Le origini del SARS-CoV-2 – Alla ricerca delle tracce (prima parte)

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Nicholas Wade
nicholaswade.medium.com

La pandemia Covid-19 sta sconvolgendo la vita di tutto il mondo da oltre un anno. Il  bilancio dei decessi raggiungerà presto i tre milioni di persone. Eppure, l’origine della pandemia rimane incerta: le agende politiche di governi e scienziati hanno generato dense cortine fumogene che la stampa mainstream sembra incapace di dissipare.

In questo articolo farò una cernita dei fatti scientifici disponibili, che contengono molti indizi su ciò che è successo, e fornirò ai lettori le prove necessarie per poter formulare un proprio giudizio. Cercherò poi di valutare la complessa questione della colpa, che inizia con, ma va ben oltre, il governo cinese.

Alla fine di questo articolo, potreste aver imparato molto sulla biologia molecolare dei virus. Cercherò di mantenere questo processo di apprendimento il più indolore possibile, ma l’approfondimento scientifico non può essere evitato perché, per ora e probabilmente per molto tempo ancora, sarà l’unico filo di Arianna a nostra disposizione per attraversare questo labirinto.

Il virus che ha causato la pandemia è conosciuto ufficialmente come SARS-CoV-2, ma, per brevità, può anche essere chiamato SARS2. Come molti sanno, esistono due teorie principali sulla sua origine. Una è che sia passato in modo naturale dalla fauna selvatica all’uomo. L’altra è che il virus sarebbe oggetto di studio in qualche laboratorio, da cui sarebbe fuoriuscito accidentalmente. È importante sapere quale sia il caso, se vogliamo essere in grado di prevenire un secondo evento del genere.

Descriverò le due teorie, spiegherò perché ognuna di esse è plausibile, e poi valuterò quale delle due fornisce la migliore spiegazione dei fatti conosciuti. È importante notare che, finora, non esistono prove dirette a favore di nessuna delle due teorie. Ognuna dipende da una serie di congetture logiche, ma, a tutt’oggi, manca la prova decisiva. Perciò posso offrire solo indizi, non conclusioni. Ma questi indizi puntano in una direzione ben precisa. E, avendo dedotto questa direzione, andrò a dipanare alcuni dei fili di questa intricata e tragica matassa.

Una storia con due teorie

Dopo lo scoppio della pandemia, nel dicembre 2019, le autorità cinesi avevano riferito che molti casi si erano verificati nel mercato umido, dove si vende carne di animali selvatici, di Wuhan. Questo fatto aveva ricordato agli esperti l’epidemia di SARS1 del 2002, quando un virus dei pipistrelli si era diffuso prima agli zibetti, un animale venduto nei mercati umidi, e poi dagli zibetti all’uomo. Nel 2012, un analogo virus dei pipistrelli aveva causato una seconda epidemia, nota come MERS. Quella volta, l’animale a fare da ospite intermedio era stato il cammello.

La decodifica del genoma virale aveva mostrato che [il virus del 2019] apparteneva ad una famiglia virale nota come beta-coronavirus, alla quale appartengono anche i virus SARS1 e MERS. Quella correlazione aveva avallato l’idea che, anche questa volta, si trattasse di un virus naturale che era riuscito a compiere il balzo dai pipistrelli, attraverso un altro animale ospite, fino all’uomo. La connessione con il mercato umido, l’unico altro punto di somiglianza con le epidemie di SARS1 e MERS, si è era però presto interrotta: i ricercatori cinesi avevano trovato a Wuhan casi precedenti, senza alcun legame con il mercato umido. Ma questo sembrava non avere importanza, perchè si pensava che, a breve, sarebbero arrivate molte altre prove a sostegno dell’origine naturale.

Wuhan, tuttavia, è la sede del Wuhan Institute of Virology, un centro di importanza mondiale per la ricerca sui coronavirus. Quindi, non si poteva escludere la possibilità che il virus SARS2 fosse fuoriuscito da questo laboratorio. Erano perciò possibili due ragionevoli scenari sull’origine del virus.

Fin dall’inizio, l’opinione pubblica e quella dei media erano state indirizzate a favore dello scenario dell’emergenza naturale dalle dichiarazioni, senza mezzi termini, di due gruppi di scienziati, dichiarazioni che, inizialmente, non erano state esaminate con il dovuto senso critico.

