DI PAUL CRAIG ROBERTS
counterpunch.org
L’economia Usa è morta quando i posti di lavoro della classe media sono stati delocalizzati, e il sistema finanziario è stato deregolamentato.
Di tale delocalizzazione hanno beneficiato Wall Street, i dirigenti delle imprese e gli azionisti, in quanto i minori costi del lavoro — ed altri costi — hanno generato maggiori profitti. Questi profitti sono andati agli azionisti come dividendi e ai dirigenti sotto forma di “bonus di risultato”. Wall Street ha beneficiato della crescita dei listini dovuta ai maggiori profitti.
Tuttavia, la delocalizzazione del lavoro ha delocalizzato anche il pil Usa e il potere d’acquisto dei consumatori. Nonostante la promessa di una “New Economy” e di impieghi migliori, i posti di lavoro che hanno rimpiazzato i precedenti sono stati sempre più impieghi part-time e lavori mal retribuiti nei servizi, come commessi, camerieri e baristi.
La delocalizzazione del lavoro e di alcune professioni nel manifatturiero verso l’Asia ha bloccato la crescita della domanda interna Usa, decimando il ceto medio e lasciando un livello di occupazione insufficiente per far sì che tutti i laureati siano in grado di onorare i debiti contratti per la loro formazione. L’ “ascensore sociale” che ha reso gli Stati Uniti una “terra delle opportunità” si è bloccato, nell’interesse di maggiori profitti a breve termine.
Senza una crescita nei redditi dei consumatori che possa guidare l’economia, la Federal Reserve, sotto la guida di Alan Greenspan, ha fatto si che la mancata crescita dei redditi fosse sostituita dalla crescita del debito privato. Sotto il regime di Greenspan, i redditi stagnanti o in calo degli americani, sono “cresciuti” grazie al credito al consumo.
Una fonte di questo credito è stato l’aumento dei prezzi delle case, reso possibile dalla politica di bassi tassi di interesse della Federal Reserve. I consumatori potevano rifinanziare i mutui sulle loro abitazioni – che ora valevano di più – aumentandone l’importo ad un tasso di interesse inferiore, così da poter spendere del capitale nuovo.
La crescita del debito, fortemente correlata ai mutui sulla casa, si è fermata quando la frode perpetrata da un sistema finanziario deregolamentato ha fatto crollare il mercato immobiliare assieme all’azionario. Il salvataggio dei responsabili ha imposto ulteriori costi alle stesse persone che di tutto ciò sono state vittime.
Sotto la presidenza di Bernanke alla Fed l’economia è stata puntellata dal Quantitative easing, un massiccio aumento dell’aggregato monetario al fine di salvare le “banche troppo grandi per fallire”. La liquidità fornita dalla Federal Reserve si è riversata sull’azionario e sui prezzi dei bond, rendendo più ricchi tutti quelli che hanno investito in questi strumenti finanziari. I dirigenti delle aziende hanno aiutato la crescita dei listini utilizzando i profitti aziendali, ed anche l’indebitamento, al fine di riacquistare le azioni delle loro compagnie, creando così dell’altro debito.
I pochi che hanno beneficiato dei prezzi gonfiati degli asset finanziari creati dal Quantitative easing e dai riacquisti di azioni proprie, sono una percentuale molto più piccola della popolazione rispetto a quella coinvolta nell’espansione del credito al consumo dell’era Greenspan. I relativamente pochi ricchi sono in numero insufficente per guidare l’economia.
La politica dei tassi di interesse a zero della Federal Reserve è stata ideata per puntellare i bilanci delle mega-banche, negando invece agli americani i guadagni sugli interessi dei loro risparmi. Questa politica ha diminuito gli assegni dei pensionati e spinto i più anziani a ridurre i loro consumi e/o a prosciugare i loro risparmi più rapidamente, senza lasciare niente ai propri eredi.
Il governo Usa, utilizzando lo specchietto per le allodole dell’inflazione sottostimata e della disoccupazione, ha tenuto in vita una parvenza di ripresa economica. Gli stranieri sono presi in giro dall’inganno continuo del supporto al dollaro Usa creato dalla detenzione di simili strumenti finanziari.
Le modalità ufficiali di misura dell’inflazione sono state “corrette” durante la presidenza Clinton, al fine di sottostimare sensibilmente l’inflazione stessa. Le rivelazioni fanno ciò in due modi. Uno è quello di eliminare quei beni i cui prezzi salgono dal paniere dei beni che compongono l’indice dell’inflazione. Il loro posto è preso da altri beni dai prezzi più stabili.
