L'ECONOMIA USA DI NUOVO VERSO LA TEMPESTA

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DI JACK RASMUS

counterpunch.org

I dati pubblicati la scorsa settimana da parte del governo degli Stati Uniti hanno mostrato la battuta d’arresto dell’economia Usa nei primi tre mesi del 2015, con una crescita che cade quasi a zero – cioè un tasso di crescita di appena 0,2 per cento annuo per il trimestre gennaio-marzo. E’ la quarta volta che l’economia degli Stati Uniti negli ultimi quattro anni va in stallo o addirittura retrocede. Quattro volte in quattro anni la locomotiva si è inceppata. Allora, cosa sta succedendo?

Nel 2011, l’economia statunitense è crollata di 0.1 per cento in termini di tasso di crescita annuale. Alla fine del 2012, vi fu un mero 0,2 per cento di declino iniziale. Nei primi mesi del 2014, in realtà è diminuita del 2,2 per cento. JACK RASMUS

E ora nel 2015 è essenzialmente piatta ancora una volta (0,2 per cento). I numeri sono in realtà ancora peggiori, se si scontano gli effetti della ridefinizione del PIL che è stata effettuata dagli Stati Uniti nel 2013, contando nuove categorie all’interno del Pil, come la spesa in R & S, che per decenni non era stata considerata- in effetti dal 2013 stiamo creando crescita economica tramite manipolazione statistica. Quelle altamente discutibili aggiunte di definizione alla crescita hanno contribuito per circa 500 miliardi di dollari l’anno per le stime di crescita degli Stati Uniti (circa 0,3 per cento del PIL statunitense).Al netto di queste aggiunte, gli Stati Uniti hanno sperimentato crescita negativa del PIL per quattro volte negli ultimi quattro anni. Otteniamo -0.2 per cento nel 2011, 0 per cento nel 2012, -2,5 per cento nel 2014 e -0,1 per cento all’inizio di quest’anno.

Si può quindi sostenere che gli Stati Uniti abbiano sperimentato almeno una lieve recessione ‘double dip’, e forse due, dal 2010.

Tutte le mini-recessioni degli Stati Uniti si sono verificate successivamente a trimestri precedenti in cui la crescita era stata sufficientemente solida da generare vaticini da parte di politici ed esperti circa il fatto che l’economia americana avesse finalmente ‘svoltato l’angolo’ e ora fosse su un percorso di ripresa economica sostenuta. Eppure, ogni volta che sono state fatte queste affermazioni, la realtà ha contraddetto le loro previsioni nel giro di pochi mesi, e l’economia è crollata di nuovo, creando uno scenario non di ripresa economica sostenuta, bensì di una traiettoria ‘stop and go’.

La conseguenza di questa ripresa ‘stop and go’ è che l’economia degli Stati Uniti dal 2009 – la fine ufficiale dell’ultima recessione – ha sperimentato la più debole ripresa dalla recessione nel corso degli ultimi 50 anni, quasi la metà della normale ripresa post-recessione. E questa ripresa ‘metà normale’ dal 2009 si verifica dopo una crescita annua media del solo 1,7 per cento negli anni 2001-2010. Qualcosa di nuovo sta accadendo nell’economia americana dal 2000. Di cosa si tratta?

Le recessioni negli Stati Uniti si sono verificate in media ogni 7 anni. Sono passati cinque anni da quando l’ultima recessione si è ufficialmente conclusa nel giugno 2009. Che cosa succede se l’attuale ripresa debole raggiungesse la sua fine in circa 7 anni, vale a dire a metà 2016? Sarà la prossima recessione a rivelarsi ancora peggio, forse molto peggiore?

Purtroppo, tali domande non sono considerate dalla maggior parte degli economisti mainstream, e certamente non dai politici e dagli esperti dei media commerciali.

“Stop and go” in un’economia globale ingessata

ll problema della debole ed erratica ripresa negli Stati Uniti oggi è ulteriormente aggravato da una economia globale che continua a rallentare ancora più rapidamente e, caso dopo caso, a scivolare sempre più nella recessione o (al meglio) nella stagnazione.

I segni di debolezza e di stress per l’economia globale sono ovunque e in crescita. Nonostante massicce iniezioni di denaro dalla sua banca centrale nel 2013, e di nuovo nel 2014, l’economia giapponese è caduta nel 2015, per la quarta volta, in recessione.

