DI GIANLUCA FREDA
Blogghete!!!
Devo ammettere che avevo sottovalutato Gheddafi. Dopo l’avvio del colpo di stato organizzato contro il suo regime dai soliti uomini-ombra statunitensi, avrei giurato che avrebbe resistito non più di qualche giorno. Mi sembrava frollo, rimbambolito da decenni di bagordi con le infermiere, impreparato ad affrontare una situazione di attacco concentrico militare e mediatico da parte non solo degli ambienti d’intelligence occidentali che hanno organizzato il golpe, ma anche della maggioranza degli stati arabi, nonché, com’è ovvio, di settori del suo stesso esercito e perfino del suo stesso entourage familiare.Avrei scommesso che le forze militari fedeli al raìs avrebbero deposto le armi in fretta e sarebbero passate rapidamente dalla parte delle fazioni ribelli dell’esercito, quelle che stanno ancora tentando di rovesciare il regime con l’appoggio – ormai esplicito – di professionisti della strategia militare angloamericana, di truppe mercenarie fatte arrivare dall’Egitto e del battage propagandistico dei media internazionali; i quali non hanno mai smesso, per una settimana intera, di vomitare sull’opinione pubblica mondiale le loro ridicole e inconsistenti menzogne, spacciando il golpe per “rivoluzione popolare”, producendosi in contorsionismi logici e prestidigitazioni visive pur di nascondere la realtà di ciò che sta accadendo in Libia dietro la fiction di qualche balletto di piazza di bazarioti festanti, spesso pagati per ballare o ripresi in contesti che con la Libia nulla hanno a che vedere.
Invece il vecchio leone sta opponendo una discreta resistenza, il che dimostra che il sostegno di cui gode presso le gerarchie militari e l’opinione pubblica del suo paese è ancora forte, nonostante gli equilibrismi sfoggiati dall’apparato di disinformazione globale per dimostrare il contrario. Naturalmente è difficile immaginare che questa resistenza disperata possa riuscire ad avere la meglio su forze così soverchianti, salvo che intervengano nell’agone dello scontro quelle forze politiche emergenti (Russia e Cina in primis) le quali, per il momento, non sembrano avere la minima intenzione di interferire. Questo è almeno ciò che dimostrano con l’apparenza delle dichiarazioni diplomatiche e con il loro sostegno alle deplorazioni internazionali contro le (inesistenti) “stragi di manifestanti” attribuite al regime, nonché con il loro incondizionato appoggio alle risoluzioni di condanna dell’ONU. Cosa stiano progettando realmente, dietro l’esteriorità delle esternazioni pubbliche, lo dirà solo il tempo.
In ogni caso, è sempre istruttivo e confortante vedere come si comporta il leader di un paese sovrano e indipendente di fronte all’attacco in forze di potenze straniere. Non cerca di vendersi, ma combatte. Non fugge di notte, caricando frettolosamente la refurtiva su carovane improvvisate, ma organizza il contrattacco con tutte le forze che ha a disposizione. Perfino di fronte alla quasi certezza di una disfatta catastrofica, cambierei il nostro intero ceto politico – da Berlusconi a D’Alema, passando per Prodi, Vendola, Fini e tutta l’allegra compagnia di logorroici mercenari degli USA che ci arringano ogni giorno dai teleschermi sulla celeste sacralità dei “diritti umani” – con un solo Gheddafi, anche stasera stessa e con enorme gioia. Per il momento, noto con soddisfazione che i media internazionali controllati dagli Stati Uniti hanno smorzato i riflettori sulla Libia, il che è segno che sta succedendo qualcosa. Non è chiaro cosa sia questo “qualcosa”. Potrebbe essere una trattativa tra le fazioni ribelli dell’esercito e quelle ancora fedeli al colonnello per una resa o per la cessione di parti del territorio. Le numerose defezioni di funzionari libici, come Abdel Moneim Al-Honi e Ali al-Essawi, rispettivamente ambasciatori presso la Lega Araba al Cairo e in India, fanno pensare che sia già in avanzato stato di progettazione un dopo-Gheddafi in cui questi topi in fuga sperano di poter ricoprire ruoli di qualche rilievo. Anche ex ministri di Gheddafi, come Aref Sharif, capo delle forze aeree libiche, e Abdul Fatah al-Yunis, ministro degli interni, hanno rapidamente abbandonato la nave, probabilmente avendo in mente la stessa illusoria prospettiva. Gheddafi sembra però poter ancora contare sulla fedeltà del suo braccio destro, Abdullah Sinusi, capo dei servizi d’intelligence nonché cognato del colonnello.
