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La Redazione

 

LE PRETESE DEL NEOLIBERALISMO

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A cura di Truman
Il 3 Agosto 2005
194 Views
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Sei Miti sui benefici degli investimenti esteri

Di JAMES PETRAS

Ci sono diversi miti, riguardanti gli investimenti all’estero, propinati da economisti ortodossi, pubblicitari di multinazionali e stampa.

Mito n° 1 Gli Investimenti all’Estero (IE) creano nuove imprese, migliorano o espandono i mercati, stimolano nuove ricerche e lo sviluppo di “Know How” tecnologico locale.

La maggior parte degli IE sono mirati all’acquisto di imprese redditizie pubbliche (che vengono privatizzate) o di aziende private, all’impadronirsi di mercati – vendendo o affittando tecnologia progettata e sviluppata nel proprio paese. Sin dagli anni ’80 più della metà degli investimenti in America latina sono stati mirati all’acquisto di imprese a prezzi al di sotto del valore di mercato.
Invece di integrare i capitali pubblici o privati del luogo la maggior parte degli IE esclude la partecipazioni di detti capitali e mina i centri di ricerca tecnologica emergenti.Relativamente ai mercati in espansione i dati sono disomogenei. In alcuni settori dove le imprese pubbliche necessitavano disperatamente di fondi, come le telecomunicazioni, i nuovi proprietari stranieri potrebbero effettivamente aver aumentato il numero di utenti ed allargato il mercato. In altri casi, come acqua, elettricità e trasporto, i pochi proprietari stranieri hanno ridotto il mercato, a danno delle categorie a basso reddito, aumentando le tariffe oltre le possibilità di molti consumatori.

L’esperienza con capitali stranieri e trasferimenti di tecnologia è ampiamente negativa. Più dell’80% delle ricerche e degli sviluppi effettuati vengono condotti nel paese di provenienza dei capitali. Il trasferimento di tecnologia altro non è che affitto o vendita di tecnologia sviluppata altrove, piuttosto che progettata sul luogo.
Le multinazionali esigono dalle consociate il pagamento dei diritti (royalty), costi di servizio e gestione per abbassare in maniera artificiosa o fraudolenta i profitti e le tasse dei governi locali.

Mito n° 2 Gli Investimenti Esteri (IE) aumentano la competitività delle industrie nelle esportazioni, stimolano l’economia locale tramite acquisti e vendite secondari e terziari.

In realtà gli investitori stranieri fanno incetta delle risorse minerali redditizie, esportandole con poco o nulla valore aggiunto. La maggior parte dei minerali vengono convertiti in semilavorati o prodotti finiti , apportando valore aggiunto tramite lavorazioni varie, raffinazione, nel proprio paese, o altrove, creando lavoro e diversificando l’economia e le competenze.
La privatizzazione negli anni ‘90 della grande miniera di ferro ”Val del Doce” in Brasile – miniera ad alta redditività- ha portato grandi profitti ai nuovi proprietari . Il materiale grezzo è stato venduto all’estero, per il 21-mo secolo molto è stato accaparrato dalla Cina la quale lo converte in acciaio da utilizzare nel campo del trasporto, delle macchine industriali, e molte altre attività metallurgiche che creano posti di lavoro.
In Bolivia la privatizzazione delle aziende per la produzione di gas e di petrolio, nella metà degli anni ’90, ha portato miliardi di profitto nel 21-mo secolo e la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro legati alla produzione e conversione di detti prodotti-attività a valore aggiunto. Questo ha portato al collasso del bacino di consumatori locali a basso reddito. L’estrazione di materiale grezzo richiede capitali e poca manodopera. La lavorazione e trasformazione richiede più manodopera e crea posti di lavoro.

Mito n° 3 Gli Investimenti Esteri aumentano gli introiti delle tasse sostenendo l’erario e rafforzano la valuta locale tramite gli importi di capitali.

La verità è che gli investitori stranieri prendono parte alle frodi a danno dell’erario, truffe in acquisto di imprese pubbliche, e riciclaggio di incentivi capitali.

Nel maggio del 2005 il governo venezuelano ha denunciato evasioni di tasse per miliardi di dollari da parte delle maggiori compagnie petrolifere straniere che avevano contratti di fornitura dagli anni ’90.
Tutto il settore che include petrolio e gas russo è stato “rubato” da una nuova classe di miliardari, “ladri oligarchici”, in combutta con investitori stranieri – che di conseguenza evadevano le tasse. Questo è quanto è risultato da un processo che ha visto Platon Lebedev e Mikhail Khodorkovsky condannati per aver evaso 29 miliardi di $ con l’aiuto di banche americane ed europee.