Ci uniamo per condannare fermamente le teorie della cospirazione, secondo cui COVID-19 non avrebbe un’origine naturale,” aveva scritto su Lancet un gruppo di virologi, insieme ad altri, il 19 febbraio 2020, quando era veramente troppo presto perché qualcuno potesse essere sicuro di cosa fosse successo. Gli scienziati concludevano, senza mezzi termini, che “questo coronavirus ha avuto origine nella fauna selvatica” e lanciavano un emozionante appello ai lettori affinchè dimostrassero la loro solidarietà con i colleghi cinesi in prima linea nella lotta contro la pandemia.

Contrariamente all’affermazione degli autori della lettera, l’idea che un virus possa essere fuoriuscito da un laboratorio evoca un incidente, non una cospirazione. Sicuramente, l’ipotesi doveva essere esplorata, non respinta a priori. Un segno distintivo dei buoni scienziati è che si preoccupano di distinguere tra ciò che sanno e ciò che non sanno. Secondo questo criterio, i firmatari della lettera su Lancet si stavano comportando come scienziati scadenti: assicuravano il pubblico su fatti che non potevano sapere con certezza essere veri.

Si è poi scoperto che questa lettera era stata voluta e redatta da Peter Daszak, presidente della EcoHealth Alliance di New York. L’organizzazione del dottor Daszak aveva finanziato la ricerca sui coronavirus all’Istituto di virologia di Wuhan. Se il virus SARS2 fosse effettivamente sfuggito da un laboratorio di ricerca da lui finanziato, il dottor Daszak ne sarebbe stato potenzialmente responsabile. Questo stridente conflitto di interessi non era stato dichiarato ai lettori del Lancet. Al contrario, la lettera concludeva: “Non dichiariamo alcun interesse contrastante.

Peter Daszak, presidente della EcoHealth Alliance

Per i virologi come il dottor Daszak, l’attribuzione della colpa della pandemia è una questione di importanza capitale. Per 20 anni, per lo più sotto gli occhi del pubblico, [questi virologi] hanno giocato un gioco pericoloso. Nei loro laboratori hanno continuato a creare virus più pericolosi di quelli che esistono in natura. Hanno sempre sostenuto di poterlo fare in modo sicuro, e che, anticipando la natura, sarebbero stati in grado di prevedere e prevenire lo “spillover” naturale, il salto interspecie dei virus da un ospite animale all’uomo. Se il SARS2 fosse davvero fuoriuscito da un simile esperimento di laboratorio [e la cosa si fosse risaputa] ci sarebbe sicuramente stata una forte reazione negativa a livello popolare e l’ondata di indignazione pubblica avrebbe colpito i virologi ovunque, non solo in Cina. “Avrebbe distrutto l’edificio scientifico da cima a fondo,” aveva affermato un redattore del MIT Technology Review, Antonio Regalado, nel marzo 2020.

Una seconda dichiarazione, che aveva avuto un’enorme influenza nel plasmare l’atteggiamento del pubblico, era stata una lettera (in altre parole un pezzo di opinione, non un articolo scientifico) pubblicata il 17 marzo 2020 sulla rivista Nature Medicine. Gli autori erano un gruppo di virologi guidati da Kristian G. Andersen, dello Scripps Research Institute. “Le nostre analisi mostrano chiaramente che il SARS-CoV-2 non è un costrutto di laboratorio o un virus manipolato di proposito,” avevano dichiarato i cinque virologi nel secondo paragrafo della loro lettera.

Kristian G. Andersen, Scripps Research

Purtroppo, questo era stato un altro caso di scienza scadente, nel senso definito sopra. È vero, alcuni vecchi metodi di taglia e incolla dei genomi virali conservano i segni rivelatori della manipolazione. Ma i metodi più recenti, chiamati approcci “no-see-um” o “seamless” non lasciano segni permanenti. Né lo fanno altri metodi di manipolazione virale, come il passaggio seriale, il trasferimento ripetuto di virus da una cultura di cellule ad un’altra. Se un virus è stato manipolato, sia con un metodo senza soluzione di continuità che con il passaggio seriale, non c’è modo di saperlo. Il Dr. Andersen e i suoi colleghi stavano assicurando i loro lettori di qualcosa di cui non potevano essere certi.

La parte di discussione della loro lettera esordisce così: “è improbabile che il SARS-CoV-2 sia emerso attraverso la manipolazione in laboratorio di un coronavirus affine al SARS-CoV.” Ma aspettate, il tema di fondo non era forse che gli autori erano ‘chiaramente‘ certi che il virus non fosse stato manipolato? Il grado di certezza degli autori sembra ridursi notevolmente al momento di esporre il loro ragionamento.