Potrebbe anche essere in preparazione un qualche tipo di incidente “false flag” da attribuire alla responsabilità del leader libico per giustificare un intervento diretto della “comunità internazionale” (altro nome degli Stati Uniti d’America).
Potrebbe darsi – ma qui entriamo nel campo delle pure speculazioni ipotetiche – che i russi, dietro le dichiarazioni di circostanza, abbiano in realtà deciso di proteggere gli interessi della Gazprom in Cirenaica fornendo sostegno tecnologico e militare al governo libico. Non sarebbe una novità, era già successo all’epoca dell’attacco di Israele al Libano, quando le forze di Hezbollah riuscirono ad aver ragione delle truppe sioniste anche grazie alla tecnologia militare fornita dai russi, attraverso la triangolazione con l’Iran. Potrebbe perfino trattarsi – e qui entriamo nel campo della fantascienza più visionaria – di un improvviso attacco di vergogna dei media, i quali, dopo le figuracce fatte nei giorni scorsi con la diffusione di fregnacce titaniche e ormai ampiamente sbugiardate come tali, abbiano deciso di tenere la ciabatta chiusa per non perdere dinanzi all’opinione pubblica quel poco di credibilità che gli resta (ammesso che gliene resti). Ma, ripeto, non ci credo neanch’io. La vergogna è una funzione mai implementata nel software degli zombi che forniscono la disinformazione e di coloro che ne fruiscono.
Con la copertura della “rivoluzione libica” i cazzari dei media e le masse loro succubi hanno battuto ogni record olimpionico, rispettivamente, di cialtroneria e credulità. Sono stati sbandierati – e si continuano a sbandierare – attacchi aerei dell’aviazione libica contro le folle di Tripoli. Solo che, se si spegne il “commento degli inviati” e si ascoltano le testimonianze locali, nessuno ha mai visto questi attacchi e nemmeno le folle. L’unica cosa vista a Tripoli paragonabile a una folla in rivolta è il gruppetto di persone radunato in piazza dallo stesso Gheddafi durante il suo discorso pubblico, tenuto quando da giorni i pagliacci dei media nostrani lo dicevano “asserragliato in un bunker sotterraneo” o in fuga verso Caracas, se non addirittura defunto. La loro totale mancanza di senso del pudore si fa forte della terminale decerebrazione del pubblico teleutente, reso creta nelle loro mani (lo chiameremo “pubblico di cretini”) ed ormai vittima di deprivazione del senso della realtà. E’ questa deprivazione che consente agli untori di fesserie di farla franca. Un pubblico non totalmente rimbecillito ricorderebbe ancora cosa sia, in concreto, un bombardamento dell’aviazione contro una città e capirebbe che è difficile non notarlo o non averne testimonianze filmate. Anche noi italiani abbiamo sperimentato l’emozione dei bombardamenti a tappeto, all’epoca in cui la “democrazia” venne allegramente portata anche a noi dai suoi solerti rappresentanti di zona, per cui dovremmo ricordarne gli effetti, almeno a grandi linee. Sfortunatamente, a difenderci contro i paladini dei “diritti umani” non c’era allora nessun Gheddafi e ormai nemmeno più un Mussolini.
Il punto più alto dell’idiozia disinformativa si è raggiunto con le immagini delle “fosse comuni” di Tripoli, rivelatesi essere più “comuni” di quanto si credesse: erano infatti normalissime fosse di sepoltura scavate nel cimitero di Tripoli in un’occasione che con gli eventi degli ultimi giorni nulla aveva a che fare. Naturalmente nessun direttore o caporedattore si è scusato con i propri utenti per averli presi ancora una volta per il culo. E che dire delle immagini di masse tumultuanti, girate in Bahrein e nello Yemen e spacciate per “rivolte in Libia”? Per non parlare delle immagini degli scalmanati che buttano giù da un palazzo il simulacro del “libro verde”, immagini il cui dozzinale simbolismo ricorderà agli studiosi dei meccanismi di propaganda le analoghe riprese dell’abbattimento della statua di Saddam in Iraq, anch’esse accuratamente orchestrate dalla giostra dei media ad uso e consumo dei teleovini occidentali.