L’impatto delle multinazionali sui bilanci dei pagamenti a lungo termine è negativo. Ad esempio la maggior parte delle aziende che si occupano di assemblaggio importano tutto l’occorrente per la produzione, progettazione e know how ed esportano i loro semilavorati, o prodotti finiti. Il bilancio ottenuto dipende dal costo di quel che si è importato e dal valore di quel che si e’ esportato. Di solito quel che si è importato costa per l’economia locale più del valore di quel che si esporta. Inoltre i capitalisti ottengono la maggior parte degli introiti per l’esportazione mantenendo bassi i salari, portando alla nascita di imperi personali.

L’esperienza brasiliana degli ultimi quindici anni mostra l’impatto negativo sul bilancio risultante da investimenti stranieri ed investimenti sovvenzionati dall’estero. Nel 2004 il Brasile ha versato a banche straniere 46 miliardi di dollari come interesse e capitale ricevendo solo 16 miliardi in nuovi prestiti. Questo ha portato 30 miliardi fuori dal paese. (2) Tra gennaio ed aprile del 2005 al Brasile sono stati richiesti 4,6 mililardi di interessi, 3,7 miliardi di profitto per multinazionali, 1,7 per “servizi esterni” e 7,3 miliardi di restituzione di capitali. (3) La perdita di 17,3 miliardi di dollari supera il bilancio positivo delle attività commerciali che risulta essere 12,2 miliardi di dollari. (4) In altre parole il ricorso agli investimenti esteri porta ad un ulteriore indebitamento dovuto a deficit, perdita di posti di lavoro per piccole e medie imprese – alla mercè dell’elite agro-finanziaria- e distruzione dell’ambiente.

Mito n° 4 Sostenere il pagamento dei debiti è essenziale per garantire la solidità finanziaria nei mercati internazionali e l’integrità del sistema finanziario. Entrambi sono cruciali per un sano sviluppo.

I dati storici rivelano che ricorrere ai debiti per circostanze ambigue e restituire illegalmente i capitali tramite strutture non governative mette a repentaglio l’integrità e la stabilità del sistema finanziario del paese sul lungo termine portando ad un collasso finanziario, come verificatosi con l’Argentina tra il 1976 ed il 2001.

Una parte sostanziale dei debiti , interni ed esterni, è stata contratta in maniera illegale apportando piccoli contributi allo sviluppo del paese.
Un’azione legale intrapresa da Olmos – economista argentino- contro il pagamento di debiti stranieri rivelò che i debiti di privati contratti da Citibank, First National Bank of Boston, Deutsch Bank, Chase Manhattan Bank e Bank of America erano stati presi in carico dal governo argentino. (5) Lo stesso valeva per le consociate di banche straniere. Olmos documentò come la dittatura argentina ed il regime seguente chiesero prestiti per rafforzare la valuta e poter cambiare la valuta in dollari. I prestiti andarono direttamente alla Central Bank che rese i dollari disponibili per i ricchi che li trasferirono poi su conti esteri.
Tra il 1978 e 1981 più di 38 miliardi di dollari uscirono dal paese, molti dei prestiti stranieri servirono per finanziare opportunità economiche, importo di beni di lusso e beni non produttivi, specialmente equipaggiamenti militari. Il caso Olmos puntava contro un irragionevole fonte di indebitamento: il regime argentino prendeva soldi in prestito depositandoli presso la stessa banca ad interessi inferiori, con una perdita di diversi miliardi di dollari, che si aggiungevano al debito estero.

Mito n° 5 Molti paesi del Terzo Mondo dipendono dagli investimenti stranieri per ottenere i capitali, necessari allo sviluppo, non disponibili o inadeguati all’interno del paese.

Contrariamente all’opinione di molti economisti neo-liberali la maggior parte di ciò che viene chiamato investimento straniero è in realtà prestito dall’estero di banche del risparmio per comprare imprese locali o finanziare investimenti. Investitori stranieri e Multinazionali (MNC = Multinational Corporation ndt) assicurano prestiti stranieri appoggiati dai governi locali, o ricevono prestiti dai fondi pensionistici e banche dello stesso paese prelevando da depositi locali o contributi pensionistici dei lavoratori.
Recenti resoconti di finanziamenti da parte di fondi pensionistici a multinazionali americane in Messico mostrano che Banamex (acquistata nel 21mo secolo) ottenne 28,9 miliardi di pesos (circa 2,6 miliardi di dollari) in prestito, la American Movil (Telcel) 13 miliardi di pesos (1,2 miliardi di dollari), Ford Motor 9,556 miliardi di pesos in prestiti a lungo termine e 1 miliardo di pesos in prestiti a breve termine, General Motors (settore finanziario) ottenne 6,555 miliardi di pesos. Questo modello di prestito straniero che carica i mercati locali e strutture produttive è una pratica comune che dissipa la credenza che gli investitori stranieri portano “capitale fresco” in un paese.
Di uguale importanza è il rifiuto alla concezione che i paesi del terzo Mondo hanno “bisogno” di investimenti dall’estero per scarsità di capitali locali. Il ricorso a investimenti esteri devia capitali da investitori locali, privati e pubblici, impedendo a enti locali di richiedere prestiti e ricercare capitali in modo informale a tassi maggiori. Invece di essere da complemento agli investitori locali, quelli esteri competono con loro occupando posizioni di privilegio nel mercato creditizio, sostenendo i propri patrimoni (stranieri) e l’influenza politica nell’assicurarsi prestiti dalle locali agenzie.