La ragione di questo slittamento è chiara una volta superato lo scoglio del linguaggio tecnico. Le due ragioni fornite dagli autori per supporre che la manipolazione fosse un evento improbabile sono decisamente inconcludenti.

In primo luogo, affermano che la proteina spike del SARS2 si lega molto bene al suo bersaglio, il recettore umano ACE2, ma lo fa in un modo diverso da quello che i calcoli matematici suggerirebbero essere il migliore. Quindi, [secondo gli autori] il virus deve per forza essersi sviluppato per selezione naturale, non per manipolazione.

Se questo argomento sembra difficile da afferrare, è perché è tirato per i capelli. L’ipotesi di base degli autori, non esplicitata, è che chiunque cerchi di far legare un virus di pipistrello alle cellule umane potrebbe farlo in un solo modo. Per prima cosa si dovrebbe calcolare la modalità di aggancio più efficiente possibile tra il recettore umano ACE2 e la proteina spike che il virus utilizza per il legame. Di conseguenza, bisognerebbe poi progettare una proteina spike adatta (selezionando la giusta stringa di unità aminoacidiche che la compongono). Ma, poiché la proteina spike del SARS2 non ha questo design ottimizzato al computer, secondo l’articolo di Andersen, non può essere stata manipolata.

Ma questo ragionamento ignora il modo in cui i virologi ottengono, in pratica, che le proteine spike si leghino ai bersagli scelti, e questo non viene fatto con un assemblaggio computerizzato, ma tramite l’inserimento [nel genoma virale] di geni di proteine spike provenienti da altri virus o tramite il passaggio seriale. Con il passaggio seriale, ogni volta che la progenie del virus viene trasferita su nuove colture cellulari o animali, vengono selezionate quelle che hanno più successo, finché non ne emerge una che si lega veramente bene alle cellule prescelte. In questo caso è la selezione naturale a fare tutto il lavoro pesante. L’ipotesi nell’articolo di Andersen sulla progettazione di una proteina spike virale tramite modellazione computerizzata non tiene conto che il virus potrebbe essere stato manipolato con uno degli altri due metodi.

Il secondo argomento degli autori contro la manipolazione è ancora più artificioso. Anche se la maggior parte degli esseri viventi usa il DNA come materiale ereditario, un certo numero di virus usa l’RNA, il parente chimico stretto del DNA. Ma l’RNA è difficile da manipolare, così i ricercatori che lavorano sui coronavirus, che sono basati sull’RNA, convertono prima il genoma RNA in DNA. Manipolano la versione del DNA, aggiungendo o alterando i geni, e poi fanno in modo che il genoma di DNA manipolato sia riconvertito in RNA infettivo.

Solo un certo numero di queste “spine dorsali” [backbone] di DNA sono descritte nella letteratura scientifica. Chiunque abbia manipolato il virus SARS2 avrebbe “probabilmente” usato uno di questi backbone conosciuti, scrive il gruppo Andersen e quindi, visto che il SARS2 non deriva da nessuno di essi, non è stato manipolato. Ma l’argomento è palesemente inconcludente. I backbone di DNA sono abbastanza facili da realizzare, quindi è assolutamente possibile che il SARS2 sia stato manipolato usando un backbone di DNA inedito.

Tutto qui. Questi sono i due argomenti del gruppo Andersen a sostegno della loro dichiarazione secondo cui il virus SARS2, ‘chiaramente,’ non sarebbe stato manipolato. E questa asserzione, fondata solo su due inconcludenti speculazioni, aveva convinto la stampa mondiale che il SARS2 non poteva essere sfuggito da un laboratorio. Una critica tecnica della lettera di Andersen smonta la tesi in termini ancor più severi.

Si suppone che la scienza sia una comunità autocorrettiva di esperti che controllano costantemente il lavoro dei colleghi. Allora, perché gli altri virologi non avevano fatto notare che la tesi del gruppo di Andersen faceva acqua da tutte le parti? Forse perché, oggi, nelle università un discorso del genere può essere molto pericoloso. Si possono distruggere intere carriere, solo per aver fatto un passo falso. Ogni virologo che sfidi il punto di vista ufficiale della comunità rischia di vedersi rifiutare una futura richiesta di sovvenzione dal panel dei colleghi virologi a cui si appoggia l’agenzia governativa incaricata della distribuzione delle sovvenzioni.

