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La Redazione

 

LETTERA SULLA DITTATURA

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A cura di Davide
Il 15 Dicembre 2006
28 Views

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DI FRANCO ARMINIO
Nazione Indiana

Viviamo in una società totalitaria. L’affermazione, dolorosamente vera, suona falsa perché non si vede chi sia il dittatore e si pensa che la dittatura per essere tale debba somigliare a quelle del passato. La dittatura presente, che potremmo anche semplicemente chiamare la dittatura del presente, è come un suono assordante per chi ha i sensi capaci di percepirla.
Viviamo scontenti. Nessuno ci ha dato l’olio di ricino, nessuno ci ha vietato alcunché, eppure siamo qui prostrati da un’altra giornata vissuta sotto la tirannia di un tempo che uccide chiunque voglia confutarlo nel profondo. La pena più grande che ti dà questo tempo deriva dal fatto che sei sotto una lastra di piombo e sei lì a tentare di non farti schiacciare. Non vedi altre mani alzate vicino alle tue, protese nello stesso sforzo. In altre epoche era più facile soffrire o lottare tutti insieme. I problemi degli individui non si spiegavano in termini esclusivamente terapeutici (sei stressato, sei depresso, ecc..) ma in termini storici e sociali.Adesso ogni sorte appare radicalmente personale, come se ognuno avesse un suo carcere confezionato a misura, un carcere da cui poco si intravede degli altri. Accade più o meno una cosa di questo tipo: stai con la pancia sotto le ruote di una macchina che si è rovesciata. Ti agiti, passa qualcuno e non ci pensa minimamente che sia il caso di darti una mano. Magari apprezza pure il tuo sforzo, ma poi fila dritto, perché c’è sempre altro da fare quando dobbiamo fare qualcosa per gli altri.

Qui c’è il primo problema: non c’è una dittatura di destra di cui subiscono le conseguenze quelli di sinistra. Paradossalmente la recente manifestazione dell’Italia berlusconiana era proprio intitolata manifestazione della libertà: per loro pure c’è una dittatura ed esercitata da quelli che impongono il pagamento delle tasse. In un certo senso la dittatura è esercitata da ogni individuo su tutti gli altri. E siccome le dittature amano le guerre, si può dire che è in atto una terza guerra mondiale mai dichiarata, una guerra che vede ogni individuo impegnato contro tutti gli altri. Anche questa affermazione è difficile da sostenere perché non si vedono le trincee, non si vede il sangue, al massimo c’è uno spargimento di fango. Il campo di battaglia c’è e corre in ogni forma di comunicazione che si stabilisce tra le persone. Una mail, una telefonata, perfino un saluto, non sono più gesti innocui, non sono semplice manutenzione degli affetti o degli odii. Oggi la comunicazione, in qualunque forma si produca, è in buona parte un atto bellico, è il punto di scontro tra il nostro narcisismo e quello degli altri.

Le ricette per capovolgere questa situazione sono divergenti, ammesso che sia simile la consapevolezza della situazione. Questo non è scontato. Tutti si lamentano, ma molti lo fanno per conformismo. Tutti si fanno vedere con la croce addosso, ma per alcuni è di ferro, per altri è di polistirolo.

Nessuno ti ammazza, ma tutto funziona a meraviglia per istigare i tuoi nervi, per infiammarli in una tensione senza lenimento. Non puoi trovare compagni di sventura, perché la tua sorte è la sorte di tutti. Nella odierna dittatura gli oppressi sono in numero minore rispetto agli oppressori e questa è la vera novità politica della situazione.

Non ci sono scorciatoie. Non ci sono compromessi possibili. Si cominci col dichiarare guerra ai molti dittatori in circolazione senza farsi ingannare dalle loro risposte. Pensate ai politici. Parli male della politica, cioè del loro lavoro, e loro ti dicono che sono d’accordo con te, anzi dicono anche peggio. Questa è una truffa. E allora oggi bisogna avere perfino il coraggio di sottrarsi a certi conflitti quando ti accorgi che sono truccati. La miglior ricetta non è il corpo a corpo coi dittatori, ma la distanza. Bisogna combatterli innanzitutto con la nostra lontananza. A volte è perfino auspicabile che loro non sappiano niente di noi.

Faccio un esempio che agli stupidi suonerà delirante: nella mia provincia io non penso affatto di avere un ruolo “politico” inferiore a quello esercitato dai politici in voga. Io produco delle visioni del mio territorio. Sono visioni che possono essere minime, e perfino fallaci, ma sono presenti, sono utilizzabili. I politici sono dei semplici custodi del loro potere. Fanno la guardia al mondo che c’è, non lavorano per farne un altro, dunque il loro ruolo è assai meno importante di quel che sembra.

Capisco che la loro impotenza ha più consenso della mia e questa è la prova della dittatura, che è tale proprio perché deve tutelare le ingiustizie presenti nella società.

Io penso che non valga tenere il broncio al tempo presente, penso che questo tempo sia straordinariamente penoso, ma che dia anche la possibilità di radicali avventure esistenziali: basta avere il coraggio di compierle. E qui il coraggio non può che venire dalla disperazione, dalla sensazione che in fondo noi non abbiamo nulla da perdere e invece loro da perdere hanno tanto. Ecco il nostro potere, la nostra leggerezza, la nostra eleganza contro la goffaggine dei cosiddetti potenti. La sfida è in corso e l’esito è incerto. Il guaio è che non siamo abbastanza feroci da affondare i colpi. Non bisogna essere in molti per cambiare l’epoca. Questa società ha paura anche di poche anime vive, per questo dà libero sfogo ai morti. Per questo fa parlare tutti e tutti insieme, per soffocare le voci che possono incrinarla veramente. La dittatura una volta agiva sul silenzio, adesso agisce sul rumore, lo aumenta a dismisura. Pensate a tutti i discorsi sulla finanziaria attivati e custoditi dai celerini mediatici di Porta a Porta.

Spero che questo testo venga percepito per quello che è (come diceva Canetti, si tratta solo di stabilire per chi ci scambiano). La mia è una lettera dal carcere, inviata, senza troppe meditazioni, ad altri carcerati. Mi piacerebbe che stimolasse la produzione di altre visioni sulla dittatura in cui siamo immersi. Mi piacerebbe che queste visioni prendessero a stare insieme in un ardore insonne che si opponga ai falananna che ci assediano.

Franco Arminio
Fonte: http://www.nazioneindiana.com
Link: http://www.nazioneindiana.com/2006/12/12/lettera-sulla-dittatura/
12.12.2006

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