonfiato quanto la famosa rana da far arrivare alla dimensione del bue. Solo che qui non pare verificarsi il salutare scoppio del bove. Che avrebbe potuto succedere solo se qualcuno avesse infilato uno spillo nella bolla.
Lo spillo è facile da trovarsi, nella storia soprattutto. L’Iran è da oltre trent’anni che fa il gioco dell’imperialismo e del sionismo. Tra preti, teocrazie, integralisti, cinici furbacchioni del monoteismo, ci si intende. Senza il consenso di Francia e dell’Occidente, Khomeini non sarebbe mai potuto rientrare da Parigi a Tehran e scatenare la sua “rivoluzione”, concretatasi principalmente nello sterminio di comunisti, sinistre varie e curdi. Se gli USA non hanno attaccato l’Iran nonostante la più grave offesa e aggressione mai subita da tempi della pastetta nippo-americana di Pearl Harbour, l’occupazione dell’ambasciata e il sequestro dei diplomatici, figurati se l’attaccano ora perché dice sconsideratezze su Israele, o perché cerca di dotarsi di quella centrale nucleare civile di cui sono dotati amici e nemici. Se gli USA facessero anche solo “bau!” a Tehran, gli salterebbe per aria definitivamente tutto il progetto iracheno e, dunque, mediorientale. Messi con le spalle al muro dalla Resistenza e costretti ad ammazzare alla cieca, gli occupanti dell’Iraq, e ancor meno i loro miserabili fantocci (tra cui il PC iracheno, gemellato al PRC e al PdCI!), non resisterebbero un giorno in più se gli venisse meno l’appoggio iraniano. Vale a dire la collaborazione militare e politica della potente gerarchia scita, degli Al Sistani e degli Abdelaziz Al Hakim, con le loro formazioni di tagliagole Al Badr e con i loro partiti quisling (cui recentemente ha aderito anche il pretonzolo più ambiguo della confraternita, Muktada Al Sadr, anche lui da sempre “iraniano”), tutta roba direttamente all’orecchio degli ayatollah. E con evidente e non sempre vincente fatica che questi gerarchi in turbante tengono a bada il comune sentire popolare di revulsione e odio contro l’occupante, tanto è vero che le continue provocazioni stragiste antiscite perpetrate da agenti speciali angloamericani e dai loro ascari sciti e curdi, nonostante centinaia di vittime civili, non sono ancora riuscite a infrangere l’unità nazionale degli iracheni e a provocare quella guerra civile che dovrebbe coronare la spartizione del paese tra curdi, iraniani e occupanti occidentali.
La collaborazione con l’Iran contro i Taliban da un lato e la nazione irachena dall’altro è per gli USA e Israele una questione di vita o di morte e non viene annullata dalla probabile presenza tra i nazisionisti di Washington e di Tel Aviv anche di qualche fondamentalista ottuso al quale il delirio espansionista e l’odio anti-islamico azzera ogni cautela e fa progettare armagheddon di stampo olocausto anche contro l’Iran. Non è detto che questi non riescano a fare il colpaccio, aiutati da qualche provocazione alla 11/9. Ma tutti gli indicatori enfatizzano al momento l’identità tattica di interessi tra nazisionisti e iraniani nella liquidazione del panarabismo e nel vicendevole espansionismo a scapito di laicità, sovranità, progresso. Del resto, come detto sopra, il parallelismo, quanto meno tattico e dopo si vedrà, tra persiani e colonialisti USA-Sion è di lunga data. Dopo l’insediamento di Khomeini, pronube la Francia, la guerra Iraq-Iran, sebbene favorita dalle potenze della liquidazione degli arabi, fu fortemente voluta da Khomeini e non, come una propaganda finalizzata a satanizzare Saddam Hussein a sinistra, dall’Iraq. Alla faccia di quanto un superficiale osservatore, forse ancora brezhneviano (fu Brezhnev a preferire l’Iran integralista all’Iraq laico e socialista e a tradire il trattato di amicizia e mutua difesa con l’Iraq del 1972), come Giancarlo Lanutti (Liberazione), ha recentemente voluto ricostruire, quella guerra fu scatenata dall’Iran. Fui testimone diretto e oculare nel 1979-80 delle ripetute incursioni iraniane nel curdistan iracheno e dei tentativi di sobillazione interna fatti nei confronti dei curdi. Fu Khomeini a denunciare il trattato sui confini concluso tra Iraq e Iran nel 1975 e a rivendicare anche la sponda occidentale dello Shatt el Arab, mai stata iraniana. Fu l’Iran a occupare manu militari due isolotti antistanti la stretta lingua di costa che permetteva all’Iraq di esportare il suo petrolio. Fu ancora Khomeini ad annunciare la chiusura dello stretto di Hormuz, passaggio vitale per le petroliere irachene e valvola di sicurezza dell’economia del paese, nel caso che l’Iraq non si fosse piegato. E infine fu sempre l’Iran a infiltrare i suoi agenti e provocatori tra le comunità scite del Sud per destabilizzare e ricattare l’Iraq con operazioni terroristiche. Ed è il fiduciario dell’Iran, il falsario e imbroglione Ahmed Chalabi, ad essere tornato in prima fila nei favori dell’establishment bushiano, dopo una breve crisi che lo aveva allontanato dalla sfera governativa dei fantocci per una passeggera controversia USA-Iran dovuta ad alcune intemperanze dell’”iraniano” Muktada. E’ sua la supervisione sulla manomissione statunitense su petrolio e contratti in Iraq (l’uomo fu condannato a vent’anni per bancarotta fraudolenta e furto in Giordania, capeggiò per conto della Cia il Consiglio Nazionale Iracheno dei fuorusciti, ha inondato l’Iraq di banconote false per miliardi, sia ora, sia nel 1992).
