DI MASSIMO MARAONE
associazionepasolini.org
Caro Roberto,
scrivo queste poche righe al termine della puntata di “Che tempo che fa” durante la quale hai tenuto il monologo.
Toccante e forte come sempre, anche se preferisco leggerti piuttosto che sentirti.
Il tuo libro è stata la scintilla che ha acceso tanti fuochi, tra i quali l’associazione culturale alla quale fa capo il sito sul quale pubblico questo scritto. Come hai detto tu, il compito della letteratura è quello di far emergere il sommerso, di raccontare in un tutt’uno che segue un filo logico ciò che la cronaca racconta frammentariamente e senza una apparente continuità.
L’impressione che ho avuto leggendo Gomorra è stata quella di scoprire questa continuità tra gli eventi criminali, la continuità che ne spiega la logica ed il fine ultimo, la continuità che rivela la contiguità tra il potere criminale occulto ed il potere legale, tanto che la linea di demarcazione tra i due sfuma tanto più si sale nelle gerarchie del potere stesso, tanto che alla fine del libro il mio cruccio era quello di non essere più capace di distinguere tra l’illegalità denudata e la presunta legalità.
Roberto Saviano a “Che tempo che fa”Per questo mio modo di intendere Gomorra non ho condiviso appieno le tue parole di questa sera. Non sono d’accordo quando dici che “la legalità è la premessa” (penso intendessi dello scontro politico). Ti sbagli, e non perché la legalità sia la conseguenza di un corretto scontro politico, ma perché l’illegalità è la parte fondante dell’attuale sistema di potere, e non solo italiano.
È chiaro che per legalità intendo non solo il rispetto delle leggi, infatti anche le leggi razziali erano legali, ma altrettanto aberranti; ma per legalità intendo un minimo di giustizia, giustizia sociale e rispetto di diritti minimi, quali quello di crescere e lavorare nella propria terra senza vedere un morto al giorno ammazzato per strada.
Questa illegalità (ingiustizia) è il sistema su cui si regge il sistema politico economico e che viene riproposta con diversa intensità ad ogni livello delle gerarchie di potere. I clan nel napoletano non sono solo organizzazioni criminali con agganci in politica: sono la base del consenso ed il braccio armato che gestisce lo stesso nel napoletano; sempre i clan non sono organizzazioni criminali che fanno soldi con la droga e anche con lo smaltimento dei rifiuti; no, sono una parte fondamentale del sistema industriale del paese che permette alle industrie di scaricare merda come vogliono e di sfruttare con la violenza la forza lavoro al di là di quanto già non permetta la criminale legislazione sul lavoro.
Queste cose le ho introiettate leggendo Gomorra e le ho portate al di fuori dei confini italiani leggendo “Shock Economy” di Naomi Klein. Al di fuori dell’Italia non si chiamerà mafia o camorra, ma fa lo stesso se si chiamano paramilitari colombiani che ammazzano sindacalisti per conto della Coca Cola e fanno il lavoro sporco per il criminale presidente Uribe; o fa lo stesso se si chiamano contractors che ammazzano giornalisti, sindacalisti e chiunque altro intenda rompere le palle alle imprese occidentali sbarcate in Iraq dopo l’invasione. Come diceva don Diana che tu stesso hai citato, questi assassini (come le nostre mafie) sono i giocatori di una partita a scacchi alla fine della quale loro non resteranno sulla scacchiera, saranno caduti essi stessi e sulla scacchiera resteranno gli interessi di quel capitalismo che non si fa alcuno scrupolo pur di fare business.
Per questo non sono d’accordo con te quando dici che la legalità è la premessa (dello scontro politico). No, la legalità/giustizia non può che essere il risultato della politica, intesa come strumento di cambiamento della società, di quella politica passata in mano ai soggetti che la subiscono (i più umili,gli sfruttati, diseredati, ecc.) e che la utilizzano al fine di capovolgere le ingiustizie che li attanagliano.
E credo che in ciò un ruolo fondamentale sia affidato alla letteratura, a quella capace di raccontare la realtà interpretandola e dandone chiavi di lettura al fine di cambiarla, e che così facendo parla per quegli ultimi che non hanno voce, che vengono ammazzati dai proiettili vaganti, dalla roba tagliata male, sui cantieri, nelle fabbriche, sui gommoni affondati dalle motovedette della marina, nei campi profughi dalle bombe al fosforo, nelle città bombardate dalle bombe intelligenti.
Anche per questo mi ha molto colpito il modo in cui hai raccontato il tuo incontro con Shimon Peres; sono sicuro che conosci il ruolo che Shimon Peres ha all’interno dell’establishment israeliano, quello stesso che in sessanta anni ha ridotto alla fame e distrutto un intero popolo cacciandolo dalla sua terra, una parte del quale un paio di mesi fa è stata chiusa in un campo profughi enorme e bombardato con ogni tipo di armamenti. Si dice (ma non ne sono sicuro) che lo stesso Peres abbia avuto un ruolo seppur marginale nella scelta del nome dell’operazione a Gaza: piombo fuso, il quale lega l’operazione militare al miracolo dell’olio, che viene commemorato durante gli otto giorni della festività Hanoukka. Secondo alcuni, in questo modo le autorità israeliane hanno indicato alla loro popolazione come non fosse atto impuro uccidere i palestinesi.
Sono sicuro che tu sei al corrente di tutto ciò e sono sicuro che se confrontassimo il numero dei morti e le distruzioni provocate da un qualsiasi Schiavone con quelle provocate da criminali di guerra del livello di Peres, Bush, Blair, Putin, ecc. il nostro Sandokan apparirebbe un dilettante di provincia.
Sono sicuro che tutte queste cose le sai e spero che a Peres, magari al riparo da occhi indiscreti, le hai fatte presenti. Così come spero che le farai presenti a qualche altro criminale di guerra, se dovessi avere la sfortuna di incontrarlo.
Con sincera stima,
massimocom
p.s. scrivi da dio
Fonte: http://associazionepasolini.org
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26.03.2009