Dopo aver sperimentato due recessioni dal 2009, l’economia europea è anche nel trend verso la stagnazione, perdipiù dopo, come il Giappone, aver appena introdotto un’iniezione monetaria da 60 miliardi di dollari al mese – acquista dalla Banca centrale – lo scorso inverno. Nonostante il clamore che ogni giorno percepiamo nella stampa economica, la disoccupazione nell’Eurozona è ancora ufficialmente al 11,4 per cento, e in paesi come la Spagna e la Grecia è ancora al 24 per cento. Eppure sentiamo che la Spagna è ora il “good guy” della zona euro, tornata a una crescita robusta. La crescita per chi? Certamente non il 24 per cento ancora senza lavoro, un tasso che non è cambiata negli ultimi anni. Le imprese europee con sedi in Spagna stanno facendo meglio, avendo imposto severe “riforme del mercato del lavoro ‘sui lavoratori locali, al fine di abbassare i salari per ridurre i costi e aumentare le esportazioni spagnole. Nel frattempo, l’Italia resta la pecora nera economica della zona euro, ancora in recessione ormai da anni, mentre la Francia registra ufficialmente una lievissima crescita, ma è probabile che sia solo una foglia di fico. Le Elites in Italia e Francia sperano di copiare le “riforme del mercato del lavoro” della Spagna (leggi: tagliare i salari, le pensioni, e rendere più facile il licenziamento dei lavoratori full time). Al fine di stimolare la crescita, l’Italia sta prendendo in considerazione, o potrebbe aver già deciso, di ridefinire il suo tasso di crescita includendo le prestazioni di prostitute e i frutti dello spaccio di droga all’interno del calcolo del PIL. Sono stati gli USA ad inaugurare questa strana moda di ritoccare il PIL con prostitute e quant’altro.

Dall’altra parte della zona euro, la maggiore economia dei suoi 18 paesi ancora non ha raggiunto i livelli che aveva nel 2007, prima dell’inizio dell’ultima recessione. A differenza del ‘stop and go’ che vediamo negli Usa, l’Europa è stata ‘stop-go-stop’

Anche al di là della zona euro, nell’Europa (anche fuori dall’euro) il quadro non è molto migliore. Dopo un breve, artificiale boom immobiliare alimentato da investimenti esteri, il Regno Unito si sta sviluppando di nuovo ad un mero tasso dello 0,3 per cento. E poi c’è la Cina, dove la crescita economica continua a rallentare, nonostante i molteplici programmi di stimolo fiscale e monetario introdotti negli ultimi due anni per cercare di aumentare ulteriormente l’economia. E il rallentamento globale non si applica solo alle maggiori economie. Le economie emergenti in America Latina, in Africa e altrove, che sono particolarmente dipendenti dalla produzione delle materie prime e delle esportazioni verso la Cina, stanno scendendo una per una in recessione, o nella migliore delle ipotesi sono stagnanti.

Eppure, nonostante questa crescente debolezza economica globale, e le ripetute ricadute economiche annuali dell’economia degli Stati Uniti , ci viene ancora detto che l’economia americana è sana e che trascinerà il resto dell’economia mondiale verso una crescita economica sostenuta già quest’anno e anche il prossimo.

E’ colpa del clima!

Ci è stato detto il calo della crescita degli Stati Uniti negli ultimi due anni – dal gennaio-marzo 2015 e prima nel 2014 – sia stato a causato dal ‘maltempo’. E che la prossima estate 2015 l’economia statunitense rimbalzerà di nuovo, come ha fatto la scorsa estate 2014.

Ma davvero le temperie meteorologiche sono realmente la causa del recente rallentamento degli Stati Uniti? Non proprio. Anche gli economisti stessi ammettono che, al massimo, solo lo 0,5 per cento del declino dell’ultimo trimestre può essere attribuito al tempo. Se il quarto trimestre 2014 il PIL degli Stati Uniti è stato del 2,2 per cento, in altre parole, allora solo -0.5 per cento del calo è stato a causa del tempo. E per quanto riguarda l’altro -1.5 per cento del calo registrato dal quarto al primo trimestre 2015?

Uno sguardo più attento mostra che almeno il -1,25 per cento di quel -1,5 per cento è dovuto al forte calo delle esportazioni americane. Questo calo è dovuto in gran parte al forte rialzo del dollaro in valore rispetto alle altre valute dallo scorso autunno. Un dollaro in aumento rende le esportazioni americane più costose. Gli esportatori americani perdono verso i concorrenti cinesi, europei, giapponesi. Dal momento che le esportazioni statunitensi sono in gran parte merci, ciò significa che la produzione degli Stati Uniti rallenta. E questo a sua volta significa che la crescita Usa rallenta.

