DI AMBROSE EVANS PRITCHARD
Redazione: il Brasile dovrà affrontare una “tempesta perfetta”, insieme a molti altri paesi emergenti. Crisi economica, crisi politica, impossibilità di avviare politiche di stimolo. L’economia cinese è “dura fuori e morbida dentro”, salverà se stessa ma farà precipitare quella degli altri paesi. La Turchia potrebbe essere il primo paese sulla linea del fuoco. (Ndr)
Mentre gli investitori fuggono dai mercati dei paesi emergenti e i prezzi delle materie prime si sbriciolano, le valute di Brasile, Messico, Sudafrica e Turchia sono precipitate su minimi che non si registravano da molti anni.
Questi drastici movimenti fanno seguito sia ai timori per l’imminente stretta monetaria della Federal Reserve, che alle cifre incredibilmente deboli provenienti dalla Cina. Sono forti i timori che il paese possa scivolare in una crisi ancor più profonda e che possa spargere i suoi tremori in Asia Orientale, America Latina ed Africa.
Il “Caixin/Markit Manufacturing Index” per la Cina è sceso a Luglio al minimo degli ultimi 15 mesi, a 48.2, conseguenza del forte calo di nuovi ordini all’esportazione. Visto l’inizio dell’anno, la Danske Bank ha dichiarato che questo scivolone “getta acqua fredda” sulle speranze per una rapida uscita dalla crisi.
Il Real brasiliano è crollato al minimo degli ultimi 12 anni, a 3.34 sul dollaro, valore che riflette la pesante dipendenza del paese dalle esportazioni di minerale di ferro e di altre materie prime in Cina.
La svalutazione stringe il cappio sulle aziende brasiliane, sedute su 188 miliardi di dollari di debiti che sono stati concessi durante i giorni gloriosi del boom delle materie prime. Il solo gruppo petrolifero Petrobras ha raccolto 52 miliardi di dollari sui mercati obbligazionari statunitensi.
Il Peso messicano ha raggiunto un minimo storico, a 16.24 contro il dollaro. La “Commissione di Cambio” del paese, per difendere la moneta, ha dato il via a delle azioni di emergenza piuttosto pasticciate, nonostante le autorità messicane fossero contrarie ad immischiarsi con le forze di mercato.
Il Peso colombiano è crollato, Venerdì scorso, del 5.2% in un solo giorno, raggiungendo un minimo storico. Drammi simili si sono verificati anche in Cile ed in una serie di paesi considerati vulnerabili alle ricadute provenienti dalla Cina e dagli Stati Uniti. L’indice dei titoli azionari dei mercati emergenti, lo MSCI, è sceso dell’1.8%, a quota 36.92, e potrebbe presto raggiungere il minimo degli ultimi quattro anni.
Bernd Berg, della Société Générale, ha detto che il Brasile dovrà affrontare una “tempesta perfetta”. L’economia scivolerà in una recessione ancor più profonda e verranno alla luce molti scandali legati alla corruzione. Nuove preoccupazioni per il rischio politico, inoltre, potrebbero presto spingere il Real a quota 3.60 sul dollaro, un livello una volta impensabile.
C’è la crescente preoccupazione, inoltre, che la Presidentessa Dilma Rousseff possa essere messa sotto accusa per la sua incapacità a fermare i pervasivi illeciti della Petrobras.
I travagli del Brasile arrivano proprio quando gli Stati Uniti si stanno avvicinando alla piena occupazione e la Fed si sta preparando ad alzare i tassi d’interesse, per la prima volta in otto anni. Tutto ciò equivale ad un “margin call” [quando il valore dei beni dati in garanzia scende sotto ad un certo valore e deve essere ripristinato] per i mercati dei paesi emergenti, che hanno preso in prestito 4.500 miliardi in dollari.
Il Sig. Berg ha aggiunto che il debito del Brasile potrebbe essere tagliato a livello “spazzatura” nei prossimi mesi. Sarebbe un colpo decisamente umiliante per un Paese che pensava di essere sfuggito al ciclo infinito costituito dal boom del debito giunto al malgoverno populista, e che si considerava un pilastro del nuovo ordine globale guidato dai BRICS.
