DI MASSIMO FINI
La vicenda delle vignette satiriche su Maometto e i simboli religiosi dell’Islam, pubblicate da alcuni giornali europei, ha messo in un gravissimo imbarazzo le democrazie occidentali. Si è arrivati a un pelo dal rivalutare la famosa fatwa lanciata dall’ayatollah Khomeini (che Allah l’abbia sempre in gloria) contro Salman Rushdie, autore dei “Versetti satanici” che, a sentire dei musulmani, offendevano il Profeta, il Corano, l’Islam. Il Gran Rabbino di Francia, Joseph Sitruk, ha dichiarato di essersi parimenti indignato per alcune scene del film di Scorsese sulla passione di Cristo e per il romanzo “I versetti satanici” di Salman Rushdie. “Non ci si guadagna nulla a svilire la religione, a umiliarla e a ridurla a caricatura. Credo che si tratti solo di mancanza di rispetto e di disonestà intellettuale. Il diritto alla satira si ferma quando diventa provocazione a danno dell’altro. Non ci sono diritti senza limiti”.Il cardinale Achille Silvestrini ha affermato che non si può fare satira su “Dio, su Allah, sul Profeta, sul Corano, sui simboli religiosi, perché in questo modo si offendono i sentimenti di milioni di persone”. Concetto poi ripreso dal portavoce del Vaticano che ha parlato di “inammissibile provocazione” e dai vescovi cattolici dell’Europa del nord. Ma anche in campo laico si sono fatti dei sottili distinguo. Il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, ha invitato “al senso di responsabilità nell’esercizio delle libertà, perché c’è la libertà di espressione e la libertà religiosa”.
Sgombriamo subito il campo da alcuni equivoci. Non è qui in gioco la libertà di satira. La satira non ha più diritti di ogni altra forma di espressione di cui è solo uno degli aspetti. Vincino o Staino o i vignettisti danesi non godono di uno statuto diverso da quello di un qualsiasi altro cittadino, giornalista, scrittore o uomo della strada, che esprima le proprie idee, le proprie opinioni, le proprie idiosincrasie, i propri disgusti in forme diverse dalla satira. Ma non è neanche una questione di laicità dello Stato, bensì di democrazia. In democrazia si deve essere liberi di esprimere qualsiasi opinione, idea, idiosincrasia o disgusto.
Con due soli limiti, che riguardano entrambi il codice penale: non è lecito diffamare persone, fisiche o giuridiche che vivono nella contemporaneità attribuendo loro atti che non hanno commesso (ma per difendere l’onorabilità delle persone c’è il giudizio, a posteriori dei Tribunali, non quello a priori della censura preventiva). Ogni idea, ogni opinione, per quanto appaia aberrante alla “communis opinio” ha diritto di cittadinanza purché non sia fatta valere con la violenza. Punto e fine.
La religione, in una democrazia, non può godere di uno statuto diverso. Dice il cardinal Silvestrini e con lui molti altri: dileggiando i simboli religiosi si offende la sensibilità di milioni di persone. Vero. Ma se si parte da questo concetto la si finisce con la libertà di espressione. Se nei primi anni Cinquanta qualcuno in Italia avesse pubblicato una caricatura feroce di Stalin avrebbe sicuramente offeso la sensibilità di milioni di persone perché c’erano milioni di comunisti nel nostro Paese. Avrebbe dunque dovuto autocensurarsi e o essere censurato per questo?
Se durante il fascismo qualcuno, in Italia, avesse pubblicato una caricatura di Mussolini sarebbe finito, dritto e di filato, in galera. Ma quello era appunto il fascismo.
La democrazia ha obblighi diversi. Verso se stessa. Scrive John Stuart Mill, uno dei massimi teorici della liberaldemocrazia, nel suo fondamentale saggio “Sulla libertà”: «È necessario anche proteggersi contro la tirannia dell’opinione e dei sentimenti predominanti, contro la tendenza della società a imporre, con mezzi diversi dalle sanzioni legali, le proprie idee e regole di condotta a chi non le condivide, a ostacolare lo sviluppo e, se possibile, a prevenire la formazione di qualsiasi individualità discordante, obbligando tutti i caratteri a conformarsi al suo modello».
Purtroppo le democrazie contemporanee, tronfie del loro successo sui totalitarismi, hanno introdotto varie eccezioni al principio fondamentale della libertà di espressione che, come scrive Stuart Mill, è uno dei cardini della liberaldemocrazia. Che cos’era se non satira lo striscione, inalberato da alcuni ragazzotti allo stadio Olimpico, che diceva: “Lazio-Livorno, stessa iniziale, stesso forno”. Eppure quei ragazzi sono indagati, perseguiti, fermati, messi in gattabuia. Che cos’era se non libera manifestazione del pensiero il fatto che quegli stessi ragazzotti inalberassero croci celtiche, croci uncinate, simboli della Decima Mas, il ritratto di Benito Mussolini? Eppure quei giovani sono indagati, perseguiti, interdetti e, se possibile, messi in galera. Ciò in base a una legge dello Stato, la cosiddetta “legge Mancino” che proibisce le discriminazioni razziali, etniche, religiose e l’istigazione all’odio razziale. Solo che quella legge liberticida è stata pensata per colpire la libertà di espressione e lo stesso diritto di esistere di fantasmi del passato, sostanzialmente innocui, ma non si è tenuto conto che poteva avere concretissime attualizzazioni.