La ragione per l’ascesa del dollaro è triplice. In primo luogo, deriva dallala segnalazione della banca centrale degli Stati Uniti dell’intento di alzare i tassi di interesse statunitensi quest’anno. In secondo luogo, il crollo dei prezzi mondiali del petrolio che anche ha fatto salire il dollaro. In terzo luogo, le massicce iniezioni di denaro da parte delle banche centrali di Europa e Giappone, sotto forma di ‘quantitative easing’ (QE), programmi che sono stati progettati per ridurre il valore dell’euro e lo yen, al fine di ottenere un vantaggio competitivo per le esportazioni della loro regione a spesa degli esportatori statunitensi.

Che cosa sta succedendo nel mondo di oggi è che il globo sta rotolando verso una guerra delle “svalutazioni competitive” delle monete per mezzo di iniezioni monetarie della banca centrale.Uno scenario simile agli anni Trenta. I paesi svalutano le loro monete palesemente, nel tentativo di aumentare le loro economie “rubando” le esportazioni dei concorrenti. Il problema di questa strategia è che tutti potrebbero farlo, e così è stato. Così nessuno ha guadagnato alla fine e l’economia globale e il commercio sono affondati ulteriormente. La nuova forma odierna di svalutazione competitiva non è diversa dalle precedenti. Essa segnala che le principali regioni capitaliste del mondo – cioè il Nord America, Europa, Giappone, e ora anche la Cina – stanno cominciando a litigare per una torta economica globale a più lenta crescita. Le svalutazioni stanno sono solo assumendo una forma diversa. Non più dichiarazione politica ma iniezione monetaria da parte delle banche centrali.

Nei primi mesi del 2014 il Giappone ha introdotto il suo QE. Ha guadagnato un vantaggio commerciale temporaneo. Ma allora l’Europa ha fatto lo stesso. Il Giappone ha perso il suo vantaggio, che l’Europa ha guadagnato. Gli Stati Uniti hanno perso di più in termini di esportazioni, dal momento che il dollaro è salito per due ragioni – le valute Giappone e in Europa in calo e aumenti di tassi di interesse previsti da noi.

Ma più di recente, la banca centrale americana ha segnalato che i tassi di interesse non possono aumentare quest’anno. Oops. Ci perdono l’Euro e lo Yen una volta di più e le loro economie stanno scivolando di nuovo. Questa altalena, avanti e indietro, in lotta per una torta di commercio in contrazione, rivela solo una nuova instabilità crescente nell’economia globale. L’Europa in particolare sarà presto martellata da un potenziale default del debito greco, un continuo implodere dell’ economia ucraina che l’Europa si è impegnata a tirare fuori dai guai, e ora gli Stati Uniti indicano che non alzeranno i tassi. Guardiamo il Giappone: sarà costretto probabilmente di nuovo a svalutare per compensare le misure degli Stati Uniti e le misure in Europa. Nel frattempo, la Cina continua a rallentare: potrebbe eventualmente ridurre lo yuan per aumentare le sue esportazioni.

Questo scenario globale significa che l’economia statunitense si è significativamente indebolita nel primo trimestre 2015, a causa non delle bizzarrie meteo, ma a causa della perdita delle esportazioni mondiali. Ma la concorrenza del commercio e le guerre valutarie non sono l’unica spiegazione per il collasso dell’economia statunitense nell’ultimo trimestre.

Crollo dei prezzi del petrolio e al rallentamento dell’economia Stati Uniti

Un altro importante sviluppo nel 2014 negli Stati Uniti, che è scomparso all’inizio del 2015, è stato il boom dello Shale Gas Oil. Dopo aver raggiunto livelli record nel primo semestre del 2014, contribuendo in gran parte per l’estate 2014 US all’aumento del 5 per cento del PIL, il prezzo globale del petrolio è crollato. Entro la fine del 2014 il crollo era in pieno svolgimento. Gli investimenti in questo settore sono scesi di quasi la metà, l’attività edilizia regionale nell’area Dakota-Texas è scesa bruscamente, così come l’attività estrattiva come pozzi di petrolio / gas sono state chiuse, e attività come ferrovie e trasporto di rifiuti sono in difficoltà. Un importante contributo alla crescita economica negli Stati Uniti così è scomparso all’inizio del 2015. Cosa c’è di significativo, del resto, è che non tornerà nel 2015. Così la ‘ripresa’ americana non avrà più a disposizione questo carburante nel 2015.

