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LETTERA APERTA A ZUCCATO DA UN PICCOLO IMPRENDITORE ARRABBIATO

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A cura di Davide
Il 7 Novembre 2012
98 Views

FONTE: NUOVAVICENZA.IT

Quando il lavoratore non crede più nello Stato

Gentile futuro presidente di Confindustria Veneto,
sono un piccolo collega con una ditta individuale. Ho un solo dipendente e il mio reddito d’impresa è di 45 mila euro l’anno con un risultato operativo di 66 mila. Praticamente sono un normale lavoratore, anche se non subisco la schiavitù della trattenuta alla fonte. Le scrivo perchè, rivolgendomi a Lei, vorrei far sapere, a chi ci dipinge come disonesti poco di buono che evadono per avidità e menefreghismo civico, che il limite è stato superato e, lo dico chiaro, non credo più in questo Stato, nell’Europa che doveva portarci benessere, e anche in certi grandi imprenditori che assomigliano troppo a certi politici.

Voglio fare qui la lista dei valori sanguigni, come la chiamo io. Il sangue è il mio, versato sotto forma di ogni sorta di tassa, gabella e pagamento obbligato. Partiamo dai costi amministrativi e burocratici. Fra commercialista, marche da bollo, bollatura registri, tassa di vidimazione, imposta sull’insegna pubblicitaria, l’Inail, diritti cciaa e visure, legge 626 sulla sicurezza, le spese postali e gli adempimenti per la privacy, devo già sborsare circa 5 mila euro. Son già tanti, ma facciamo finta non ci siano. La prima grande voce dello svenamento la considero i contributi Inps a mio carico per il mio dipendente. Sia chiaro: per me è ignobile cosa stanno facendo da vent’anni a questa parte sulle pensioni, i nostri figli patiranno la fame. Quanto alla mia, giro all’Inps 7650 euro. La terza voce è l’aliquota Irpef: io pago 8.982 euro lordi, che con le detrazioni fanno 7.882 netti. Viene la volta dell’Irap, una vergogna che esiste solo in Italia, che per me significa 3.974 euro. Le addizionali regionale e comunale, rispettivamente di 336 e 149 euro. Fra imposte dirette e contributi, fin qui mi si volatilizzano 19.842 euro, il 44% del reddito.

Poi ci sono i balzelli comuni a tutti. C’è l’Iva, che questo governo, che non si sa perchè tutti detestano ma tutti poi accettano (parlo anche degli industriali), se ho capito bene ora ha alzato al 22%. Poi l’Imu, cioè la patrimoniale sulla casa. Poi ci sono le accise sulla benzina (il 67% del prezzo finale, a quanto mi risulta), la tassa sui rifiuti, l’Iva sulle tasse sulle bollette luce e gas, il bollo dell’assicurazione, il canone Rai, i ticket sanitari e mettiamoci pure i ticket dei parcheggi. Per non parlare di quella tassa occulta che è l’inflazione e di un altro tributo per niente occulto che sono gli interessi che si devono pagare sui prestiti delle banche, che paghiamo tutti anche come consumatori su qualsiasi prodotto.

Ma non è finita. Sono soggetto allo studio di settore, che è veramente pazzesco: devo dichiarare un reddito presunto, in questi tempi di crisi in cui clienti e fornitori mi pagano a singhiozzo, se mi pagano. Leggo, tra l’altro, che quest’anno mi troverò a versare Iva mai incassata e tasse su ricavi che lo scorso anno non ho avuto. I parametri di quest’anno, infatti, aumentano i ricavi minimi soggetti a tassazione di una percentuale media che va dall’8% al 10% a parità di dati di riferimento con lo scorso anno. Leggo che lo Stato deve alle imprese 85 miliardi di rimborsi scaduti (ma il ministro Passera non doveva sbloccarli?).

Alla fine, di quel che guadagno mi resta a occhio e croce il 40%. Nel Medioevo, la Chiesa si accontentava di molto meno: di un decimo, la famosa “decima” appunto. E anche i re e i feudatari non arrivavano a questo livello da estorsione. Siamo messi molto peggio che nel feudalesimo, altroché.

Si parla di abbattimento del cuneo fiscale. Sarebbe sicuramente una boccata d’ossigeno, ma mi domando: non significa forse che, se si riducono i contributi e la quota per la liquidazione, a me datore di lavoro si dà un aiuto ora, ma si danno meno soldi in futuro ai dipendenti? Anche loro avranno qualche spicciolo in più in busta paga, ma niente di che: quando Prodi tagliò di cinque punti il cuneo fra il 2006 e il 2008, a fine mese un lavoratore aumentò il mensile di appena 10 o 20 euro. Ci vorrebbe ben altro, per far ripartire la domanda interna. A che scopo tutto questo? Perchè, contro la recessione, dobbiamo subire un inasprimento della tassazione, che genera ulteriore recessione?

Un’ultima questione. Il Veneto significa piccola impresa. Sono le piccole, piccolissime imprese che fanno andare avanti questa regione e l’Italia intera. Siamo noi piccoli, assieme ai lavoratori e ai precari, i più tartassati. Siamo noi il nuovo Quarto Stato. Perchè dobbiamo sottostare, allora, ai rigidi canoni di un’economia e una società molto diversa dalla nostra, con interessi diversi dai nostri, e parlo della Germania? Perchè il debito pubblico non si può negoziare come fa un privato quando è al collasso? E’ più importante restare vivi o dissanguarci per pagare un debito che viene mercanteggiato su mercati internazionali su cui noi imprenditori e cittadini non abbiamo alcun controllo? E’ libertà d’impresa, questa? Anzi, c’è ancora libertà in questo Paese?
Buon lavoro.

Un padroncino non più padrone di nulla

Fonte: www.nuovavicenza.it
Link: http://www.nuovavicenza.it/2012/11/lettera-aperta-a-zuccato-da-un-piccolo-imprenditore-arrabbiato/
2.11.2012

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