Le lettere di Daszak e Andersen erano, in realtà, dichiarazioni politiche, non scientifiche, eppure erano state incredibilmente efficaci. Gli articoli della stampa tradizionale avevano ripetutamente affermato che un consenso di esperti aveva escluso l’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio o che la consideravano estremamente improbabile. I giornalisti si erano basati per la maggior parte sulle lettere di Daszak e Andersen, non riuscendo a capire le enormi lacune nelle loro argomentazioni. Tutti i giornali tradizionali hanno giornalisti scientifici nei loro staff, così come i principali network, e questi giornalisti specializzati dovrebbero essere in grado di interrogare gli scienziati e controllare le loro affermazioni. Ma le affermazioni di Daszak e Andersen erano rimaste ampiamente incontestate.

Dubbi sull’emergenza naturale

L’emergenza naturale è stata la teoria preferita dai media fino al febbraio 2021 e alla visita di una commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Cina. La composizione e l’accesso della commissione erano stati pesantemente controllati dalle autorità cinesi. I suoi membri, tra cui l’onnipresente Dr. Daszak, avevano continuato ad affermare prima, durante e dopo la loro visita [in Cina] che l’ipotesi della fuga dal laboratorio era estremamente improbabile. Ma questa non era proprio la vittoria propagandistica che le autorità cinesi avevano sperato. Quello che era diventato chiaro era che i Cinesi non avevano prove da offrire alla commissione a sostegno della teoria dell’emergenza naturale.

Una cosa del genere era sorprendente perché sia il virus SARS1 che il MERS avevano lasciato copiose tracce nell’ambiente. La specie ospite intermedia del SARS1 era stata identificata dopo quattro mesi dallo scoppio dell’epidemia, e l’ospite del MERS dopo nove mesi. Eppure, 15 mesi dopo l’inizio della pandemia di SARS2, e una ricerca presumibilmente intensa, gli scienziati cinesi non erano riusciti a trovare né la popolazione originale di pipistrelli, né la specie intermedia su cui il SARS2 avrebbe potuto fare il salto, né alcuna prova sierologica che una qualsiasi popolazione cinese, compresa quella di Wuhan, fosse mai stata esposta al virus prima del dicembre 2019. L’emergenza naturale è rimasta una congettura che, per quanto plausibile all’inizio, in oltre un anno non ha guadagnato uno straccio di prova a sostegno.

E, finché le cose rimarranno così, è logico prestare una seria attenzione alla congettura alternativa, che il SARS2 sia fuoriuscito da un laboratorio.

Perché qualcuno vorrebbe creare un nuovo virus capace di causare una pandemia? Da quando i virologi si sono dotati degli strumenti per manipolare il genoma virale, hanno sostenuto di poter anticipare una potenziale pandemia cercando di capire quanto un dato virus animale potrebbe essere vicino a fare il salto sull’uomo. E questo, secondo i virologi, giustificherebbe gli esperimenti di laboratorio per migliorare le capacità di pericolosi virus animali di infettare le persone.

In base a questa logica, hanno ricreato il virus dell’influenza del 1918, fatto vedere come il quasi estinto virus della polio possa essere risintetizzato partendo dalla sequenza del DNA, di pubblico dominio, e introdotto un gene del vaiolo in un virus correlato.

Questi miglioramenti delle capacità virali sono generalmente conosciuti come esperimenti di gain-of-function. Nel caso dei coronavirus, c’è stato un particolare interesse per le proteine spike, quelle che sporgono sulla superficie sferica del virus e determinano praticamente quale specie di animale prenderà di mira il virus. Nel 2000 i ricercatori olandesi, per esempio, si erano guadagnati la gratitudine dei roditori di tutto il mondo ingegnerizzando geneticamente la proteina spike di un coronavirus del topo, in modo che attaccasse solo i gatti.

Le proteine spike sulla superficie del coronavirus determinano quale animale potrà infettare. CDC.gov

I virologi avevano iniziato a studiare seriamente i coronavirus dei pipistrelli dopo che questi si erano rivelati essere la fonte di entrambe le epidemie di SARS1 e MERS. In particolare, i ricercatori volevano capire quali cambiamenti dovevano avvenire nelle proteine spike di un virus di pipistrello prima che potesse arrivare ad infettare l’uomo.

I ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan, guidati dalla principale esperta cinese di virus dei pipistrelli, la dottoressa Shi Zheng-li, la “Bat Lady,” avevano organizzato frequenti spedizioni nelle grotte infestate dai pipistrelli dello Yunnan, nel sud della Cina, e avevano raccolto campioni di un centinaio di coronavirus di pipistrello.

La dottoressa Shi aveva poi collaborato con Ralph S. Baric, un eminente ricercatore sui coronavirus presso l’Università del North Carolina. Il loro lavoro si era concentrato sul miglioramento della capacità dei virus dei pipistrelli di attaccare gli esseri umani, in modo da poter “esaminare il potenziale di emergenza (cioè il potenziale di infettare gli esseri umani) dei CoV [coronavirus] di pipistrello in circolazione.” Nel novembre 2015, per raggiungere questo obiettivo, avevano creato un nuovo virus prendendo la spina dorsale del virus SARS1 e sostituendo la proteina spike con quella di un virus di pipistrello (noto come SHC014-CoV). Questo nuovo virus artificiale [chimerico] era stato in grado di infettare le cellule delle vie aeree umane, almeno quando era stato testato su una cultura in vitro di tali cellule.

Il virus SHC014-CoV/SARS1 è tecnicamente una chimera perché il suo genoma contiene materiale genetico di due ceppi virali diversi. Se il virus SARS2 fosse stato creato nel laboratorio della dottoressa Shi,  il prototipo diretto potrebbe essere stato la chimera SHC014-CoV/SARS1, il cui potenziale pericolo era stato una fonte di preoccupazione per molti osservatori e causa di accese discussioni.

Se questo virus fosse fuoriuscito [dal laboratorio], nessuno avrebbe potuto prevederne la traiettoria,” aveva affermato Simon Wain-Hobson, un virologo dell’Istituto Pasteur di Parigi.

In un loro articolo, il Dr. Baric e la dottoressa Shi avevano fatto riferimento ai rischi evidenti, ma avevano sostenuto che [questi rischi] avrebbero dovuto essere rapportati al beneficio di poter prevenire futuri salti di specie. I comitati di revisione scientifica, avevano scritto [Baric e Shi], “possono ritenere che studi simili, che danno vita a virus chimerici basati su ceppi circolanti, siano troppo rischiosi da perseguire.” Date le varie restrizioni poste sulla ricerca sul guadagno di funzione (GOF), il problema, a loro avviso, erano “le molteplici preoccupazioni sulla ricerca GOF; la possibilità di prepararsi e poter così mitigare le future epidemie deve essere rapportata al rischio di creare agenti patogeni più pericolosi. Nello sviluppo delle politiche future sarà importante considerare il valore dei dati generati da questi studi e se questi studi sui virus chimerici potranno avallare ulteriori indagini, tenendo conto dei rischi intrinseci al procedimento.

Questa dichiarazione era stata fatta nel 2015. Nel 2021, con il senno di poi, possiamo solo dire che il valore degli studi di gain-of-function nella prevenzione dell’epidemia di SARS2 era stato uguale a zero. Era il rischio ad essersi rivelato catastrofico, se davvero il virus SARS2 era stato generato in un esperimento di gain-of-function.

All’interno dell’Istituto di virologia di Wuhan

Il dottor Baric aveva sviluppato e insegnato alla dottoressa Shi un metodo generale per ingegnerizzare i coronavirus di pipistrello e far loro infettare altre specie. I bersagli specifici erano cellule umane coltivate in culture e topi umanizzati. Questi topi di laboratorio, una etica ed economica alternativa ai soggetti umani, sono geneticamente ingegnerizzati con la versione umana di una proteina chiamata ACE2, che si trova sulla superficie delle cellule epiteliali delle vie respiratorie.

La dottoressa Shi era ritornata al suo laboratorio presso l’Istituto di virologia di Wuhan e aveva ripreso il lavoro per ingegnerizzare geneticamente i coronavirus dei pipistrelli e renderli in grado di attaccare le cellule umane.

La dottoressa Zheng-li Shi in un laboratorio ad alta sicurezza (livello BSL4). La sua ricerca sui coronavirus si era però svolta nei laboratori BSL2 e BSL3 con livelli di sicurezza molto più bassi.

 

Come possiamo esserne così sicuri?