Per esempio se a New York aumenta il prezzo della lombata, al suo posto verrà inserito il girello di manzo. Il precedente indice ufficiale dell’inflazione misurava il costo di uno stile di vita sempre uguale. L’indice “corretto” misura invece il costo di uno stile di vita in declino.
L’altro modo attraverso cui il metodo di misura “corretto” sottostima il costo della vita è quello di scartare gli aumenti di prezzo visti come “miglioramenti qualitativi”. E’ vero che dei miglioramenti qualitativi possono tradursi in prezzi più alti. Tuttavia, c’è per forza un aumento di prezzo per il consumatore, nel momento in cui il prodotto precedente non è più disponibile. Inoltre, non tutti gli aumenti di prezzo comportano dei miglioramenti qualitativi; vi sono anche diversi aumenti di prezzo che non lo sono, e che possono essere male interpretati come “miglioramenti qualitativi”.
Con queste due “riforme” abbiamo avuto dell’inflazione non rilevata e uno stallo degli adeguamenti di trattamento verso i beneficiari del welfare. Il calo nei redditi reali di tali beneficiari ha inoltre impattato negativamente sulla domanda aggregata dei consumatori.
La sottostima artefatta dell’inflazione ha spinto le persone a credere che l’economia Usa fosse in ripresa. Più è basso il tasso di inflazione, maggiore risulta il PIL reale, dal momento che il PIL nominale è corretto in base all’inflazione rilevata. Sottostimando l’inflazione, il governo Usa ha sovrastimato la crescita del PIL.
Quello che ho scritto è accertato e facilmente verificabile; i giornali finanziari inoltre non mettono in dubbio la propaganda che sostiene la percezione che l’economia americana sia solida. Questa “psicologia” accuratamente coltivata, fa sì che il resto del mondo investa in dollari, sostenendo così la House of Cards.
John Maynard Keynes ha capito che la Grande Depressione è stata la conseguenza di una domanda dei consumatori insufficente ad assorbire i beni prdotti dall’industria. La politica macroeconomica successiva alla Seconda Guerra Mondiale era incentrata sul mantenimento di una domanda aggregata sufficiente ad evitare una disoccupazione elevata. Le politiche dell’offerta del presidente Reagan hanno corretto con successo un difetto nella politica macroeconomica keynesiana, consentendo all’economia Usa di funzionare senza la stagflazione derivata dal peggioramento del trade-off della Curva di Philips [ cioè da un aumento dell’inflazione seguito da un aumento della disoccupazione invece che da un calo ndr ]. Nel 21° secolo, la delocalizzazione del lavoro ha esaurito la capacità della domanda dei consumatori di mantenere la piena occupazione negli Usa.
La misura della disoccupazione riportata dalla stampa “prostituita” non significa nulla, dal momento che essa non considera i cosiddetti “scoraggiati”, e i lavoratori scoraggiati sono una grossa fetta della disoccupazione Usa. Il tasso di disoccupazione rilevato è del 5% circa, che risulta dalla rilevazione del tipo U-3*, la quale non considera come disoccupati tutti quei lavoratori troppo scoraggiati per continuare a cercare un impiego.
Il governo Usa adopera anche un altro tipo di rilevazione della disoccupazione, quella definita U-6, che considera anche i lavoratori scoraggiati da meno di una anno. Questo tasso di disoccupazione ufficiale è del 10%.
Nel momento in cui i lavoratori scoraggiati a lungo termine (più di un anno) vengono inclusi nella rilevazione della disoccupazione, come si faceva un tempo, il tasso di disoccupazione Usa risulta del 23%. (Vedi John Williams, shadowstats.com).
Stimoli monetari e fiscali possono richiamare al lavoro dei disoccupati se vi sono ancora dei posti di lavoro per essi. Ma se il lavoro è stato delocalizzato, le politiche monetarie e fiscali non possono funzionare.
La delocalizzazione del lavoro sposta il PIL Usa verso quei paesi nei quali le aziende hanno spostato il lavoro. In altre parole, assieme al lavoro lasciano il paese le carriere dei lavoratori, il potere d’acquisto dei consumatori e la base imponibile dello stato e delle amministrazioni, locali e federali. In tutto ciò solo pochi americani risultano vincitori: gli azionisti delle aziende che hanno delocalizzato e i dirigenti delle compagnie che intascano “bonus di risultato” multi-milionari per aver aumentato i profitti abbassando il costo del lavoro. E naturalmente ci sono gli economisti che ricevono finanziamenti, contratti per conferenze e poltrone nei consigli di amministrazione per aver perorato la bontà delle politiche di delocalizzazione che peggiorano la distribuzione dei redditi e della ricchezza. Un’economia gestita per pochi beneficia solo quei pochi, e non importa quanto grandi siano i loro redditi: essi non possono di certo spendere abbastanza per mantenere l’economia in crescita.
