LE PROBABILIT DI UNA GUERRA CON LA CINA STANNO AUMENTANDO

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DI MIKE WHITNEY
globalresearch.ca

Gli Stati Uniti conducono la loro politica monetaria allo stesso modo in cui conducono la politica estera: in modo unilaterale. Quando la scorsa settimana il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha
annunciato di voler rilanciare il programma di acquisto di bond (quantitative easing), non si è consultato con gli alleati del FMI, col G-20 o col WTO. Ha semplicemente emesso il suo editto, e questo è quanto. Il fatto che la politica della Fed causi l’invasione sui mercati emergenti di capitali a basso costo, spingendo verso l’alto il valore del dollaro e l’inflazione, non crea alcuna preoccupazione a Bernanke. Egli opera sulla stessa linea dell’ex segretario al Tesoro John Connally, che scherzando allegramente con un gruppo di ministri delle finanze dell’euro, ha detto “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema.”

La relazione del 15 ottobre di Bernanke avrebbe potuto essere ridotta a nove parole: L’inflazione è troppo bassa e la disoccupazione è troppo alta. Detto questo, Bernanke non ha mostrato alcuna intenzione di starsene lì buono e zitto fino a che il congresso abbia capito che l’economia ha bisogno di maggiore sostegno. È in procinto spingere al ribasso il dollaro per far salire l’inflazione fino al traguardo del 2% al fine di aumentare le prospettive di un calo della disoccupazione, di una riduzione del disavanzo delle partite correnti e di una ripresa più veloce. L’economista Edward Hugh lo riassume così:

“La disoccupazione negli Stati Uniti (che è attualmente al 9,6%, e può raggiungere il 10% entro la fine dell’anno), sta causando enormi problemi all’amministrazione Obama. Il mercato del lavoro statunitense e il sistema del welfare non sono assolutamente concepiti per funzionare a lungo con questi livelli di disoccupazione. In Giappone il tasso di disoccupazione è del 5,1%, e in Germania è sotto l’8%. Perciò quelli di Washington, si chiedono non a torto perché gli USA dovrebbero tollerare così tanta maggiore disoccupazione e un così elevato deficit di bilancio solo per tenere in piedi il sistema di Bretton Woods e il rango di valuta di riserva del dollaro americano.
La mia sensazione è che l’amministrazione americana abbia deciso di ridurre il tasso di disoccupazione e diminuire il disavanzo delle partite correnti, e che l’unico modo per raggiungere questo obiettivo è quello di forzare il valore del dollaro verso il basso. In questo modo saranno le industrie degli Stati Uniti, piuttosto che quelle tedesche o giapponesi, a canticchiare al suono dei nuovi ordini che arriveranno dalla fiorente domanda del nuovo mercato emergente.”

Bernanke ha tratto le stesse conclusioni di Hugh, ma questo non significa che la sua strategia non infligga danni notevoli agli alleati degli Stati Uniti. E questo succederà. Il suo programma da coinquilino pezzente di rilancio del quantitative easing costringerà i partner commerciali a implementare i controlli sui capitali ed ad attuare altre misure protezionistiche per mantenere la stabilità dei prezzi.
E poiché le maggiori economie mondiali sono in guerra per ottenere una maggiore quota del mercato dell’esportazione, il quantitative easing porterà anche a ulteriori svalutazioni competitive.
Lo scontro imminente potrebbe portare al dissolvimento del regime commerciale attuale e una brusca inversione dei 30 anni di globalizzazione.