Spesa dei consumatori nella sanità

Un altro fattore temporaneo che ha contribuito all’impennata estate 2014, che anche è scomparso, è la la spesa delle famiglie dei consumatori sui servizi sanitari. La scorsa estate è stato il primo anno completo di sign-up di 10 milioni di famiglie al programma assicurativo ‘Affordable Care’ di Obama. La spesa per i nuovi premi assicurativi e sui servizi di assistenza sanitaria per milioni di nuovi clienti per la prima volta, è servita a dare al PIL degli Stati Uniti la scorsa estate 2014 un’altra spinta importante. Ma quelle iscrizioni si sono stabilizzate. La maggior parte di coloro che hanno voluto firmare lo hanno fatto. La crescita futura in assicurazione sanitaria e servizi di assistenza sanitaria si è quindi stabilizzato.

Così come l’impennata shale gasolio e il vantaggio derivante da esportazione-commercio, l’assistenza sanitaria di contributo spese è stata un fattore estemporaneo e non ripetibile.

Perché gli Stati Uniti continueranno su una traiettoria ‘stop and go’

Ci sono tre cause fondamentali per cui l’economia statunitense continuerà sulla sua traiettoria stop and go di recupero fino alla prossima recessione nel 2016 o dopo.

In primo luogo, vi è salario insufficiente e crescita del reddito modesta per i circa 100 milioni di salariati di famiglie che costituiscono la maggior parte della spesa dei consumatori negli Stati Uniti, che rappresentano circa il 70 per cento dell’economia degli Stati Uniti ogni anno. A sua volta, la ragione per la mancanza del salario e del reddito da queste famiglie è la mancanza di impieghi a tempo pieno e di una decente creazione di posti di lavoro nell’economia Usa. I lavori che si stanno creando sono a salari bassi, senza alcuna garanzia, perlopiù part-time. Tanti posti di lavoro nei servizi, e pochi posti di lavoro manifatturieri o di costruzione. Il consumo della classe operaia è anche compresso dall’incapacità di guadagnare interessi sui conti di risparmio di base. Poi c’è l’indebitamento delle famiglie, per i prestiti d’istruzione dei figli o per gli acquisti di auto o per le carte di credito, che prende la sua parte.

In secondo luogo, c’è la mancanza di spesa per investimenti da parte delle imprese. Grandi multinazionali, in particolare, continuano a preferire a investire al di fuori degli Stati Uniti piuttosto che in essi. Quando non investono all’estero, preferiscono ‘passare’ i loro profitti da record sul riacquisto di azioni proprie e distribuzione di dividendi agli azionisti.. Poi c’è il loro investimento in crescita nei mercati delle attività finanziarie e di titoli, che ora costituiscono circa il 25 per cento di tutto l’investimento aziendale. E quello che non investono in attività finanziarie, investono all’estero, o “passano” in riacquisti e dividendi, hanno appena accumulano in contanti nei loro bilanci, come riferito oggi, al di sopra di US 1.700 miliardi dollari nelle loro filiali offshore. Nessuna di queste alternative può provocare un boom di quel vero e proprio investimento che crea posti di lavoro dignitosi, con retribuzione e benefici decenti. Quindi, i consumi da parte delle 100 milioni di famiglie ristagnano o vengono addirittura rinviati.

In terzo luogo, non c’è ripresa sostenuta sul vicino orizzonte, perché il governo degli Stati Uniti ha chiaramente deciso di crescere solo le spese per la difesa. Il nuovo Partito Repubblicano che domina nel Congresso insiste sul taglio dei programmi sociali ulteriormente, anche su i programmi sacrosanti come Medicare per gli anziani. Nel primo trimestre, scomponendo il PIL degli Stati Uniti, la spesa da parte dei governi statali e locali ha rallentato notevolmente, così come la spesa federale per prodotti e progetti non-difesa.

Invece della crescita sostenuta, lo scenario è ‘stop and go’: questo o quel fattore temporaneo si verificano per incrementare il PIL degli Stati Uniti e la crescita temporanea, seguiti da altri sviluppi temporanee che, a sua volta poi trascinano il Pil torna a zero o crescita negativa. In aggiunta a di questo scenario continua l’instabilità economica della zona euro, una nuova crescita stagnante del Regno Unito, la discesa del Giappone in un’altra recessione, la lotta della Cina per mantenere il 7 per cento di crescita (Pechino è quasi certa di scendere al di sotto di tale livello), produttori di materie prime dei mercati emergenti che sono già in recessione, e una ripresa americana debole già al suo 5 ° anno di una media di sette anni del ciclo, allora ciò che rimane è un probabile ulteriore calo sul lungo termine, caratterizzato da crescita a singhiozzo degli Stati Uniti accompagnata da un’economia mondiale in perenne rallentamento.

Jack Rasmus è autore di un libro in prossima uscita: “Systemic Fragility in the Global Economy”. Cura un blog economico molto apprezzato (jackrasmus.com)

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2015/05/14/us-economy-collapses-again/

14.05.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di BUCANIERE

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