In Sud Africa, Venerdì scorso, il Rand è crollato al minimo-record di 12.68 per dollaro, nonostante il tentativo della Banca Centrale di difendere la propria moneta, alzando i tassi d’interesse di un quarto di punto, al 6%, il giorno precedente.
Il Sudafrica fa parte di un numero crescente di paesi emergenti che hanno perso il loro spazio di manovra e sono costretti a restringere la politica monetaria nel pieno di una crisi, aggravandone gli effetti.
Per attutire il colpo, questi paesi non possono attuare politiche monetarie espansive o ricorrere ad altre forme di stimolo, perché rischierebbero una fuga di capitali e, potenzialmente, la classica “corsa verso l’uscita” [dai loro mercati]. Questo sincronizzato inasprimento “pro-ciclico” è pericoloso anche per il mondo nel suo complesso, perché i mercati emergenti costituiscono, ora, quasi la metà del PIL mondiale e, almeno fino a quest’anno, i 4/5 della crescita.
Stephen Jen, della “SLJ Macro Partners”, ha detto che la crisi della Cina sta dimostrando di essere “dura fuori e morbida dentro”. Può essere gestibile per la Cina, con il paese che si sposta dall’industria pesante ai servizi, ma sarà brutale per i paesi che si sono nutriti del boom edilizio cinese.
Egli ha detto che: “La Cina è senz’altro in grado di gestire un atterraggio morbido, a preoccupare sono i paesi la cui economia si basa sulla sua crescita”.
La crescita dei paesi emergenti – Cina esclusa – è scesa allo 0.1%. Questi paesi sono quindi sull’orlo di una recessione. Subiscono colpi da due fronti diversi, con la Fed che non sembra voglia rinunciare all’aumento dei tassi nel prossimo Settembre, che peraltro sarà solo il primo, probabilmente, di una lunga serie.
I complicati “feedback loops” [circuiti di retroazione in cui la struttura del sistema che causa l’uscita da un nodo influenza anche l’ingresso in quello stesso nodo, nell’ambito di un classico circuito causa/effetto] che hanno creato l’intrecciatissimo boom cino-americano degli ultimi dieci anni – e aiutato di molto i mercati dei paesi emergenti – stanno ora andando in retromarcia, quasi come una forma di vendetta.
Il Sig. Jen ha detto che, quando la Fed premerà il grilletto, i paesi più deboli dovranno affrontare il rischio di “un arresto improvviso dei flussi di capitali”: “Ci aspettiamo, quest’anno, la violenta liquidazione di alcune delle valute dei mercati emergenti”.
I traders dicono che la Turchia potrebbe essere il primo paese sulla linea del fuoco. Le società e le banche turche hanno 120 miliardi di dollari di finanziamenti esteri a breve termine che devono essere rinnovati [roll-over] entro l’anno. Se combinati con l’irriducibile disavanzo delle “partite correnti” del paese – tutt’ora al 5.7% del Pil – il deficit da finanziare diventerebbe di 170 miliardi di dollari. Sei volte più grande delle riserve in valuta estera possedute dalla Banca Centrale.
La Turchia è stata in grado di farla franca fino a quando il sistema politico è rimasto stabile. Ma una serie di attacchi terroristici e un frantumato paesaggio politico hanno esposto il paese ai pericoli sopra esposti. “Aberdeen Asset Management” ha dichiarato che sta tagliando la sua partecipazione nel debito turco: “I rischi che circondano il paese sono ora decisamente troppo alti”.
Venerdì scorso la Lira turca si è indebolita bruscamente, a 2.75 contro il dollaro, e sembra destinata a sperimentare dei minimi storici. I rendimenti delle obbligazioni turche a 10 anni sono salite di 50 punti-base [0,5%], questa settimana, al 9.48%.
Ilan Solot, della “Brown Brothers Harriman”, ha detto che la temperatura geopolitica è in rapida crescita e che la Lira Turca rischia di restare con il cerino in mano: “Pensiamo che i tail-risks [estremità di una curva di distribuzione che descrive la probabilità di conseguire rendimenti diversi dal previsto] provenienti dalla Turchia possano essere decisamente superiori a quanto molti stanno stimando”.
Ambrose Evans-Pritchard
Fonte: www.telegraph.co.uk
24.07.2015
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO
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