Per giorni si è parlato di “manifestanti in marcia verso Tripoli”. L’utente non diversamente encefalico si chiedeva allibito come mai l’esercito libico, fosse pure ridotto a non più di un paio di carri armati, non si decidesse a schiacciare una volta per tutte sotto i cingoli questa massa di popolastro vociante. Passavano i giorni e niente succedeva. I carri armati restavano fermi. Il popolastro marciava, e marciava, e marciava. Deve aver marciato fino allo sfinimento, tanto che Tripoli non è mai stata raggiunta. Forse i “manifestanti” si sono persi nel deserto, che com’è noto separa tra loro i principali centri abitati, non essendo la geografia libica esattamente paragonabile a quella dell’hinterland milanese. O forse, sfiniti dalla marcia, si sono fermati a rifocillarsi nel McDonald’s dell’oasi più vicina. Fatto sta che all’improvviso gli eroici maratoneti della rivolta si sono dissolti nell’aria sottile, gloriosamente assunti nel Walhalla delle puttanate senza ritegno, al fianco di Neda e del rifugio sotterraneo di Osama a Tora Bora.
Nel nugolo di cazzate sciorinate dalla stampa, non potevano mancare i classici, come le “armi di distruzione di massa” in possesso del demoniaco signore dei beduini. “Gheddafi è in possesso di almeno 10 tonnellate di gas di tipo ‘iprite’”, scriveva atterrito lo spagnolo El Paìs, “anche conosciuto come ‘gas mostarda’: Usa e Gran Bretagna sono preoccupati, adesso, per le sorti delle armi di distruzioni di massa”. Anch’io sono un po’ preoccupato, avendo già sentito questa litania ed avendo un’idea piuttosto precisa di come va a finire. Si è infatti già ottenuta la condanna dell’ONU contro i non meglio precisati “crimini” compiuti da Gheddafi nel difendere il suo paese da un’aggressione straniera. Si parla già di embarghi e di no-fly-zone, insomma, le solite cose. Non è difficile immaginare che il destino che attende la Libia – in mancanza, questa volta, di un deciso intervento nel conflitto di potenze meno sguattere degli USA di quanto lo siano i paesi europei – sia del tutto simile a quello riservato all’Iraq: massacri indiscriminati contro la popolazione civile ad opera dei contractors mercenari (noti difensori dei diritti umani) che già impazzano nel paese, confisca delle riserve petrolifere e di gas naturale da parte delle corporation occidentali (magari con qualche contentino riservato alle aziende beffate, per non farle scalpitare troppo, come già fatto con le concessioni ENI di Nassiriya), frazionamento del paese in aree d’influenza tribale e religiosa, allo scopo di garantire una guerra civile perpetua che lo renda debole e facilmente controllabile dalle forze “umanitarie” presenti sul territorio. Un quadro apocalittico, ma già visto, predisposto con l’esultante sostegno dei babbei che vedono in questa devastazione di una nazione sovrana nientepopodimeno che la “eroica ribellione del popolo contro un dittatore”. Come si possa essere così dabbene dopo oltre due decenni di rivoluzioni colorate USA, attuate più o meno tutte con lo stesso schema e con gli stessi pretesti, è materia che attiene all’indagine filosofica, teologica e forse psichiatrica.
Bisogna ammettere che in questa sarabanda di idiozie stampate e teletrasmesse, si sono in parte positivamente distinti i giornali berlusconiani, sui quali si è visto comparire, tra la caligine di bubbole, qualche rado sprazzo di verità, qualche articolo di Marcello Foa, qualche testimonianza fuori dal coro. Purtroppo non altrettanto positiva è stata la performance del proprietario di detti organi di stampa. Costui, dopo aver viaggiato per anni a braccetto con Gheddafi, fin quasi a proporre scambi alla pari di dentiste e infermiere, ha rapidamente rispolverato l’avito protocollo italico del voltafaccia, condannando le “violenze” contro i dimostranti smentite dai suoi stessi giornali, rinnegando gli accordi firmati con la Libia non più di qualche mese fa ed accingendosi a trasformare ancora una volta l’Italia in una pista di decollo americana per portare all’oppresso dirimpettaio nordafricano il sollievo dei bombardamenti umanitari. Nessuna sorpresa, visto che lo stesso cinismo da miserabile opportunista lo aveva dimostrato all’epoca dell’aggressione all’Iraq. Forse è a questo che mirava la massiccia operazione di “ammorbidimento” scatenata contro di lui negli ultimi mesi, tra accuse di pedofilia, tradimenti di alleati teleguidati da Washington, defezioni nella compagine parlamentare, tumulti nella capitale scatenati da giovinastri frustrati, lasciati liberi, per l’occasione, di sfogare il loro vuoto cerebrale contro bancomat e vetrine di pubblici esercizi.
