LEGA NORD, UN BLUFF

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DI ALESSIO MANNINO
La Voce del Ribelle

Era partita con l’idea, sana, di una lotta

che fosse allo stesso tempo politica e morale.

Oggi è un sistema di potere.

Che si nasconde dietro al mito di un Federalismo impossibile

Un bluff: questo si è rivelata essere la Lega Nord. Un movimento sano, popolare, con l’indiscutibile merito di aver dato nuova linfa all’esangue politica italiana nel momento in cui essa crollava sotto le macerie della Prima Repubblica, che dopo vent’anni dalla sua ascesa ha compiuto la parabola dell’imborghesimento dissolvendosi nel corrotto sistema romano. Verde speranza alle origini, verde vomito oggi. Il vomito che viene a tutti quelli che in buona fede vi hanno aderito, l’hanno votata o semplicemente hanno simpatizzato con alcune sue battaglie e adesso la vedono ridotta a ben remunerata guardia bianca del potere. La Lega è morta. Officiamone il requiem.

Bossi fantasma

Del resto, non ha fatto che assumere il volto spettrale del padre-padrone Umberto Bossi. Con quella sua voce rauca e i suoi modi popolani da schietto parvenu, il Senatùr è stato la riscossa di tutta la gente del Nord che ha mandato avanti per decenni la baracca dello Stato italiano svenandosi con turni di lavoro massacranti e un prelievo fiscale vampiresco – un magistrale caso di connivenza fra vittime e carnefici, a dire il vero. Ma il suo egocentrismo dittatoriale, il centralismo piramidale che ha imposto al partito, le periodiche purghe con cui lo ha via via ripulito delle teste pensanti, la fiducia illimitata nel proprio fiuto di giocatore d’azzardo lo hanno rovinato. E la malattia che l’ha colpito anni fa ha completato l’opera. Oggi è la pallida ombra del Bossi che fu. È il fantasma di se stesso: un macilento politicante rimasto prigioniero del proprio mito e degli idoli che s’è fabbricato. Primo fra tutti, il federalismo.

Federalismo impossibile

È l’araba fenice. Questo mitologico meccanismo di governo da cui i leghisti aspettano la salvezza da quando i suoi primi profeti lo annunciavano, inascoltati, fin dai primi anni Ottanta (ricordiamo Franco Rocchetta, fondatore della Liga Veneta, onestissimo uomo di cultura più che animale politico come l’Umberto). Il Carroccio bossiano ce l’ha servito in tutte le salse: la confederazione di tre Stati teorizzata da Gianfranco Miglio, la secessione pura e semplice, la Padania, la devolution. Ora, più prosaicamente, è in navigazione come progetto di riforma impastoiato nel mercato delle vacche parlamentari. Il che fornirà l’ennesimo alibi per confezionarla un’altra volta ancora come futura promessa elettorale. Diciamolo chiaro: il federalismo, ai caporioni della Lega, serve solo a lucrare voti e tirare a campare. È la terza volta che sono al governo con Berlusconi, e durante l’ultima hanno avuto un’intera legislatura per portare a casa non dico tutto il pacchetto, ma quanto meno la scatola. E invece non hanno fatto niente di niente. Da risposta al bisogno reale di autonomia per quelle piccole patrie e per quelle amministrazioni locali che sono il cuore pulsante dell’Italia – che unita per davvero non lo è stata mai – questo benedetto federalismo è stato annacquato e tradito, immiserito a slogan vuoto grazie al quale il partito padano giustifica la propria ragion d’essere. Cosa succederebbe, infatti, se venisse attuato sul serio? A cosa si attaccherebbero, i Calderoli e i Maroni, per strappare la poltrona di ministri? A nulla. La Lega è già defunta poiché è condannata a promettere all’infinito un impegno che non può mantenere. Pena l’autodistruzione.

Partitocrazia padana

Di questo passo il Carroccio è diventato un partito come gli altri. Giusto per stare ai fatti recenti: a Roma vota regalìe a industriali assistiti (Alitalia), copre i buchi di bilancio degli amici di padron Silvio (Roma e Catania), è contraria all’abolizione delle Province (demagogica o no, un’idea che avrebbe incontrato il favore degli arrabbiati della prima ora, affezionati alle “nazioni” lombarda, veneta, piemontese, non ai residuati del decentramento sabaudo), non batte ciglio quando Tremonti è costretto a far marcia indietro sui tagli alle scuole cattoliche (ve lo ricordate il Bossi d’antan, l’antipapista nemico dei “vescovoni”?), si appiattisce sulla politica estera del centrodestra, servile sia con gli Usa invasori di Afghanistan e Irak sia con la Russia genocida in Cecenia (e ora pensate al Senatùr che fa visita a Milosevic quando Belgrado era sotto le bombe Nato).

Nei tanti centri del Nord che amministra, il Carroccio non è meglio. Ammanicato come tutti con le lobby economiche che in ogni città dettano legge ai consigli comunali, è arrivato persino, nella Vicenza in cui vivo, a votare a favore del Dal Molin Usa perché gli Americani portano “schei”, soldi (ma quando mai: l’appalto se lo sono pappato le cooperative cassaforte del Pd). Altro che “padroni a casa nostra”.