Ma il maggior problema di Bernanke è la Cina. La Cina era la prediletta dell’America quando si caricava di titoli del Tesoro alimentando la storica baldoria dei consumi che ha riempito le casse di Wall Street. Ma ora che l’acquisto del debito degli Stati Uniti sta impedendo alla Fed di attuare la propria politica monetaria, Bernanke pretende un cambiamento. Purtroppo, la Cina non sta collaborando. Sta invece accumulando riserve di valuta estera a ritmi record per mantenere il valore di cambio del dollaro, il che sta allargando il disavanzo delle partite correnti a livelli di pre-crisi. Lo squilibrio commerciale sta spingendo il mondo verso una nuova crisi, e questo è il motivo per cui Bernanke e soci sono determinati a convincere la Cina a lasciare apprezzare la sua moneta per ridurre il divario. (Le riserve cinesi in valuta estera sono salite a $ 2.65 trilioni nel 3° trimestre).

Linee guida: la Fed non può far ripartire l’economia nazionale se il deficit commerciale continua a crescere. E’ impossibile. Lo stimolo viene semplicemente buttato nello scarico del lavandino. La Cina sta facendo la parte del leone nella domanda globale con un’offerta a prezzi inferiori a quelli
degli Stati Uniti e il tutto alla luce del sole. Questo è l’effetto reale di un dollaro bloccato; la Cina ha un vantaggio ingiusto rispetto ai suoi concorrenti. Una moneta che fluttua liberamente contribuisce a tenere livellato il campo di gioco (anche se il costo del lavoro degli Stati Uniti è in competizione con alcuni dei lavoratori peggio pagati al mondo) e l’annuncio di Bernanke venerdì scorso è solo il primo colpo sparato contro la prua di Pechino. Ma ce ne saranno altri in futuro. La riunione di questo fine settimana del G-20 fornisce al segretario al Tesoro Timothy Geithner l’occasione ideale per puntare i riflettori sulla Cina e far smettere le manipolazioni sulla valuta. Molti si aspettano che faccia una forte dichiarazione che esiga modifiche al sistema.

Un aggiornamento della Reuters di Mercoledì conferma la posizione degli Stati Uniti. Eccone un sunto:


“Mercoledì, un alto funzionario del Dipartimento del Tesoro Usa ha detto che gli Stati Uniti vogliono che il gruppo dei 20 capi responsabili delle finanze si impegni a consentire al mercato di impostare i tassi di cambio delle valute e che se ne discuterà fissando dei traguardi al commercio per misurarne l’andamento.

In anticipo sulla riunione del G20 di fine settimana a Gyeongju, in Corea del Sud, il funzionario americano ha precisato che Washington vuole che i tassi di cambio delle valute rappresentino un punto focale degli incontri e che guarda ai surplus delle partite correnti e ai deficit come parte vitale della discussione…

Il funzionario ha poi aggiunto che dal nostro punto di vista crediamo che questi problemi siano fondamentalmente e intrinsecamente collegati e che è importante che il G20 sia in grado di intraprendere un’azione comune per rendere più facile una correzione ordinata degli squilibri, garantendo inoltre un adeguamento più efficace dei tassi di cambio in linea con i fondamentali economici”. (“Gli Stati Uniti vogliono l’impegno del G20 a consentire un aumento delle loro valute”, Reuters)

Né l’amministrazione Obama né la Fed vogliono una vera e propria guerra commerciale contro la Cina. Preferiscono vedere che la Cina “assuma la sua posizione nel sistema globale”. (Come dichiarano i diplomatici degli Stati Uniti). Ma questo vuol dire che la Cina dovrebbe scendere a compromessi, cosa che essa ritiene essere un fatto che riguarda la sovranità nazionale.
Ed è qui il problema. La Cina è una nazione orgogliosa e non vuole sentirsi dire cosa fare. Ma non è così che funziona il sistema. Dietro la facciata del libero mercato e delle istituzioni internazionali, c’è un sistema imperiale governato da Washington. Questo lascia a Pechino due possibilità: o piegarsi alle pressioni degli Stati Uniti e cedere dai propri principi o ignorare le richieste di Washington e continuare sulla stessa strada. Se scelgono di resistere, le relazioni con gli Stati Uniti diverranno più aspre e le probabilità di un conflitto aumenteranno.

Mike Whitney
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=21559
22.10.2010

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di E.T.

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