Resta da riaffermare una lampante verità sulla sporca mistificazione di “Saddam, uomo degli americani”, sostenuta da un’unica fotografia di Rumsfeld che effettua una visita diplomatica in Iraq nel 1982, da cui si è fatta discendere la menzogna, ripetuta infinite volte, delle armi e dei dollari forniti dagli USA a Saddam. Era vero tutto il contrario, vero, noto, ma opportunamente dimenticato. Come ci si è voluti dimenticare del dato reale, contraffatto dalla favola dell’Iraq alleato dell’Occidente (mentre Israele gli polverizzava la centrale nucleare, Saddam riuniva il Fronte del Rifiuto contro la resa di Sadat a Israele, e unico, sosteneva politicamente e materialmente il popolo e i combattenti palestinesi, teneva fuori dalla porta i petrolieri angloamericani, convocava a Baghdad le organizzazioni socialiste ed antimperialiste del Terzo Mondo), dell’alleanza Israele-Iran, risalente ai tempi dello Shah e concretatasi durante tutti gli otto anni di guerra con forniture israeliane di armi, istruttori di volo e piloti all’Iran, senza contare che dal 1980 al 1988 il Congresso USA deliberò annualmente cospicui stanziamenti a favore dell’Iran e USA e Israele, insieme, convinsero Khomeini a rigettare tutte le proposte di armistizio e pace fattegli fin dal 1982 dall’Iraq. Per cui quel milione di morti della guerra, in massima parte ragazzini fanatizzati dai Pasdaran mandati a saltare per aria sui campi minati per aprire un varco alle truppe in cambio di un’ascesa tra le vergini del Paradiso, va in massima parte addebitata agli scaldaletto persiani. Dimenticanze? Eppure i furfanti reaganiani che organizzarono la sudicia guerra dei banditi contras contro il Nicaragua rivoluzionario con i quattrini ricavati dalle vendite israeliane all’Iran, da Oliver North a Elliott Abrams a John Negroponte, sono tuttora lì e operativi come non mai. Mentre si è mai vista una, dico una, immagine delle due guerre mosse dall’Occidente a Saddam da cui risultasse tra gli iracheni la presenza di un carro, una carabina, una rivoltella, una bomba a mano dei famosi armamenti forniti da Washington a Saddam? Solo armi sovietiche di tre generazioni fa e qualcosa rimediato sul mercato privato da Francia o Italia.
Amici, traiamone una conclusione. Dell’informazione di regime e di impero sappiamo tutto, quasi tutto. E’ dalle penne dell’informazione cosiddetta di sinistra che bisogna guardarsi, sono quelle che vanno messe alla berlina per la loro viltà e la loro subalternità vespista in funzione governativista. Penso all’ancella del guerrafondaio sionista della “7”, Ritanna Armeni (dell’organo di fiancheggiamento Liberazione), che schizza i suoi ottusi veleni contro la comunità islamica d’Inghilterra in occasione dell’autoattentato di Blair nel metrò (ve l’hanno mai detto, tra mille altre cose, che testimoni hanno rivelato come i pavimenti di quelle carrozze si fossero lacerate verso l’alto e che quindi le bombe non erano in zaini posati sul pavimento, ma erano state sistemate sotto i vagoni, in precedenza, da ben altri “terroristi”?); penso alla furia antislava dell’albanese Astrid Dakli (il Manifesto), sordo e cieco sul terrorismo dell’UCK in Kosovo, ma impegnato a inneggiare al terrorismo Cia che insanguina da anni la Cecenia; penso a Guido Caldiron (Liberazione), monotematico filoisraeliano che ha apprezzamenti orgasmatici per le “rivoluzioni colorate” allestite da corruttori esterni e corrotti domestici nei paesi che l’imperialismo-sionismo vuole fottere; a Maurizio Matteuzzi (Manifesto) con quella fregola filo-Rabin – “uomo di pace” smontatagli addirittura da un giornalista israeliano, Gideon Levy, che ricorda il premier dello sterminio bellico, delle ossa spezzate ai ragazzini palestinesi lanciasassi e della truffa del secolo, Oslo; a Pietro Folena (Liberazione), che in stato di confusione semantica per i troppi fregolismi perpetrati, spara stronzate sul “fascismo iraniano”. Penso a quell’Ivan Bonfanti (Liberazione) che si accredita presso l’internazionale del falso ripetendo alla grande il rovesciamento della verità su Sebrenica, o commuovendosi sul fato dei poveri, coraggiosi coloni ebrei, meritevoli di “autodeterminazione” dopo che si sono autodeterminati da soli su una terra rubata ai suoi titolari. Penso a quella Logan Ltd, società israeliana come tutte in strettissimo contatto con i servizi di Tel Aviv cui, sotto il Veltroni con la kippa in testa, Roma ha affidato la sicurezza antiterrorismo della metropolitana, nientemeno, e nessuno ha ricordato la catena di attentati e ammazzamenti che queste presenze israeliane si tirano dietro da sempre (e ringrazio che non devo utilizzare quasi mai quel metrò a quella gente affidato). Ne ha di scrivani e di noms de plume quel Bertinocchio che, proprio oggi, auspica un ministero nel prossimo “suo” governo per Emma Bonino, l’unica donna in Italia le cui zanne possono concorrere con quelle di Condoleezza Rice, o di Golda Meir di razzistica memoria.
Penso, penso, penso… al punto che mi si è chiusa la bocca dello stomaco e mi è passata la voglia di continuare. Ciao.
Fulvio Grimaldi
Fonte: www.uruknet.info/
Link:http://www.uruknet.info/.?p=17487&hd=0&size=1&l=x
5.11.05
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