Perché, per una strano caso della storia, il suo lavoro era stato finanziato dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), che fa parte del US National Institutes of Health (NIH). E le proposte di sovvenzione per il finanziamento di questo studio, documenti pubblici liberamente consultabili, specificano esattamente ciò che [la dottoressa] aveva pianificato di fare con quei soldi.

Le sovvenzioni erano state assegnate al primo contraente, il dottor Daszak della EcoHealth Alliance, che le aveva poi subappaltate alla dottoressa Shi. Ecco gli estratti delle sovvenzioni per gli anni fiscali 2018 e 2019. “CoV” sta per coronavirus e “proteina S” si riferisce alla proteina spike del virus.

Testare le previsioni della trasmissione interspecie di CoV. I modelli predittivi della gamma di ospiti (cioè il potenziale di emergenza) saranno testati sperimentalmente usando genetica inversa, pseudovirus, saggi di legame del recettore ed esperimenti di infezione virale tramite una serie di colture cellulari di specie diverse e topi umanizzati.”

Useremo i dati di sequenziamento della proteina S, la tecnologia dei cloni infettivi, gli esperimenti di infezione in vitro e in vivo e l’analisi del legame dei recettori per testare l’ipotesi che la percentuale delle soglie di divergenza nelle sequenze della proteina S possa predirre il potenziale di diffusione.”

Ciò che significa, in un linguaggio non tecnico, è che la dottoressa Shi aveva deciso di creare nuovi coronavirus dotati della massima infettività possibile per le cellule umane. Il suo piano era di scegliere geni che codificano per le proteine spike che avessero una gamma nota di affinità per le cellule umane, da alta a bassa. Avrebbe inserito questi geni spike, uno per uno, nella spina dorsale di un certo numero di genomi virali (“genetica inversa” e “tecnologia del clone infettivo“), creando una serie di virus chimerici. Questi virus chimerici sarebbero stati poi testati per la loro capacità di attaccare colture di cellule umane (“in vitro“) e topi umanizzati (“in vivo“). E queste informazioni avrebbero aiutato a prevedere la probabilità di “spillover,” il salto di un coronavirus dal pipistrello all’uomo.

Questo metodico approccio era stato progettato per trovare la migliore combinazione fra backbone e proteina spike in grado di infettare le cellule umane. L’approccio potrebbe aver generato virus simili al SARS2 e, in effetti, potrebbe aver creato il virus SARS2 stesso, con la giusta combinazione di spina dorsale virale e di proteina spike.

Non si può ancora affermare che la dottoressa Shi abbia generato o meno il SARS2 nel suo laboratorio, perché la sua documentazione scientifica è stata secretata, ma sembra che fosse certamente sulla strada giusta per farlo. “È chiaro che il Wuhan Institute of Virology stava sistematicamente costruendo nuovi coronavirus chimerici e stava valutando la loro capacità di infettare le cellule umane e i topi che esprimono l’ACE2,” dice Richard H. Ebright, un biologo molecolare della Rutgers University e uno dei principali esperti di biosicurezza.

È anche chiaro,” aggiunge il dottor Ebright “che, a seconda dei contesti genomici invarianti scelti per l’analisi, questo lavoro potrebbe aver prodotto il SARS-CoV-2 o un progenitore prossimale del SARS-CoV-2.” Il termine “contesto genomico” si riferisce al particolare backbone virale usato come banco di prova per la proteina spike.

Lo scenario della fuoriuscita dal laboratorio per l’origine del virus SARS2, come dovrebbe essere ormai evidente, non è un generico atto d’accusa contro l’Istituto di virologia di Wuhan. È un’ipotesi dettagliata, basata su uno specifico progetto finanziato dal NIAID proprio in quella sede.

Anche se la sovvenzione richiedeva il piano di lavoro appena descritto, come possiamo essere sicuri che questo progetto sia stato effettivamente portato a termine? Per questo possiamo solo dar credito alle parole del dottor Daszak, che, negli ultimi 15 mesi, non ha perso occasione per ribadire che la fuoriuscita del virus dal laboratorio altro non sarebbe che una ridicola teoria del complotto alimentata dall’odio anti-cinese.

Però, il 9 dicembre 2019, prima che si sapesse dello scoppio della pandemia, il dottor Daszak aveva rilasciato un’intervista in cui aveva discusso con molto calore di come i ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan avessero riprogrammato la proteina spike e generato coronavirus chimerici in grado di infettare topi umanizzati.

