L'EURO-MOTORE, I PISTONI E LE LEGGI DELLA TERMODINAMICA

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DI CLACK

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(libero adattamento da una metafora di Claudio Borghi Aquilini, enunciata durante la presentazione del Manifesto di Solidarietà Europea il 23-9-2013)

C’era una volta un Motore.
Era davvero un gran bel pezzo di Motore.
Sfavillante, tecnologico, di ultimissima generazione.

Un vero miracolo della Tecnocrazia Comunitaria, al punto tale che si iniziò da subito a definirlo come “l’Euro-Motore”.

Era talmente avanzato che al suo interno aveva dei pistoni di nuova concezione, ai quali dopo anni di studi interdisciplinari particolarmente costosi e approfonditi si era riusciti a conferire una funzione autoregolante.

I suoi inventori ne andavano giustamente fieri, sostenendo che quella funzione così innovativa avrebbe dischiuso campi di applicazione prima inimmaginabili.

In breve, quel motore sarebbe stato un vero prodigio di efficienza e competitività.
Come tale avrebbe meritocraticamente sbaragliato tutti gli avversari, quasi fossero birilli su una pista di bowling, di fronte al lancio più devastante del campione del mondo della specialità.
Ma soprattutto avrebbe portato la Comunità che lo aveva realizzato a favorire il prodigioso balzo in avanti per l’intero genere umano, compiendo finalmente i destini globali attribuitigli dalla Storia della sua Civiltà Millenaria.

Con premesse simili l’Euro-Motore partì alla grande, vedendo salire oltre ogni previsione le sue quotazioni di mercato nei confronti di tutto quanto non fosse tecnologicamente al suo livello. Ovverosia di ogni altro motore realizzato prima di lui.

Le cose andarono avanti così per un bel pezzo, fino a che uno dei modernissimi pistoni di cui era fatto, allo scopo di usare nel modo più razionale le sue celebrate proprietà autoregolanti, decise che in base a ovvie motivazioni di libertà non era più il caso di continuare a lasciarsi imporre di dover girare alla stessa velocità degli altri.
Si trattava del resto di un’inutile, limitante vessazione: vero e anacronistico freno alla sua efficienza.
I suoi inventori gliela avevano data e lui aveva il diritto/dovere di avvantaggiarsene a fini di crescita e per incrementare la sua competitività, dalla quale il motore nel suo insieme avrebbe tratto grande beneficio. Del quale ancora una volta avrebbe goduto l’intero genere umano, per un ulteriore strepitoso miglioramento del benessere generalizzato.

Siccome la miscela aria/combustibile era essenziale al suo scopo, che è quello di girare producendo potenza, ne avrebbe prodotta tanta di più, essendo quindi più virtuoso e competitivo, quanto più fosse stato in grado di richiamarne all’interno della sua camera di scoppio.
Il che, spiegava, avrebbe permesso all’intero motore prestazioni migliori, proprio per via della maggior potenza che avrebbe erogato.

Su queste basi tutti gli esperti del ramo ebbero un moto di osannante acclamazione, estasiati com’erano da tale disinteressata dichiarazione d’intenti, volta ad abbattere una volta e per tutte i lacci e i lacciuoli che le vecchie idee nostalgiche e retrograde, tipiche degli scansafatiche, pretendevano ancora di imporre a quel portentoso miracolo della tecnocrazia.
Pertanto in nome dell’intera collettività decisero che era loro interesse fare in modo che
l’Euro-Motore mettesse in luce le migliori prestazioni possibili, dato che ciò avrebbe grandemente favorito la loro reputazione di progettisti.

Decisero allora di porre in essere le condizioni necessarie affinché si affermassero le sue prerogative di vero simbolo di progresso, i suoi valori di civilissima evoluzione darwiniana e di continuo perfezionamento, principi fondamentali per le sorti della specie umana così come previste dal Creatore e dalla Natura, alle quali sarebbe stato delittuoso tentare di sottrarsi.