E’ probabile che questo tradimento scellerato appaia una mossa astuta all’ometto di Arcore, l’occasione per prendere una boccata d’ossigeno dopo mesi e mesi di attacchi concentrici coordinati da oltreatlantico che lo hanno sfibrato e reso malleabile. In effetti, dopo il voltafaccia, le prospettive per lui si sono fatte meno tetre. I transfughi di Fli sono in buona parte rientrati nei ranghi, lasciando il povero Fini al cospetto della propria nullità politica e parlamentare. Il governo ha ora qualche numero in più per resistere nella cittadella assediata in cui si è arroccato. I pettegolezzi su Ruby sono già stati trasferiti sulle pagine di cronaca rosa, concedendo agli stravolti avvocati dell’assediato qualche minuto di respiro per riorganizzare una strategia. Opinionisti filoamericani fuggiaschi come Giuliano Ferrara e Paolo Guzzanti hanno già manifestato il proposito di schierarsi nuovamente, come prodighi figliuoli di ritorno al tetto natìo, a difesa della reputazione paterna, già rinnegata e sconfessata durante il “periodo russo” del capo del governo. De Michelis si è profuso nella descrizione dei grandi riconoscimenti ed onori che verranno al nostro dalla svendita a costo di realizzo di quel poco di politica internazionale indipendente che aveva messo in campo negli ultimi dieci anni. Onori smisurati, simili a quelli riservati dagli USA a Bettino Craxi, di cui il capelluto ex discotecaro socialista era già stato, a suo tempo, consigliere fraudolento.
Non vorrei gettare acqua gelata sulle sue speranze, ma se Berlusconi spera di sottrarsi con il tradimento degli alleati al destino che gli Stati Uniti hanno comunque in serbo per lui, forse farebbe bene a dare un’occhiata alla lunghissima lista di servitori fedeli e infedeli degli USA che sono stati liquidati senza troppi complimenti quando è venuta meno la loro utilità contingente. Le recenti vicissitudini dei fedelissimi Mubarak e Ben Ali dovrebbero essere sufficienti, anche da sole, ad insegnargli qualcosa. Anche se, a dirla tutta, penso che siano parole al vento. Per imparare qualcosa dalla politica internazionale occorrerebbe avere un’idea di cosa sia la politica internazionale, il che è pretendere troppo da un piazzista di casseruole. Conto però sull’innata capacità degli sciacalli di riconoscere i propri simili dall’odore, anche se celati sotto i più concilianti e melliflui travestimenti.
Anche la famiglia Gheddafi dovrebbe saperne qualcosa. Il 21 aprile 2009, Mutassim Gheddafi, figlio dell’attuale “nemico della libertà dei popoli”, veniva ricevuto con tutti gli onori a Washington da Hillary Clinton. “E’ con grande piacere”, si sdilinquiva la Clinton nel 2009, “che do il benvenuto al ministro Gheddafi al Dipartimento di Stato. Noi attribuiamo grande valore alle relazioni tra gli Stati Uniti e la Libia. Abbiamo grandi opportunità per approfondire e ampliare la nostra cooperazione e personalmente ho la ferma intenzione di consolidare i nostri rapporti. Pertanto, signor ministro, sia il benvenuto tra noi”.
Berlusconi farebbe bene a riflettere sul valore e sull’affidabilità dell’amicizia di queste vipere, prima di ritrovarsi tra capo e collo un “approfondimento della cooperazione” simile a quello riservato alla famiglia del leader libico. Nonché sul fatto che, quando questa “cooperazione” entrerà nella sua fase risolutiva, non ci sarà più nessun Putin, nessun Ben Ali, nessun Gheddafi a cui chiedere appoggio o anche soltanto asilo politico.
Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.altervista.org
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1.03.2011