Nel 21° secolo la politica economica degli Usa ha distrutto la capacità di crescita della domanda aggregata reale. Gli economisti negheranno ciò, perché essi sostengono in maniera interessata la globalizzazione e la delocalizzazione. Essi distorcono la realtà della delocalizzazione e del libero mercato, e dal momento che nella loro ideologia il libero mercato è a beneficio di tutti, sostengono che l’America stia beneficiando delle delocalizzazioni. Eppure essi non possono assolutamente mostrare alcuna prova di questi presunti benefici. (Vedi il mio libro, Il fallimento del Capitalismo del lassez-faire e la dissoluzione economica dell’Occidente).
Da economista, è per me un mistero come un economista possa pensare che un’economia che non produce la gran parte dei beni che consuma possa sostenere l’acquisto di questi beni. Da dove vengono i redditi per pagare le importazioni quando queste ultime sono ingrossate dai beni delle imprese delocalizzate?
Ci è stato detto che i guadagni sarebbero venuti dalla creazione di posti di lavoro ben retribuiti dalla “New Economy”, ma né i report degli addetti alle risorse umane, né le proiezioni del Dipartimento del Lavoro sui posti di lavoro futuri mostrano alcun segno di questa mitica “New Economy”.
Non c’è nessuna “New Economy”. La “New Economy” è come la promessa dei neocon che la guerra in Iraq sarebbe stata una passeggiata di sei settimane ripagata dai profitti sul petrolio Iracheno, piuttosto che un costo di 3000 miliardi di dollari a carico dei contribuenti americani (secondo Joseph Stiglitz e Linda Bilmes) e una guerra per tutto il 21° secolo fino ad oggi, e diventa sempre più rischiosa.
La “New Economy” americana è l’economia del Terzo Mondo americano, nella quale gli unici posti di lavoro creati sono a bassa produttività, servizi sottopagati non esportabili e non in grado di generare entrate da export con le quali finanziare beni e servizi prodotti all’estero per il consumo Usa.
La massiccia crescita del debito causata dalle guerre senza fine di Washington dell’egemonia neocon minacciano oggi la sicurezza sociale e il sistema di welfare nel su complesso. I media “prostituiti” invece di addebitare ciò alla politica che ha devastato gli americani, incolpano gli americani che da tale politica sono stati danneggiati.
All’inizio del mese ho postato alcune testimonianze dei lettori sulla fosca situazione del lavoro in Ohio, Sud Illinois e Texas. Nel numero di Marzo di Chronicles, Wayne Allensworth ha descritto il declino delle citadine rurali americane e delle un tempo grandi città industriali come una conseguenza del “capitalismo globalizzato”. Una piccola parte di persone enormemente ricche dominano su quelli che “sono stati lasciati indietro”: una classe media che arranca ed un crescente sottoproletariato. Secondo un sondaggio dello scorso autunno, il 53% degli americani afferma di sentirsi uno straniero nella propria terra.
Senza dubbio questi americani non hanno rappresentanza politica. Dal momento che Democratici e Repubblicani lavorano per aumentare l’età pensionabile al fine di ridurre la spesa per la sicurezza sociale, gli esperti dell’Università di Princeton riportano che i tassi di mortalità per la classe lavoratrice bianca sono in crescita. Il governo Usa non sarà soddisfatto fino a quando nessuno vivrà abastanza a lungo da poter accedere al sistema pensionistico.
Il governo degli Stati Uniti ha abbandonato tutti quanti ad eccezione dei ricchi.
Nella frase che apre quest’articolo, ho detto che i due killer dell’economia americana sono la deregolamentazione finanziaria e la delocalizzazione. La deregolamentazione ha accresciuto massicciamente la capacità delle grandi banche di finanziarizzare l’economia. La finanziarizzazione è il dirottamento del flusso di entrate verso il servizio del debito. Quando il ripagamento del debito assorbe la gran parte del reddito disponibile, l’economia sperimenta una deflazione da debito. Il pagamento del debito lascia troppo poche risorse per acquistare beni e servizi e i prezzi calano.