Come biasimare quei tecnici, dal momento che era stato insegnato loro che l’unico credo degno di considerazione è proprio il raggiungimento di sempre nuovi traguardi, magnifici e progressivi, di potenza, dominazione e successo personale.
Al cospetto di quelle favolose possibilità, erano i fatti stessi a dimostrare che ogni altra considerazione era futile, noiosa e obsoleta.
Ma soprattutto legata a un insopportabile retaggio di scandalosa e antiquata inefficienza.
Che poi è l’unica, vera malattia dei tempi moderni.

Fu così che, con il beneplacito dei progettisti, quel pistone iniziò ad accelerare sempre più rispetto agli altri, producendo valori di potenza prima ritenuti irraggiungibili, per la felicità di tutti gli astanti.
Ma anche assorbendo tutta o quasi la miscela fornita dal sistema di alimentazione, necessariamente dimensionato entro i limiti ben precisi e invalicabili che sono nell’ordine delle cose.

Gli altri pistoni, dunque, iniziarono a riceverne sempre meno, restandone praticamente all’asciutto.
Per questo si ritrovarono costretti a utilizzare le encomiate proprietà autoregolanti, che erano state attribuite loro a prezzo di tanti sacrifici, per fini esattamente contrari rispetto a quelli preventivati dai tecnici, così abili ed esperti nella loro arte, che li avevano realizzati.

Quello spreco insopportabile si materializzò in una contraddizione persino peggiore. Invece di dare la grande potenza in più vaticinata dal pistone virtuoso e dai suoi facili profeti, che addirittura doveva essere pari a quella ottenibile bruciando un pieno di benzina in più pur consumandone uno di meno, dovettero adattarsi come potevano alle condizioni in cui erano stati costretti. Cercando quindi di continuare a funzionare con quel poco di combustibile che il pistone più virtuoso non riusciva ad attrarre a sé.

Dopo un po’ il pistone che assorbiva la totalità della miscela per girare all’impazzata si rese conto che gli altri se la stavano prendendo molto più comoda. Inevitabilmente iniziò con le recriminazioni del caso e a chiedersi i motivi in base ai quali solo lui dovesse sobbarcarsi quello sforzo improbo, quando gli altri si erano lasciati andare alla loro inaccettabile apatia.
Non c’era motivo al mondo per cui dovesse fare tutto il lavoro e fu così che prese giustamente a incolpare gli altri pistoni di pigrizia, inefficienza e scarsezza cronica di prestazioni.
Ovverosia di essere degli sfaticati cronici che pretendevano vivere al di sopra delle loro possibilità.

Quest’accusa, basata su motivazioni evidentissime, attirò nei loro confronti la stizza e il biasimo generale dei fini conoscitori della meccanica.
Gli esperti proprio non riuscivano a capacitarsi della refrattarietà di quei pistoni a funzionare come avrebbero dovuto. Ovverosia nel modo previsto da grandissimi scienziati che avevano profuso sforzi enormi al progetto dell’Euro-Motore, impiegando risorse ancora maggiori devolute da tutta la collettività. Che ora quei pistoni non trovavano di meglio dallo sprecare delittuosamente.

Pertanto a qualcuno venne l’idea di definirli come “GLI SBIELLATI”.

L’azzecatissimo soprannome si diffuse a velocità fulminea tra i tecnici depositari di tanta sapienza, che ebbero un argomento inattaccabile per rendere comprensibili anche ai meno esperti, ma soprattutto per chi non sa proprio nulla di meccanica e motori, i veri motivi cui si doveva il fatto che l’Euro-Motore avesse dimostrato un rendimento molto inferiore al previsto.
Il che giustificava l’unanime disapprovazione dei padri dell’Euro-Motore nei confronti dei pistoni che si rifiutavano inspiegabilmente di fare il loro dovere.

Come si può immaginare, proprio a causa delle sue doti superiori di potenza, efficienza e competitività, il pistone che aveva dimostrato coi fatti di saper girare molto meglio di tutti gli altri acquisì un’autorità sempre maggiore.
Senza dubbio era basata sui suoi meriti, che chiunque poteva toccare con mano.
Oltretutto c’era un gran numero di ben remunerati informatori che rimasero letteralmente affascinati dalla dimostrazione di tanto dinamismo. Per questo iniziarono a battere a più non posso sulla grancassa mediatica, proprio allo scopo di diffondere le virtù mirabolanti di quell’eccezionale pistone, tanto affidabile e virtuoso.

