Intervista a Beppe Grillo
Dovremmo davvero essere tutti africani per capire il dramma, il sangue, le lacrime, la fame e la disperazione che si vivono quotidianamente, da decenni e da secoli in quello straordinario, enorme e dimenticato continente. E invece, da secoli e da decenni, di ciò che succede in Africa, in quella profonda e tribale, ma anche in quella che si affaccia sulla cosiddetta civiltà occidentale, non importa granché. L’Africa si «s»comunica. E quasi non esiste.
Lo dicono, con una sintonia significativa, uno studio realizzato dall’università di Siena e le parole e l’impegno di un «comunicatore» singolare come Beppe Grillo che, questa sera, nell’aula Franco Romani di piazza San Francesco, dialogherà – ma monologherà anche – con gli studenti e con i docenti che nel pomeriggio discuteranno di quanta e di quale Africa viene raccontata dai media.
«L’idea di discutere di Africa – racconta Beppe Grillo – mi sembra rappresenti esattamente quello che è il nostro futuro come persone. Non possiamo non dirci coinvolti da ciò che succede là. La mia, ovviamente, sarà una testimonianza personale. Ascolterò con attenzione gli esiti della ricerca e cercherò di interagire con gli studenti. Credo che sia necessario interpretare certi segnali che ci arrivano. Siamo nel pieno della terza guerra mondiale e io faccio il partigiano».
L’osservatorio del dipartimento di scienze della comunicazione dell’università di Siena ha svolto un’analisi quantitativa e qualitativa di due mesi di informazione italiana per capire quanto pesi sui mezzi di comunicazione un continente che conta 900 milioni di persone e oltre 50 nazioni. A illustrarla saranno i docenti Maurizio Boldrini, Giovanni Gozzini e Marcello Flores, assieme a Giulio Cederna della onlus Amref, organizzazione sanitaria in Africa, ai giornalisti Jean Leonard Touadi e Pietro Veronese e il poeta Fuzum Brham Tesfai.
Fra un paio di settimane, Beppe Grillo inizierà la tournée con il nuovo spettacolo Beppegrillo.it. Da casa sua, al telefono, Grillo accetta di rispondere a qualche domanda.
Allora Beppe, cominci dall’Africa per parlare del nostro futuro…
Diciamo che comincio dall’Africa perché è il nostro futuro, il futuro dei nostri figli, ciò che saremo. Se non capiamo certi segnali che ci arrivano, non sapremo dove andare. L’Africa non sta bene, ma nessuno sa ciò che succede nel Darfur, nel Ruanda, nessuno ha capito che è in atto la terza guerra mondiale. Nessuno lo sa per eccesso di informazione. Che è disinformazione. E di disinformazione si muore. Dobbiamo smetterla di pensare ai prodotti interni lordi, alla beneficenza “dopo”, ai messaggini sempre “dopo” e mai “prima”. Dobbiamo arrivare prima.
Ma le informazioni arrivano. Poche, ma arrivano. I media hanno raccontato i genocidi, ci sono campagne di solidarietà. La storia registra gli eventi.
In realtà credo che, riguardo al Ruanda, siamo mediati dagli hutu e dai tutsi. I media creano la sommersione di idee. E la storia non ci ha insegnato nulla. Tutto il male si ripete da secoli. E la solidarietà che facciamo a suon di spiccioli o di milioni francamente mi sembra patetica e falsa.
E allora?
E allora occorre che le gente cerchi le informazioni attraverso un altro modo, attraverso un altro mediatore. Lo sta già facendo, per fortuna, e mi sento abbastanza ottimista. Credo che il nuovo modo sia la rete. Ovviamente ci sono pericoli anche qui: le multinazionali, le spa, le finestre globali che qualcuno gestisce e determina, ma ho fiducia. Diciamo che ho più fiducia di prima perché nella rete io agisco con qualcun altro. E mi sento di dare un consiglio ai politici: fate un programma in rete.
Parli dei politici perché forse li ritieni una categoria di intermediazione tra la gente e i problemi?
Dovrebbe essere così. Ma non è così. Il politico sguazza e saltella, ma non esce dal laghetto. Invece, dovrebbe osservarsi e capire che la rete lo sta by-passando. Pensa a quell’immagine del ministro degli esteri Fini al banchetto dei dispersi dello tsunami. Ha raccontato cose che la gente sapeva già da tempo da internet. La gente si era mossa già prima.
Quindi se la politica non si adegua ai nuovi strumenti è fuori gioco?
In un certo senso sì. Non siamo ancora a quel punto cruciale. Ma con la rete, gli sms, i blog, le riunioni interattive e quando la tecnologia sarà un po’ più semplice ancora, ecco, la gente avrà un motore straordinario di civiltà.
E i politici non avranno più senso?
Avranno senso se riusciranno a capire cosa significa pluralismo e democrazia. Adesso sono dei pubblicitari, ingannano con la parola come Goebbels, che diceva che il lavoro rendeva liberi e lo faceva scrivere sui campi di concentramento… Tieni conto che io penso che la parola pubblicità sia buona perché evoca il pubblico. Ma ora è l’opposto: è «privatità». Uno che si fa le leggi per se stesso e per gli amici, eccetera eccetera. Già negli anni Trenta i nazisti fecero la campagna contro il fumo e contro l’amianto e i tumori già si conoscevano e c’era già il mito dello stare in forma. E poi il guarire, e l’ebreo come tumore da estirpare… No, ragazzi, non conosciamo la storia e la storia si può ripetere. Per questo io faccio il partigiano. Riceviamo un’overdose di informazioni, ma siamo abbastanza incapaci di intendere e di volere.
Stiamo nel comma 22 e siamo sempre allo stesso punto: chi è pazzo può essere esonerato dalle missioni, ma chi chiede di essere esonerato dalle missioni non può essere pazzo….
Sei, però, più ottimista: l’hai detto prima.
Decisamente più ottimista. Ho scovato quella che può essere una soluzione: le reti, nella produzione energetica e nell’informazione. Piccole microproduzioni, che generano scambi, così nell’energia, come nei blog. È ovvio che sia necessario stare molto attenti. Perché il nostro governo di marketing è basato sulle parole. Se, in una legge sui diritti d’autore e internet, cambiano la parola lucro con profitto posso rischiare quattro anni di carcere quando scambio un file con un altro. Ma la strada è questa, non esiste altra possibilità. I media non informano, passano ciò che passa il convento, lo spirito critico non esiste, ci resta solo la rete. Usiamola bene. La democrazia è essere in due, uno di là e uno di qua, per scambiarsi le idee.
Fonte:www.unita.it
11.01.05