Mito n° 6 I fautori degli investimenti stranieri sostengono che i loro capitali servono per attrarre ulteriori capitali ottenendo un “polo di sviluppo” .

Niente di più falso. L’esperienza nei Caraibi, Centro America e Messico degli stabilimenti di assemblaggio, con proprietari stranieri, ha mostrato la grande instabilità e insicurezza con l’emergere di nuove fonti di lavoro a basso costo in Asia, specialmente in Cina e Vietnam. Molto più degli investitori locali quelli stranieri sono propensi a ricollocare le strutture in aree a basso reddito, creando degli alti e bassi nell’economia. L’azione degli Investitori Esteri nei Caraibi, Centro America e Messico per fronteggiare la competizione asiatica è stata di trasferire, piuttosto che migliorare la qualità dei prodotti con un miglioramento della tecnologia e delle competenze. Per finire uno studio a lungo termine effettuato in India ha rivelato che non c’è relazione tra Investimenti Esteri e sviluppo del paese. (7)

Insomma, fidarsi degli Investimenti Esteri è rischioso, pericoloso, e limita le strategie di sviluppo. I costi e benefici vengono distribuiti in maniera non equa tra debitori e creditori. Non sorprende in una visione storica più ampia il fatto che nessuno dei paesi in via di sviluppo, in qualsiasi epoca ci si ponga, abbia mai messo i capitali stranieri in cima alla lista delle attività di sviluppo. Nemmeno gli USA, Germania e Giappone nel 19mo e 20mo secolo, né Russia, Cina, Corea e Taiwan nel 20mo secolo sono dipesi dagli Investimenti Esteri per progredire industrialmente e finanziariamente.
Visti gli svantaggi citati è chiaro che la strada da seguire per lo sviluppo di un paese è quella di ridurre al massimo i capitali stranieri incrementando le proprietà nazionali e gli investimenti di finanziatori locali, aumentando capacità e conquistando fette di mercato locali e stranieri diversificando l’economia.

Un’economia negativa, con costi sociali e politici evidenti ad un numero sempre maggiore di persone nel Terzo Mondo, specialmente in America Latina, rappresenta un detonatore per gruppi sociali e movimenti rivoluzionari armati. Ne è un esempio la Columbia nel 2005. Visto che gli Investimenti Esteri sono conseguenza di decisioni prese ai “piani alti” delle strutture governative le lotte sociali sono, sempre di più, dirette contro i detentori del potere politico, colpevoli di promuovere e favorire gli Investimenti Esteri. L’aumento delle ostilità nei confronti della politica, da parte dei movimenti sociali è dovuto al riconoscimento del legame tra poteri politici e Investimenti Esteri. Nel 21mo secolo, almeno in America Latina, tutti i regimi elettorali, rovesciati dalla maggioranza popolare, hanno avuto dei legami forti con gli investitori stranieri: Gutierrez in Ecuador, Sanchez de Losada e Mesa in Bolivia, Fujimori in Peru.

Il leader più popolare in America Latina è il venezuelano Chavez. È il solo ad aver regolamentato gli Investimenti Stranieri, aumentandone le tasse, e devolvendo i proventi a poveri, lavoratori e contadini. Resta ancora da chiarire se quest’infusione di energia e coscienza di classe possa andare oltre lo sconfiggere gli Investimenti Esteri per costruire uno stato basato su ampie alleanze di classi per superare il concetto di “nazionalismo” e volgersi verso un’economia sociale.

James Petras, ex Docente di Sociologia presso la Binghamton University, New York, vanta 50 anni di partecipazione alle lotte di classe, è consulente per debitori e senza lavoro in Brasile e Argentina. Co-autore di Globalization Unmasked (Zed)- Globalizzazione smascherata. Il suo nuovo libro, scritto a Quattro mani con Henry Veltmeyer, Social Movements and the State: Brazil, Ecuador, Bolivia and Argentina – Movimenti sociali e Stato: Brasile, Ecuador, Bolivia e Argentina- sarà pubblicato ad ottobre 2005. può essere contattato a : [email protected]
Fonte:www.counterpunch.org
Link:http://www.counterpunch.org/petras07022005.html
2/4.07.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANIELLO B.

Note
(1) Paul Doremus et al, Myth of the Global Corporation, Princeton: Princeton University Press 1998
(2) Boletin: Cedada da Divida No 12, May 31, 2005, p2
(3) Ibid p2-3
(4) Ibid p2-3
(5) Cited in Boletin p6
(6) La Jornada June 7, 2005
(7) Tanushree Mazumdar, “Capital Flows into India”, Economic and Political Weekly, Vol XL No 21, p2183-2189

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