Le vignette sarcastiche su Maometto e i simboli della religione islamica sono una istigazione all’odio razziale così come i libri di Oriana Fallaci. L’istigazione all’odio razziale è un reato se si dirige contro gli ebrei, ma non lo è più se si dirige contro i musulmani? Ed ecco che l’Occidente, dimentico dei principi su cui è nato, affonda nelle proprie contraddizioni. O la libertà di espressione vale per tutti e contro tutti o non vale per nessuno e contro nessuno. Un principio non può conoscere eccezioni opportunistiche, altrimenti si trasforma in arbitrio e in sopraffazione. In una democrazia autentica io ho il diritto di inalberare simboli nazisti, di fare il saluto romano alla maniera di Di Canio come di dissacrare Maometto, Allah, il Corano, Dio, Cristo, il Vangelo, la Bibbia, i testi e i miti ebraici (ma se tocco anche solo un capello a un ebreo, a un musulmano, a un malgascio solo perché tali, devo essere spedito in galera e anche per parecchio tempo). E se costoro si ritengono offesi dai miei simboli o dai miei sarcasmi sono fatti che non mi riguardano. Altrimenti anch’io potrei sentirmi offeso dai loro simboli e pretendere che non siano esibiti e non la si finisce più.
È molto curioso che le “anime belle” dell’Occidente abbiano dimostrato una straordinaria sensibilità per quattro vignette blasfeme nei confronti dei simboli dell’Islam ma siano indifferenti anzi conniventi con le aggressioni militari alle quali da qualche tempo sottoponiamo i Paesi musulmani dall’Afghanistan all’Iraq.
Io non ho solo stima per Carlo Sgorlon, ho un rispetto reverenziale per la sua dirittura morale. Ma credo che sbagli profondamente quando scrive che gli islamici “tentano di imporci la loro cultura e la loro mentalità” (Il Gazzettino 4/2).
È vero il contrario, siamo noi occidentali all’attacco, con una pressante campagna ideologica, perché il mondo musulmano si omologhi alle nostre istituzioni, alla nostra cultura, ai nostri valori. I Paesi musulmani devono omologarsi a noi, ai nostri schemi mentali, alla nostra democrazia, alle nostre istituzioni. La condizione della donna islamica a quella della donna occidentale e così via. E se non lo fanno con le buone ci sono le cattive, le minacce, le invasioni, le occupazioni, le bombe, i missili, i Predator, le centinaia di migliaia di morti in nome di una “cultura superiore”, la nostra. George W. Bush, il gran capo del cosiddetto “mondo libero”, l’ha dichiarato: il pianeta intero si deve omologare ai nostri valori “democrazia, libertà, libera intrapresa”. Altrimenti sono botte, cioè bombe. Perché l’Occidente è investito di una missione salvifica universale.
Io penso invece che le aggressioni militari, le occupazioni, la volontà di conquistare non solo territori ma le anime, convertendo gli “altri” a noi stessi, i morti che facciamo in nome di questa nostra pretesa superiorità, siano molto, ma molto più gravi di quattro vignette blasfeme. E credo che se noi non stessimo, da anni, occupando, invadendo, bombardando, minacciando, forzando i popoli dell’Islam alla nostra cultura e alla nostra visione del mondo, oggi potremmo con molta maggiore tranquillità di coscienza difendere orgogliosamente il fondamentale diritto dei cittadini di una liberaldemocrazia di far caricatura di ciò che più gli pare e piace.
Infine mi sia permesso osservare che è dai monoteismi, sia religiosi, come il cristianesimo, l’islamismo e l’ebraismo, sia da quelli laici, come il comunismo, il nazismo e l’attuale idolatria che l’Occidente ha di se stesso e dei propri valori, cioè dagli universalismi, che sono sempre venute le peggiori intolleranze e i più devastanti bagni di sangue.
Dio, se c’è, benedica il relativismo culturale e lo spiritualismo animista dell’Africa nera che non ha mai rotto i coglioni a nessuno e che è dotato di un’ironia e di un’autoironia di cui né il cristianesimo, né l’islamismo né l’arrogante monoteismo laico dell’Occidente attuale, si sono mai dimostrati capaci.
Massimo Fini
Fonte: www.ilgazzettino.it
6.02.06
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