“E ora abbiamo trovato, sapete, dopo 6 o 7 anni di lavoro, oltre 100 nuovi coronavirus legati al SARS, molto vicini al SARS,” dice il dottor Daszak al minuto 28 dell’intervista. “Alcuni di questi entrano nelle cellule umane in vitro, alcuni di loro possono causare la SARS in modelli di topi umanizzati e non sono trattabili con [anticorpi] monoclonali terapeutici e non ci si può vaccinare contro di loro usando un vaccino. Questi virus sono quindi un vero e proprio pericolo….

Intervistatore: Lei afferma che questi sono coronavirus diversi e che non ci si può vaccinare contro di loro e che non ci sono trattamenti antivirali, quindi, cosa facciamo?

Daszak: Beh, penso che… i coronavirus si possano manipolare in laboratorio abbastanza facilmente. La proteina spike è essenziale per il comportamento dei coronavirus, per il rischio zoonotico. Quindi si può ottenere la sequenza, si può costruire la proteina, e lavoriamo molto con Ralph Baric alla UNC per arrivare a questo. Inserirla nella spina dorsale di un altro virus e fare del lavoro in laboratorio. Così si può diventare più predittivi quando si trova una sequenza. Hai questa diversità. Ora la progressione logica per i vaccini è, se bisogna sviluppare un vaccino per il SARS, [i fabbricanti di vaccini] useranno il virus SARS pandemico, ma potremmo inserirvi alcune di queste altre cose e otterremo un vaccino migliore.” Gli inserimenti a cui aveva fatto riferimento forse riguardavano un elemento chiamato sito di scissione della furina, discusso in seguito, che aumenta notevolmente l’infettività virale per le cellule umane.

In stile disarticolato, il dottor Daszak si riferisce al fatto che una volta generato un nuovo coronavirus che può attaccare le cellule umane, si può prendere la proteina spike e farne la base per un vaccino.

Si può solo immaginare la reazione del dottor Daszak quando, pochi giorni dopo, aveva saputo dello scoppio dell’epidemia a Wuhan. Infatti, conosceva meglio di chiunque altro l’obiettivo dell’Istituto di Wuhan di rendere i coronavirus di pipistrello infettivi per gli esseri umani, così come sapeva dello scarso livello di sicurezza dell’istituto, che non sarebbe stato in grado di prevenire l’infezione dei propri ricercatori.

Ma, invece di fornire alle autorità sanitarie pubbliche le abbondanti informazioni a sua disposizione, aveva immediatamente lanciato una campagna di pubbliche relazioni per convincere il mondo che l’epidemia non poteva essere stata causata da uno dei virus potenziati dell’istituto. “L’idea che questo virus sia fuoriuscito da un laboratorio è una pura sciocchezza. Non è semplicemente vero,” aveva dichiarato in un’intervista dell’aprile 2020.

Le misure di sicurezza all’Istituto di virologia di Wuhan

Il dottor Daszak forse non era a conoscenza, o forse conosceva fin troppo bene, la lunga storia dei virus sfuggiti anche dai laboratori meglio gestiti. Il virus del vaiolo era scappato tre volte dai laboratori inglesi negli anni ’60 e ’70, causando 80 casi e 3 morti. Da allora, virus pericolosi sono fuoriusciti dai laboratori quasi ogni anno. Venendo a tempi più recenti, il virus SARS1 si era dimostrato un vero artista della fuga, evadendo dai laboratori di Singapore, Taiwan e, almeno quattro volte, dall’Istituto Nazionale Cinese di Virologia di Pechino

Uno dei motivi per cui il SARS1 era stato così difficile da gestire è che non esistevano vaccini disponibili per proteggere il personale di laboratorio. Come il Dr. Daszak aveva ribadito nella sua intervista del 19 dicembre, citata in precedenza, anche i ricercatori di Wuhan non erano stati in grado di sviluppare vaccini contro i coronavirus che stavano progettando per infettare le cellule umane. Sarebbero stati indifesi contro il virus SARS2, se questo fosse stato sviluppato nel loro laboratorio, proprio come i loro colleghi di Pechino contro il SARS1.

Una seconda ragione del grave pericolo rappresentato dai nuovi coronavirus è relativo ai livelli di sicurezza previsti per i laboratori. Ci sono quattro gradi di sicurezza, da BSL1 a BSL4, e il BSL4 è il più restrittivo ed è appositamente indicato per gli agenti patogeni mortali, come il virus Ebola.

