DI CARMINE R. VIOLA
Gentile dottor Caselli,
sono certo che Lei si ricordi di me. Le ho scritto più volte in passato ed ho sempre avuto il Suo riscontro, segno della Sua non comune signorilità. Ella è una persona che desta simpatia e fiducia.
Sono passati anni di silenzio anche perché non avevo il Suo nuovo indirizzo. Dalla “Sua” cartella mi risulta di averle spedito a Palermo, tra l’altro, il Quaderno n.ro 5 di questo Centro, dal titolo “Stato sociale o criminopoli”, che spero abbia letto. Esso è, si può dire, propedeutico alla comprensione della biologia (del) sociale, mia creatura che, nel frattempo, si è fatta adulta. Il titolo Le dice intanto una cosa: ove non esiste lo Stato sociale, esiste (anzi, impazza) “criminopoli”. Il riscontro della realtà non lascia dubbi.
Continuo a stampare e diffondere Quaderni. L’ultimo è il 22 dal titolo “Mafia per non dire capitalismo” che Le invio contemporaneamente a questa lettera e che La invito a leggere attentamente. Cerco di coprire le molte spese vive con i contributi volontari degli affezionati e di coloro che desiderano conoscere questa nuova materia, che è la scienza sociale elaborata su base naturalistico-biologica. Ho quasi 78 anni e continuo imperterrito la mia battaglia per una società secondo biologia ed etica.Ho sentito della Sua esultanza per la cattura di Provenzano e mi sono ricordato di quando Lei, con amabile candore, si recava presso istituti scolastici a insegnare il rispetto della legalità. Fu una delle volte che Le scrissi per contestare il contenuto del Suo pur sincero insegnamento. Infatti, non risulta che tutto ciò che è legale sia perciò solo eticamente legittimo. Questa società è una “giungla antropomorfa” basata sull’artescienza della predazione e ciò che ancora – nel secolo delle scienze – si continua a chiamare economia, altro non è che PREDO-nomia di diretta derivazione della giungla, ovvero quanto detto appena più sopra. L’economia – scienza dell’amministrazione con giustizia dei bisogni di una collettività – è ben altra cosa ed è quella che manca.
Pertanto, quando si dice capitalismo si dice una molteplicità di modalità di predazione, la prima delle quali è certamente quella legale: il “classico” sfruttamento dell’uomo sull’uomo attraverso regole convenzionali (basate non sui diritti naturali ma sulla convenienza padronale) che si dicono leggi e che, in questo caso, fanno arricchirsi i “datori di lavoro” (che poi sono “compratoti di lavoro” al minor costo possibile) e restare poveri i poveri, i classici proletari ovvero i lavoro-dipendenti. Vi è la “predazione intralegale” (vedi il fenomeno sempre presente denunciato da “Mani Pulite”); vi è la “predazione illegale” che costituisce la cosiddetta delinquenza “predonomica” (detta impropriamente economica) comune e, non ultima, quella “paralegale” detta del tutto impropriamente “mafia” (per una certa somiglianza modale con organizzazioni di altri tempi). Sul piano internazionale vi è la “predazione imperialistica”.
Il capitalismo è anche la disoccupazione, la povertà, la precarietà, l’accumulo senza misura di ricchezza prodotta dal lavoro altrui, ogni difficoltà esistenziale dovuta a insufficienza o indigenza economica. Sul piano universale è anche lo sfruttamento finanziario-bancario e monetocratico del Terzo Mondo e quanto in esso gli indigeni “più evoluti e furbi” fanno contro i semplici e gli inermi in assenza di aiuti tecnologici in loco ripetendo le origini storiche del capitalismo, di quando i primi pescecani facevano morire sul lavoro di 14-16 ore al giorno perfino donne e bambini. Capitalismo è anche la conseguente immigrazione prodotta dalla fame e sfruttata con trattamenti di fame!
Il capitalismo è tutto questo: un vero “castigo di Dio” (contro una specie umana ancora adolescente), il quale produce anche quello che Lei – e non solo Lei – chiama “mafia”, che è pertanto un pezzo di capitalismo, un “modo diverso di fare capitalismo”, una “dimensione strutturale del capitalismo”. Pertanto, è privo di fondamento scientifico considerare il capitalismo paralegale, peraltro necessariamente-occultamente colluso con quello industriale e quello politico, qualcosa come un’“affezione cutanea”, e pensare di poterla debellare senza abolire la matrice che è il capitalismo come legittimazione di depredare il prossimo nel rispetto di certe regole – come ha ripetuto Montezemolo, presidente della Confindustria.
Sta di fatto che i grandi industriali risultano essere puntualmente dei grandi “predatori” con quotazioni in borsa e paradisi terrestri dotati di ogni impensabile confort naturale e tecnologico mentre poveri cristi “lavoro-dipendenti” talora sono indotti al suicidio mentre molti “depredati” languono nella disoccupazione, nel lavoro nero e nell’incertezza quotidiana.