Micheal Hudson, sul quale ho scritto di recente, è un esperto di finanziarizzazione. Il suo libro, Killing the Host, che vi ho raccomandato, racconta la storia completa. In breve, la finanziarizzazione è il processo attraverso il quale pochi creditori capitalizzano il surplus di esercizio di un’economia attraverso il pagamento di interessi su prestiti da essi concessi. Forse un esempio potrebbe essere quello di un’impresa che si indebita per il riacquisto delle proprie azioni. L’impresa raggiunge una temporanea crescita del prezzo delle azioni al costo di anni di pagamento di interessi che drenano i profitti dell’impresa e (nel lungo periodo) fanno calare il prezzo delle azioni.
Micheal Hudson si concentra sulla conversione del valore di rendita di un immobile in pagamento di un mutuo. Egli sottolinea come gli economisti classici intendevano basare la tassazione non sulla produzione, ma sulla rendita economica. La rendita economica è il valore dovuto ad una locazione o ad una posizione di monopolio. Per esempio, una proprietà di fronte al mare ha un prezzo più alto a causa della locazione. La differenza di valore tra una proprietà di fronte al mare e una in una posizione ordinaria è una rendita economica, non una produzione di valore. Un monopolio non regolato può aumentare il prezzo di un servizio ad un prezzo superiore a quello di mercato.
La proposta di tassare la rendita economica non significa tassare gli affitti che si pagano ai proprietari o tassare i proprietari sull’affitto che ricevono così da spingerli a cessare la locazione. Per rendita economica Hudson intende, per esempio, l’aumento di valore dei terreni dovuto ad un progetto di infrastrutture pubbliche come strade o linee della metro. L’aumento di valore di un terreno raggiunto da una nuova strada o di un’area commerciale lungo una nuova linea della metro non è dovuto ad un intervento dei proprietari. Questo aumento di valore potrebbe essere tassato al fine di finanziare il progetto stesso piuttosto che caricarlo sulla fiscalità generale. L’aumento di valore dei terreni, invece, ne accresce le quotazioni e di conseguenza il capitale che i creditori sono disposti a concedere in prestito su garanzia dell’immobile. I nuovi acquirenti e gli attuali proprietari, possono chiedere in prestito cifre più alte, e i mutui più grossi veicolano il valore aumentato dei terreni verso i pagamenti degli interessi ai creditori. I creditori dei mutui si trovano ad essere i maggiori beneficiari delle infrastrutture pubbliche che aumentano il valore delle proprietà immobiliari.
Analogamente, a meno che l’economia venga finanziarizzata ad un punto tale che non sia più possibile ripagare i mutui, quando le banche centrali abbassano i tassi di interesse il valore delle proprietà cresce, e questo valore può essere capitalizzato nell’aumeno dei mutui.
Un ulteriore esempio potrebbe essere la riduzione delle tasse sulla casa e una legge simile alla Proposta di legge n° 13 della California che congela interamente o parzialmente l’imposta di base sulle proprietà immobiliari.
Tassare la rendita economica impedirebbe al sistema finanziario di capitalizzare la rendita in strumenti di debito che pagano interessi al settore finanziario. Se consideriamo il totale delle rendite che possono essere tassate, questa tassazione alleggerirebbe le attività produttive dalle imposte di vendita e sul reddito, abbassando pertanto i prezzi al consumo e liberando dalla tassazione il lavoro e le attività produttive.
Essendoci così tante rendite immobiliari già capitalizzate in strumenti di debito, spostare il carico fiscale sulla rendita economica risulterebbe molto arduo. Ciò nonostante, l’analisi di Hudson ci mostra come la finanziarizzazione, e non la riduzione salariale, è il principale strumento di sfruttamento, e ciò avviene attraverso la conversione finanziaria del flusso dei profitti nel pagamento degli interessi sul debito.
Mi ricordo quando il limite all’ammontare della rata dei mutui era un quarto del reddito familiare. Oggi il servizio al debito può arrivare fino alla metà del reddito. Questa crescita fuori dal comune toglie spazio alla produzione di beni e servizi dato il minore reddito familiare disponibile per gli acquisti.
Micheal Hudson ed io mettiamo in stato di accusa di tutta la professione economica neoliberista, gli “economisti spazzatura” come li definisce Hudson.
Paul Craig Roberts
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2016/02/19/the-us-economy-has-not-recovered-and-will-not-recover/
19.02.2016
Traduzione per comedonchisciotte.org a cura di VALENTINO FANCELLO
* https://en.wikipedia.org/wiki/Unemployment#United_States_Bureau_of_Labor_statistics