L'EURO IMPOSSIBILE

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DI SAMIR AMIN
ilmanifesto.it

La creazione della moneta unica non è servita a creare un’Europa politica. Che o sarà di sinistra o non sarà. Ma la sinistra dovrebbe decostruire gli attuali trattati e creare un blocco sociale alternativo. La crisi apre spazi per un «serpente monetario europeo» Non c’è moneta senza stato. Nel capitalismo stato e moneta costituiscono, insieme, il mezzo di gestione dell’interesse generale del capitale, trascendendo gli interessi particolari dei segmenti di capitale in concorrenza tra loro. Il dogmatismo in corso, che immagina un capitalismo gestito dal mercato, addirittura senza stato (ridotto alle sue funzioni minime di guardiano dell’ordine), non riposa né su una lettura seria della storia del capitalismo reale, né su una teoria con pretese “scientifiche”, capace di dimostrare che la gestione attraverso il mercato produce un qualsiasi equilibrio. Ma l’euro è stato creato in assenza di uno stato europeo, in sostituzione degli stati nazionali, le cui funzioni essenziali di gestori degli interessi generali del capitale erano esse stesse in via di abolizione. Il dogma di una moneta indipendente dallo stato esprime questa assurdità. L’Europa politica non esiste. A dispetto dell’immaginario ingenuo che invita a superare il principio di sovranità, gli stati nazionali restano la sola istituzione legittima. Non c’è una maturità politica che farebbe accettare dal popolo di una qualsiasi delle nazioni storiche che costituiscono l’Europa il risultato di un “voto europeo”. Questo può essere auspicabile, ma resta il fatto che bisognerà aspettare ancora a lungo perché emerga una legittimità europea.

Anche l’Europa economica e sociale non esiste. Un’Europa di 25 o 30 stati resta una regione profondamente ineguale per quanto riguarda lo sviluppo capitalistico. I gruppi oligopolistici che controllano ormai l’insieme dell’economia (e, al di là di essa, la politica corrente e la cultura politica) della regione sono dei gruppi che hanno una “nazionalità” determinata da quella dei loro principali dirigenti. Sono principalmente britannici, tedeschi, francesi, accessoriamente olandesi, svedesi, spagnoli o italiani. L’Europa del’est e, in parte, quella del sud, rispetto all’Europa del nord-ovest e del centro sono in un rapporto analogo a quello che determina nelle Americhe la relazione tra l’America latina e gli Stati uniti. Viste queste condizioni, l’Europa non è altro che un mercato comune, o unico, esso stesso parte del mercato globale del capitalismo tardivo degli oligopoli generalizzati, mondializzati e finanziarizzati. Da questo punto di vista l’Europa è la regione più mondializzata del sistema globale. Da questa realtà, rafforzata dall’impossibile varo dell’Europa politica, discende una differenza sia nei livelli dei salari reali e nei sistemi di solidarietà sociale che nel sistema fiscale, che non può venire abolita nel quadro delle istituzioni europee di oggi.

La creazione dell’euro ha quindi messo il carro davanti ai buoi. I politici che hanno preso questa decisione, del resto, hanno ammesso che questa operazione avrebbe costretto l’Europa a inventare uno stato transnazionale. Una confessione che rimetteva quindi i buoi davanti al carro. Questo miracolo non si è realizzato, e tutto lascia credere che non avrà luogo. (…) Un sistema assurdo del genere avrebbe potuto dare l’apparenza di funzionare senza gravi sobbalzi solo fino a quando la congiuntura generale fosse rimasta facile e favorevole. Quello che è successo era quindi prevedibile: appena una “crisi” (benché all’inizio avesse un’apparenza finanziaria) colpisce il sistema, la gestione dell’euro si rivela impossibile, incapace di trovare risposte coerenti ed efficaci.

La crisi in corso è destinata a durare, addirittura ad approfondirsi. I suoi effetti sono diversi – e sovente ineguali – da un paese europeo all’altro. Per questo motivo, le risposte sociali e politiche alle sfide che questi effetti presentano per le classi popolari, le classi medie, i sistemi di potere politico, sono e saranno diversi da un paese a un altro. La gestione di questi conflitti, destinati ad espandersi, è impossibile in assenza di uno stato europeo, reale e legittimo; e lo strumento monetario di gestione non esiste. Le risposte delle istituzioni europee (inclusa la Bce) alla “crisi” (greca, per cominciare) sono di fatto assurde e destinate al fallimento. Queste risposte si riassumono in un solo termine – austerità dappertutto, per tutti – e sono analoghe alle risposte date dai governi in carica nel 1929-1930. Allo stesso modo in cui le risposte degli anni ’30 hanno aggravato la crisi reale, quelle preconizzate oggi da Bruxelles produrranno lo stesso risultato.