E a proposito di soldi, potrei ricordare la vicenda di Credieuronord, la banca “padana” che ha razziato i risparmi di tanti militanti per poi naufragare fra accuse di truffa contro esponenti di primo piano del partito (e poi salvata dal furbetto del quartierino Giampiero Fiorani, amico dell’ex presidente di Bankitalia, don Antonio Fazio, che i leghisti, contraddicendo i loro stessi connotati antropologici, hanno sempre difeso: leghisti per l’“italianità”, proprio così). La partitocrazia, bersaglio preferito delle camicie verdi antemarcia, ha risucchiato la Lega. Facendole perdere l’anima.

Le due anime

Un’anima che fin dai primordi è stata ambivalente. C’era quella, letteralmente buonanima, che si ribellava non solo alle oligarchie dei partiti e della grande industria, ma anche alla globalizzazione trionfante e agli sfrenati eccessi della modernità. Era la riscoperta del “piccolo è bello”, dei dialetti, delle tradizioni locali, delle comunità. Ma accanto a ciò c’era l’anima nera, incarnata dal grosso dell’elettorato leghista: padroncini, commercianti e impiegati psicologicamente devastati dall’idolatria del superlavoro e del conto in banca. Intolleranti, gretti, razzisti (ce l’avevano coi “terroni”, poi con gli “extracomunitari”, oggi coi “terroristi” musulmani), tutto per loro era un problema che al dunque si riduceva alle troppe tasse. Troppe e ingiuste, siamo d’accordo. Ma se le si evade sistematicamente, come fa buona parte del ceto produttivo settentrionale, poi non si può pretendere che lo Stato sia migliore di quello che è. Si lamentano se vengono in ditta le Fiamme Gialle, il fisco oppressore eccetera. Ma è la legge. Sbagliata, certo, ma pur sempre legge. La stessa che è reclamata con la bava alla bocca contro i poveracci, i rom, gli immigrati e i ladri di polli da questi farisei che la infrangono per ragioni di portafoglio. Imparino, piuttosto, che la vita non è solo sgobbare e macinar soldi.

Bassa Lega

E tanto meno è fare politica la masturbatoria memorialistica di un passato morto e sepolto. Si rendono conto, gli organizzatori di feste e sagre in onore della Serenissima Repubblica veneziana, dei Celti (l’ampolla sul Po e trovate simili) e di altri nostalgismi da fissati, che questo loro amore per le radici storiche viene sputtanato in quattro e quattr’otto dagli interessi scopertamente bassi e poltronari dei capi e capetti spediti ad amministrare o a far presenza nella Roma un tempo ladrona? La Lega è di bassa lega, e chi la ammanta di nobili ideali culturali e tradizionali è uno sciocco o un cieco. O, nella peggiore delle ipotesi, si mette al servizio di una mascherata disgustosa. Disgustosa, sì: perché il modello di buon governo di una Venezia dei Dogi, ad esempio, non va smerciato per portar consensi a un partito romanizzato e venduto.

Una contraffazione dopo l’altra: la Padania, inesistente parto della fantasia

di Bossi; lo spirito di libertà che i leghisti

si attribuiscono ma che, come per Forza

Italia, si riduce a fare quello che gli pare.

Questa è una contraffazione bella e buona. Come lo è la Padania, inesistente parto della fantasia bossiana. Come lo è il supposto spirito di libertà che i leghisti si attribuiscono, quando invece per loro libertà è, come i valorosi alleati di Forza Italia, fare quello che gli pare. Soprattutto non avere la scocciatura del “negher” come vicino di casa, ma poi essere ben contento se se lo ritrova come dipendente nella propria puzzolente fabbrichetta. O volere il divieto di culto per i fedeli islamici, per un mal interpretato concetto di reciprocità nei confronti dei paesi musulmani: se da loro niente chiese, da noi niente moschee. Ma quanti di loro le frequentano, le chiese? E se in alcuni Stati a maggioranza musulmana (non tutti, tra l’altro) vige questa restrizione, per quale ragione noi, che ci definiamo “democratici” e in nome della democrazia li invadiamo pure, dovremmo imitarli?

Il Carroccio sopravvive a se stesso. Non fatevi ingannare dalle percentuali alle urne. Quando a Pontida o a Venezia i militanti leghisti, con corna celtiche e passione nordica, inneggiano ai relitti di una Lega che non c’è più, a noi pare di essere spettatori di un documentario sulle balene. Che quando è ora di morire, vanno a riva, al capolinea. E il capolinea di Bossi e dei suoi colonnelli è più vicino di quanto essi stessi credono.

Alessio Mannino – giornalista
Fonte: www.ilribelle.com/

Gennaio 2009 – Anno 2 Numero 4

Note:

– «È da un anno che il potere teocratico dei vescovoni, gli zuccotti rossi, ci martella sistematicamente: pensassero alle anime, piuttosto che agli affari o alla politica».
Umberto Bossi, Ansa, 5 settembre 1997
– «La nuova base è un’opportunità». Manuela Dal Lago (vicepresidente dei deputati della Lega Nord, capogruppo in consiglio comunale a Vicenza ed ex presidente della Provincia di Vicenza), Corriere della Sera, 15 luglio 2006
– “Credieuronord verso la liquidazione. Addio al sogno finanziario della Lega”, Corriere della Sera, 8 novembre 2008
– «Berlusconi ha intenzione di togliere le province ma io gli ho detto di no, in primo luogo perchè è una questione di identità». Umberto Bossi, Ansa, 7 dicembre 2008
– “Bossi incontra Milosevic. Chiamerà Kofi Annan”, Repubblica, 24 aprile 1999

Per gentile concessione de “La Voce del Ribelle”

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