Mafia è una parola usata e abusata solo per indicare forme di capitalismo che, per essere occulte o quasi, usano modalità di comportamento proprie di tutte le società segrete, dato che la “segretezza” consente e copre modalità criminose inagibili alla luce del sole.
Bisognerebbe, invece – e faccio sempre riferimento all’epoca delle scienze – fare caso alla legge psicologica secondo cui la legittimazione di ciò che è naturalmente-eticamente crimine (come la ricchezza da predazione del proprio simile) fa avvertire lecita, a livello inconscio (subliminale) ogni modalità per raggiungere il crimine stesso. Infatti, si ruba (e nei modi più diversi) non solo per fame (che è un imperativo biologico) ma anche “per emulazione”.
Perciò, egregio dottor Caselli (Nella foto a fianco), trovo fuori luogo che una persona intelligente e carica di esperienza come Lei possa pensare che la cattura di un Provenzano possa significare la decapitazione della “mafia” (che, peraltro, è “policefala”!). Lei esulta perché un predatore paralegale, guarda caso dopo oltre quarant’anni di latitanza, già anziano e perfino ammalato, sia stato chiuso entro le pareti di un carcere, mentre innumeri predatori legali se la spassano indisturbati quando non anche osannati e premiati. E’ vero, costui ha provocato perfino degli omicidi (personalmente non so quanti), ma “depredare legalmente attraverso il lavoro” equivale ad aggredire ed uccidere lentamente tutta una comunità, i cui elementi più deboli muoiono di stenti e di malattie dovute al bisogno o si autosopprimono.
E non ho detto tutto. All’interno della società borghese, oggi neoliberista, in cui lo stesso diritto alla vita è diventato oggetto di mercato (vedi il “mercato del lavoro”!), il lavoro-dipendente – povero anche quando possiede auto, computer e telefonino (ormai “strumenti di costume e di necessità”) – non ha nemmeno la tutela (e questo La tocca personalmente) del potere giudiziario. Infatti, non è vero che esista lo Stato di diritto (tale essendo solo quando risponde a tutti i diritti naturali di tutti i cittadini – nessuno escluso) né che la legge sia uguale per tutti. La giustizia costa e costa molto e se costa se la può pagare solo chi ha soldi a sufficienza. Il “gratuito patrocinio” è una bella “figura retorica” che non serve quasi a niente: per esempio non serve a un condòmino che non può chiedere la perizia tecnica del tribunale per una facciata condominiale eseguita senza intonaco non disponendo di migliaia e migliaia di Euro per la pratica. Non gli rimane che tenersi la propria casetta, fatta con un mutuo e quindi con sacrifici, deprezzata da un imprenditore che sa di potere contare sulla deterrenza della “predazione giudiziaria” (anche se è un semianalfabeta). In uno Stato di diritto dovrebbe bastare la sola segnalazione a mettere in moto la macchina della giustizia, anzi non ci sarebbe modo di depredare impunemente il prossimo.
Spero che le mie parole, dette con la stima ed il rispetto di sempre, non La offendano ma la inducano a riflettere mentre Le invio i più cordiali saluti da parte di questo “giovane combattente”.
Carmelo R. Viola
[email protected]
Acireale, 15 aprile 2006
Segnalato da Enrico Galoppini
P.S. Questa lettera, per l’evidente contenuto d’interesse sociale, viene inoltrata al quotidiano “Rinascita” di Roma per eventuale pubblicazione. In ogni caso, sarà diffusa via e-mail e in internet.
*Gian Carlo Caselli, procuratore capo antimafia a Palermo dal 1993 al 1999, è nato il 9 maggio 1939 ad Alessandria ed è stato giudice istruttore a Torino, dove per un decennio ha condotto le inchieste su Prima Linea e le Brigate Rosse. Nel 1983 ha condotto l’istruttoria relativa al rogo del Cinema statuto di Torino. Nel Csm dal 1986 al 1990, ha guidato la procura di Palermo dal 1993 al 1999, negli anni successivi alle uccisioni di Falcone e Borsellino. Nel marzo del 1993 ha avviato l’inchiesta sul senatore a vita Giulio Andreotti ed ha firmato la richiesta di autorizzazione a procedere insieme al procuratore aggiunto Guido Lo Forte e ai pm Roberto Scarpinato e Gioacchino Natoli. Nel 1999 lasciata Palermo dopo essere stato nominato direttore generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nel 2001 è stato nominato rappresentante a Bruxelles nell’organizzazione comunitaria contro la criminalità organizzata, Eurojust. Attualmente è procuratore generale di Torino.