Purtroppo però restava unico, proprio per colpa di quei lazzaroni nullafacenti degli Sbiellati.

Stando così le cose, non ci volle molto affinché acquisisse un vero e indiscusso predominio. D’altronde erano i fatti a dimostrare che non vi fosse alternativa.
Non solo nel campo della meccanica, ma anche nell’abito mentale degli osservatori, che fossero esperti o meno, tali erano l’influenza e il prestigio che le sue doti gli avevano procurato.
In breve quel predominio assunse un rilievo tale da riuscire a far modificare a suo esclusivo favore le antiche leggi della termodinamica. D’altronde era tempo che qualcuno pensasse a una riforma, più che mai necessaria per adeguarle finalmente alle necessità attuali.

Poiché riguardavano l’Euro-Motore e dovevano sovrintenderne alle Sacre Funzioni Vitali, per essere scritte quelle leggi non potevano certo essere sottoposte alla lentezza e alla farraginosità esasperanti dei processi elettorali consueti.
Fu convenuto anzi che era essenziale sottrarle dai loro esiti.
Quanto più si fosse riusciti a essere veloci e quindi efficienti nel riscriverle, tanto meglio se ne sarebbero sfruttati gli indiscutibili vantaggi.
Anche il sistema mediatico era concorde sulla necessità di sveltire al massimo tutto il procedimento, al di là di ogni altra considerazione.

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Allo scopo venne incaricato un comitato di saggi, che proprio per la necessità di operare nei tempi più brevi fu costituito da individui non eletti da nessuno, scelti per le loro doti preclare proprio dagli stessi tecnici che avevano progettato l’Euro-Motore.
Chi meglio di loro, infatti, avrebbe potuto decidere il da farsi e chi lo dovesse fare nel modo più oculato e vantaggioso?

Fu così che si arrivò ad innalzare al valore di legge quello che prima era un semplice dato di fatto, mera risultante da una serie di eventi più o meno casuali.

A quel punto non vi fu più nulla che potesse trattenere quel pistone dall’esprimere in piena libertà, valore inestimabile e inalienabile, il massimo della sua competitività meritocratica.
Doveva si continuare a fare da solo tutto il lavoro, ma almeno i sui meriti erano riconosciuti anche formalmente.
Avendo dalla sua anche il supporto legislativo, poté spingersi a produrre quantità di energia inusitate. Per farlo, naturalmente, attraeva a sé quantità di risorse sempre crescenti: non si poteva certo pretendere che riuscisse a generare forza dal nulla.

Dal canto loro quei miserabili straccioni degli Sbiellati non poterono far altro che rassegnarsi definitivamente a cercare di funzionare come meglio potevano, nelle condizioni alle quali era ormai la stessa Legge ad averli ridotti. Non senza attirarsi il biasimo generale, concretizzato in una sequela impietosa di accuse, rimproveri, lazzi e sberleffi.

Una simile gazzarra fu seguita da critiche molto ben circostanziate, come imponevano le logiche conseguenze dei dati di fatto. E siccome non c’è critica costruttiva se non è seguita dalle proposte atte a risolverne le cause, iniziarono a succedersi i suggerimenti atti a far cessare finalmente quello scandalo inaccettabile. Causa oltretutto di un malessere sempre più diffuso nella collettività, di per sé sottoposta a tanti sacrifici, che quindi non comprendeva il motivo di mantenere a sbafo quei pistoni tanto inefficienti e antidemocratici, nel loro persistere a non cooperare al bene comune.
Risolvere le incongruenze dovute alla loro stessa esistenza divenne la questione più urgente.