L’Istituto di virologia di Wuhan aveva un nuovo laboratorio BSL4, ma le sue condizioni operative avevano notevolmente allarmato gli ispettori del Dipartimento di Stato dell’ambasciata americana a Pechino, che lo avevano visitato nel 2018. “Il nuovo laboratorio ha una grave carenza di tecnici e di ricercatori adeguatamente formati, necessari per operare in sicurezza in questo laboratorio ad alto grado di contenimento,” avevano scritto gli ispettori in un cablogramma del 19 gennaio 2018.

Il vero problema, tuttavia, non era lo stato poco sicuro del laboratorio BSL4 di Wuhan, ma il fatto che ai virologi di tutto il mondo non piace lavorare in condizioni BSL4. Devi indossare una tuta spaziale, operare in contenitori chiusi e dare per scontato che ogni operazione richieda il doppio del tempo. Di conseguenza, le regole che assegnavano un determinato tipo di virus ad un livello di sicurezza appropriato erano più permissive di quanto, secondo alcuni, dettasse la prudenza.

Prima del 2020, le regole seguite dai virologi in Cina e altrove richiedevano che gli esperimenti con i virus SARS1 e MERS fossero condotti in condizioni BSL3. Ma tutti gli altri coronavirus di pipistrello potevano essere studiati in BSL2, il livello appena sotto. BSL2 richiede l’adozione di precauzioni di sicurezza minimali, come indossare camici da laboratorio e guanti, non travasare liquidi succhiandoli con la pipetta e mettere cartelli di avvertimento di rischio biologico. Eppure, un esperimento di gain-of-function condotto in condizioni BSL2 potrebbe produrre un agente più infettivo del SARS1 o del MERS. E, se così fosse, il personale di laboratorio avrebbe un’alta probabilità di essere infettato, specialmente se non vaccinato.

Gran parte del lavoro della dottoressa Shi sul guadagno di funzione nei coronavirus era stato eseguito a livello di sicurezza BSL2, come lei stessa aveva dichiarato nelle sue pubblicazioni e in altri documenti. Aveva affermato in un’intervista con la rivista Science che “la ricerca sui coronavirus nel nostro laboratorio è condotta in laboratori BSL-2 o BSL-3.

E’ chiaro che tutto, o parte, di questo lavoro era stato eseguito utilizzando uno standard di biosicurezza, il livello di biosicurezza 2, quello di un normale studio dentistico statunitense, cosa che avrebbe comportato un rischio inaccettabilmente alto di infezione per il personale di laboratorio, se esposto al contatto con un virus con le proprietà di trasmissibilità del SARS-CoV-2,” dice il dottor Ebright.

È anche chiaro,” aggiunge, “che questo lavoro non avrebbe mai dovuto essere finanziato e non avrebbe mai dovuto essere eseguito.”

Questo è un punto di vista su cui non transige, indipendentemente dal fatto che il virus SARS2 abbia, o non abbia, mai visto l’interno di un laboratorio.

La preoccupazione per le condizioni di sicurezza del laboratorio di Wuhan non era, a quanto pare, fuori luogo. Secondo un documento informativo emesso dal Dipartimento di Stato il 15 gennaio 2021, “Il governo degli Stati Uniti ha ragione di credere che diversi ricercatori all’interno del WIV si siano ammalati nell’autunno 2019, antecedentemente al primo caso epidemico riconosciuto, con sintomi coerenti sia con la COVID-19 che con le comuni patologie stagionali.”

David Asher, un collega dell’Hudson Institute ed ex consulente del Dipartimento di Stato, nel corso di un seminario ha fornito maggiori dettagli sul fatto.

La conoscenza dell’incidente era arrivata da un mix di resoconti pubblici e da “alcune informazioni di alto livello raccolte dalla nostra comunità di intelligence,” aveva detto. Tre persone che lavoravano in un laboratorio BSL3 dell’istituto si erano ammalate ad una settimana di distanza l’una dall’altra con gravi sintomi che avevano richiesto l’ospedalizzazione. Quello era stato “il primo cluster accertato di cui siamo a conoscenza di vittime di quella che riteniamo fosse COVID-19.” L’influenza non poteva essere completamente esclusa, ma, date le circostanze, sembrava assai improbabile, aveva detto.

Fine della prima parte

La seconda parte è qui.

Nicholas Wade
Fonte: nicholaswade.medium.com
Link: https://nicholaswade.medium.com/origin-of-covid-following-the-clues-6f03564c038
03.05.2021
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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