Nel corso degli anni ’90 sarebbe stato ancora possibile definire delle linee di azione nel quadro della realizzazione di un «serpente monetario europeo». Ogni nazione europea, rimasta di fatto sovrana, avrebbe quindi gestito la propria economia e la propria moneta secondo le proprie possibilità e i propri bisogni, anche limitati dall’apertura commerciale (il mercato comune). L’interdipendenza sarebbe stata istituzionalizzata dal serpente monetario: le monete nazionali sarebbero state cambiate a tasso fisso (o relativamente fisso), rivisto ogni tanto grazie ad aggiustamenti negoziati (svalutazioni o rivalutazioni). Si sarebbe così aperta una prospettiva – lunga – di “irrigidimento del serpente” (in vista forse dell’adozione di una moneta comune). Il progresso verso questa direzione sarebbe stato misurato dalla convergenza – lenta, progressiva – della produttività, dei salari reali e delle conquiste sociali. In altri termini, il serpente avrebbe facilitato una possibile progressione attraverso una convergenza verso l’alto. Questo processo avrebbe richiesto politiche nazionali differenziate, con un obiettivo comune, dandosi i mezzi per realizzarle. Tra essi, il controllo dei flussi finanziari, che implica il rifiuto dell’assurda integrazione finanziaria deregolata e senza frontiere. La crisi dell’euro in corso potrebbe offrire l’occasione per abbandonare un sistema assurdo di gestione di questa moneta illusoria e realizzare un serpente monetario europeo in consonanza con le possibilità reali dei paesi coinvolti.

La Grecia e la Spagna potrebbero avviare il movimento, decidendo di uscire (provvisoriamente) dall’euro; di svalutare; di instaurare il controllo dei cambi, almeno per ciò che riguarda i flussi finanziari. Questi paesi sarebbero allora in posizone di forza per negoziare davvero lo scaglionamento del debito, dopo un auditing, respingendo i debiti associati ad operazioni di corruzione o di speculazione (alle quali hanno partecipato gli oligopoli stranieri, traendone grossi utili). Sono persuaso che questo esempio farebbe scuola. Sfortunatamente, la probabilità di un’uscita dalla crisi attraverso questo metodo è quasi nulla. Difatti, la scelta della gestione dell’euro “indipendente dagli stati” e il rispetto della sacrosanta “legge dei mercati finanziari” non sono i prodotti di un pensiero teorico assurdo. Ma convengono perfettamente al mantenimento degli oligopoli ai posti di comando. Sono dei mattoni della costruzione europea nel suo insieme, essa stessa concepita esclusivamente e integralmente per rendere impossibile la rimessa in causa del potere economico e politico esercitato da questi oligopoli e che va a loro esclusivo vantaggio. (…) Un’uscita dalla crisi sarebbe possibile solo nel caso in cui una sinistra radicale osasse prendere l’iniziativa politica di costituire dei blocchi storici alternativi “anti-oligarchici”.

L’Europa sarà di sinistra o non sarà. L’allineamento delle sinistre elettorali europee all’idea che «l’Europa com’è è meglio che nessuna Europa» non permette di uscire dall’impasse, che richiederebbe la decostruzione delle istituzioni e dei trattati europei. In mancanza di ciò, il sistema dell’euro, e dietro di esso quello dell’Europa come è oggi, affonderanno in un caos dagli sviluppi imprevedibili. A questo punto, è possibile immaginare tutti gli “scenari” possibili, ivi compreso quello che ora si pretende evitare, cioè la rinascita di progetti di estrema destra. In queste condizioni, per gli Stati uniti la sopravvivenza di un’Unione europea completamente impotente o la sua implosione non cambia molto. L’idea di un’Europa unita e potente, che costringesse Washington a tener conto dei propri punti di vista e interessi, resta solo un’illusione.

Samir Amin
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20100605/pagina/16/pezzo/279832/
5.06.2010

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