Tutto questo nella sincera costernazione dei tecnocrati che li avevano progettati, i quali profondevano ormai da anni tutto il loro sapere nel tentativo di venire a capo dei problemi di funzionamento dell’Euro-Motore. Che però, manco a farlo apposta, a ogni loro intervento ne esibiva sempre di nuovi, ancora più complicati da risolvere.

Malgrado tanti sforzi gli Sbiellati, termine a cui ormai era stato conferito il crisma dell’ufficialità, non solo insistevano nella volontà di non adoperarsi al miglioramento dei destini comuni, obiettivo a favore del quale tante risorse erano state indirizzate, ma addirittura davano l’impressione di essersi coalizzati. Si ipotizzò che il loro fine fosse quello di sfruttare la loro superiorità numerica per fare da freno all’opera instancabile, e tanto più meritoria, di quell’eroico, virtuoso pistone. Che da solo si sobbarcava ormai la produzione di quote vicinissime al totale dell’energia necessaria per il sostentamento della Comunità.

La soluzione del problema assunse un significato di vita o di morte. Al riguardo si iniziarono a formulare i propositi più disparati, alcuni dei quali plausibili, altri molto meno.
C’era chi li voleva semplicemente disattivare nella maniera più sbrigativa, puntando sui costi ridotti dell’operazione e sulla sua semplicità.
Altri li volevano proprio smontare, secondo un approccio più radicale, per poi rifonderne il prezioso metallo in omaggio alle teorie più avanzate del riciclaggio e dell’efficace sfruttamento delle risorse ambientali.
Altri ancora erano convinti, in nome del più Euro-Motore, che la cosa migliore sarebbe stata integrarli maggiormente nel pistone più efficiente, così da poter profondere anche in essi le sue grandi virtù.

Alla fine fu proprio questa l’opzione prescelta, ritenendo che seppure a prezzo di un’efficienza complessiva marginalmente inferiore, avere l’equivalente di un buon numero di pistoni che operano nel modo dovuto invece di uno soltanto non avrebbe tardato a mostrare i suoi benefici.

I tecnici impegnati nel progetto dell’Euro-Motore, che dopo un esordio tanto promettente aveva palesato le sue deficienze, causando una preoccupante riduzione del prodotto globale, furono sollevati nel vedere che comunque c’era uno slancio fin quasi unanime nel voler risolvere quelli che dopotutto potevano essere definiti normali problemi di gioventù.

Solo un’esigua minoranza di populisti, particolarmente violenta e incivile, insisteva nel chiedere di fermare l’Euro-Motore una volta e per tutte, con argomentazioni pretestuose e strumentali che a malapena riuscivano a nascondere le loro vere intenzioni. Riguardanti il tentativo di indurre un regresso di civiltà, atto a riportare il genere umano a una fase precedente a quella in cui si erano ottenuti risultati tanto eclatanti e vantaggiosi.
Gli scopi ultimi della cosa non erano ben identificati, ma di sicuro avevano a che fare con i loro egoistici interessi individuali, aziendali e di fazione politica.

Malgrado costituissero un insieme numericamente trascurabile, costoro insistevano nel fare un gran baccano, sfruttando gli strumenti di comunicazione loro congeniali, ma che per fortuna restavano fuori dal circuito mediatico più seguito dalla massa dei cittadini. Tuttavia la loro azione rendeva doverose accurate riflessioni sull’opportunità di lasciare quel settore abbandonato a sé stesso, quando avrebbe meritato controlli più rigidi e limitazioni sostanziali. Sempre per il bene di tutta la collettività.

Dopo un esame approfondito della situazione, eseguito anche con l’apporto irrinunciabile di tutti i più stimati e meritevoli tecnici del settore, dei progettisti dell’Euro-Motore e dei più noti luminari della tecnologia che ne descriveva il funzionamento, fu scelta l’opzione alla quale si riconobbe all’unanimità non vi fossero alternative.
Al fine di assicurare il raggiungimento dei supremi destini della Comunità, i cui uomini di vertice avevano dichiarato ufficialmente di aver investito al riguardo tutto il loro prestigio personale e il patrimonio politico in loro possesso, era essenziale che l’Euro-Motore continuasse a funzionare a ogni costo.
Per ottimizzarne il meccanismo venne ribadito che l’integrazione delle sue diverse parti fosse l’unica possibilità concreta e praticabile.

La questione venne risolta brillantemente ma con grande rapidità, anche per via della pressione esercitata dai media, i quali temendo un tracollo dei valori finanziari che davano da tempo segni di inquietudine, esortavano ancora una volta ad agire nella maniera più sollecita possibile.

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Allo scopo una ristretta equipe di tecnici e progettisti, formata secondo i più stringenti criteri meritocratici da coloro i quali avevano fissato a suo tempo i cardini del suo funzionamento, venne cooptata per stabilire le linee guida attraverso le quali si sarebbe potuti giungere nella maniera più rapida ed efficiente alla nuova versione dell’Euro-Motore. Quella che sarebbe stata capace, infine, di operare secondo i capitolati del suo progetto originario. E pertanto in grado di fornire le prestazioni che gli si richiedevano.

Si procedette così alla maggiore integrazione delle sue parti fondamentali, cioè dei pistoni.
Non solo in termini di funzionalità, ma anche per quelli costitutivi.

Ci si accinse all’opera con alacre ma consapevole efficienza. E con l’impegno spontaneo delle maestranze, per salvaguardare gli interessi delle quali fu approntato un modernissimo contratto di lavoro, che ricevette la benedizione delle rappresentanze sindacali, quantomai felici di poter dare nuove possibilità occupazionali ai loro iscritti.
Sapevano bene che fossero parecchio riduttive rispetto alla norma, ma data la situazione, alle cause della quale avevano valorosamente collaborato con decenni di concertazione e moderazione salariale, non è che si potesse andare troppo per il sottile.
In base alle necessità dettate dal supremo interesse collettivo, il nuovo contratto prevedeva la riduzione del minimo salariale lordo a 1,50 Euro l’ora, la firma preventiva delle dimissioni a valore immediato in caso di malattia, anche di un banale raffreddore, la rinuncia volontaria al diritto di sciopero, a ferie e turni di riposo, l’assenza totale di contributi pensionistici, nonché la prestazione di turni straordinari non retribuiti, stabiliti secondo le necessità che di volta in volta si fossero presentate, in base al più razionale svolgersi delle lavorazioni.
Il tutto secondo i migliori criteri di competitività, quale valore irrinunciabile per giungere a un obiettivo che proprio a quegli ideali era destinato a conformarsi pienamente.

A tali avanzatissime e riformistiche condizioni, i prestatori d’opera aderirono liberamente e in maniera entusiastica, anche per via del deterrente costituito dalla permanenza sul posto di nutriti battaglioni antisommossa, armati fino ai denti e con tanto di blindati, ai quali in caso di disordini era stato ordinato di non fare prigionieri.
Fu così che si rese del tutto indolore il riconoscimento degli altissimi valori di razionalità ed efficienza insiti in un progetto fondamentale per i destini del pianeta a livello globale.

Dati i presupposti si riuscì nel tempo più breve, circa tre mesi, a giungere alla nuova versione
dell’Euro-Motore.
Al riguardo i tecnici di rango maggiore e le figure a capo del progetto ricevettero l’equo compenso di 2,73 milioni di Euro ciascuno. A cui fu deciso di aggiungere un ulteriore milione e mezzo a titolo di liquidazione, quale forma di riconoscimento atta a simboleggiare l’estrema importanza della loro missione disinteressata.

Con visionarietà improntata alla fantasia più idealista e sognatrice, si decise di battezzare la nuova versione in maniera del tutto inedita, come “Euro-Motore 2.0”.
Definizione alla quale il Partito più Democratico attivo in quel momento sulla scena politica, per sottolineare l’irriducibile supporto ideologico a tutta l’operazione pretese di aggiungere il sottotitolo “Because we care”.
Riguardo a cosa non si era capito, ma non sembrò il caso di mettersi a fare i pignoli.

Quel motto così suggestivo venne svelato solo al momento della presentazione ufficiale da parte del redivivo Tangher Cialtroni, che tentava di approfittare dell’occasione per un suo ennesimo rilancio.
Era affiancato dal suo delfino Mardoccheo Bambenzi, già da tempo designato a tavolino quale legittimo vincitore delle Falsarie, le democraticissime consultazioni popolari che distinguevano quel partito da tutti gli altri.
Per parteciparvi era sufficiente versare 2 Eurini a testa nelle sue capaci casse.
Scopo di quella edizione delle Falsarie era il sancire l’affidamento a Bambenzi della gestione inerente l’estremo rigurgito di popolarità del partito, che a seguito della presentazione dell’Euro-Motore 2.0 tutti i sondaggisti prevedevano sarebbe stato travolgente.

Per l’occasione i due lader erano vestiti interamente in rosa pallidissimo e affiancati dalle soubrette più conturbanti che fossero in qualche modo riconducibili alla loro corrente politica: la favolosa Rosi Bimbi, in rappresentanza delle istanze legate alla procreazione e all’emergenza demografica, la conturbante Vivia Turbo, omaggio alla proverbiale dolcezza e leggiadria del gentil sesso, e infine Raula Sconcia, inclusa quale doveroso riferimento alla comunità LGBT, di interesse fondamentale per il progresso dei diritti esclusivi delle più sparute minoranze, a sottolineare le capacità del partito nel rispondere alle vere priorità del paese.

Questioni di presentazione a parte, l’Euro-Motore 2.0 era se possibile ancora più impressionante e poderoso del predecessore.
Quelli che un tempo furono gli Sbiellati erano stati indissolubilmente integrati nell’unico pistone rimasto, che grazie alle sue doti di efficienza e competitività aveva dimostrato di essere legittimamente in grado di adempiere al suo ruolo egemonico.

Ne derivò un solo, enorme e potentissimo mega-pistone.
Per ovvie questioni di propaganda aveva le stesse dimensioni dell’Eurotower di Bruxelles. Restava comunque realizzato a immagine e somiglianza di quello che tanto bene aveva fatto nella versione originaria: finalmente si aveva la certezza matematica che le cose avrebbero iniziato a funzionare per il verso giusto.

I tecnici erano fuori di sé dall’eccitazione mentre i cronisti si lanciavano nelle più azzardate previsioni di supremazia a livello globale, garantita dalla potenza incalcolabile dell’Euro-Motore 2.0. Ma soprattutto dal suo legame alla collettività molto più stretto, grazie allo slogan coniato per l’occasione dal partito dimostratosi più ferrato in materia, che reggendosi solo su trovate simili era riuscito ad andare avanti per anni, pur nel suo vuoto pneumatico di idee.

Ecco giunto il momento di avviarlo con un enfatico crescendo di parossismo, degno del nuovo grande simbolo di libertà che nell’immaginario comune era destinato a soppiantare persino la statua omonima, in onore alla Comunità che lo aveva realizzato.
Allo scopo si eseguì il conto alla rovescia come per un lancio missilistico, sottolineato da un tripudio di “Euro-Motorine” sculettanti a tempo di musica tecno e vestite in maniera quantomai succinta, tanto per completare il raffinatissimo profilo mediatico dell’operazione.

Meno tre… due… uno, partito!
Un veloce riscaldamento ed ecco che lo si può subito lanciare al massimo regime.
Miliardi e miliardi di cavalli vapore sono visualizzati dallo speciale indicatore, teletrasmesso in mondovisione senza altre informazioni, essendo le cifre che vi si susseguono il monito più esplicito per l’intera umanità, riguardo alle fastose sorti di definitiva e rassegnata sottomissione che la attendono.
Nello stesso tempo, sull’onda del clamore destato dal nuovo, assoluto, fantasmagorico traguardo, le borse salgono all’impazzata, i listini strabordano, i rendimenti tracimano.
Broker e rentier, uniti in uno speculativo anelito di fratellanza, fanno una ola che si trasforma in un vero tsunami di valori azionistici in salita verticale, senza alcun grafico capace di contenerne i tracciati, che puntano alle stelle.
Un solo grido entusiasta si ode nelle piazze affari di tutto il mondo: compro! Compro!! COMPRO!!!!

Sull’onda dell’esaltazione collettiva persino le azioni-carta straccia di Telecom e Alitalia hanno sfondato la quota dei 100.000 Euro cadauna.

Dalla sala di controllo dell’Euro-Motore 2.0 le immagini proseguono imperturbabili, diffondendo la poderosa ma austera (ha un pistone solo) virtuosità meritocratica di quel meccanismo Comunitario, autentico simbolo di Pace e di Progresso.
Dopo un po’ il quadro comincia a vibrare. Prima impercettibilmente e poi in maniera marcata, che con il passare dei secondi diviene via via più confusa e tremolante…

SBRANGH! SKATAFASCCC!!!! ULTRACRASHHHHHH!!!!!!!!!

Che succede? Che succede? Questa è la domanda che Bruno Vespa, Fabio Fazio, Simona Ventura e Milena Gabanelli, incaricati di commentare la telecronaca a reti unificate con tanto di plastico dell’Euro-Motore 2.0 in primo piano, si rivolgono l’un l’altro.
Ma senza avere il coraggio di darsi una risposta.
Le immagini sui monitor si interrompono all’improvviso, lasciando il posto alla tipica nebbia da assenza di segnale.

A seguito dell’interruzione le ipotesi più fantasiose e improbabili iniziano a rincorrersi in una gara tra i quattro presentatori su chi riesca a dare per primo la spiegazione plausibile dell’accaduto.

“Come previsto in fase di progetto, l’Euro-Motore 2.0 si è lanciato da sé in orbita geostazionaria, condizione nella quale può esprimere al meglio la sua immane potenza”.
“No, ecco, i servizi segreti hanno detto che si tratta di un attacco terroristico di Al Qaeda, comprovato dalle numerose lettere all’antrace ricevute dal collegio degli orfanelli di S. Rita”.
“Macché: gli ultimi lanci di agenzia danno per sicura l’ipotesi che sia avvenuto un bombardamento da parte dei droni di Cina e Stati Uniti, che in preda al panico causato dai nuovi equilibri instauratisi con l’Euro-Motore 2.0, si sono alleati inopinatamente per dichiararci guerra”…

Ancora qualche secondo di attesa trepidante, nella più totale assenza di notizie di una qualche verosimiglianza, ed ecco finalmente ricomparire in video il volto di Tangher Cialtroni.
Il suo colorito è terreo: sullo sfondo delle macerie causate dalla deflagrazione annuncia al mondo intero l’avvenuta apocalisse tecnocratica. Per le necessità degli spettatori esteri si doppia da sé nel suo inglese maccheronico, col quale è riuscito a turlupinare tanto a lungo i suoi sventurati compatrioti ed elettori.

Al progressivo diradarsi dei fumi si nota subito che Bambenzi si è dato a una fuga molto coraggiosa, alla testa delle soubrette e degli altri membri di partito convenuti, quale dimostrazione della sua indole di grande condottiero.

L’Euro-Motore 2.0 è irrimediabilmente esploso.
A causa delle enormi forze centrifughe e inerziali alle quali il suo mega-pistone formato Eurotower lo ha sottoposto, che evidentemente non sono state ben calcolate dagli apprendisti stregoni impegnati nella sua costruzione.
Del resto, obbedendo alle precise istruzioni impartite dalle elite oligarchiche, avevano tralasciato minuziosamente di prevedere ogni dispositivo atto alla compensazione delle sollecitazioni e degli squilibri insiti nel suo funzionamento, in omaggio ai più perfezionati e austeri principi di competitività, razionalità ed efficienza.

Naturalmente, per motivi evidenti, le cause ufficiali del disastro sono completamente diverse.
Chiamano in causa il solo Van Rompuy, quale capo supremo di tutta l’operazione.
Per via della sua faccia, ma soprattutto di un cognome che ha portato davvero troppa sfiga.

Clack
Fonte: www.comedonchisciotte.org
15.11.2013

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