DI MAGNUS SVEINN HELGASON
dissidentvoice.org
Mentre la storia – intesa come “il passato” – non cambia, la storia – intesa come “la narrazione di eventi passati” – invece cambia. Questo perché noi vediamo la storia con gli occhi del presente. Mentre gli eventi si susseguono, il significato ed il senso del passato cambiano. E perché la nostra visione del passato, abbiamo costantemente bisogno di cambiare i nostri libri di storia.
Quindi, è alquanto difficile prevedere come verrà ricordato un qualsiasi evento, figuriamoci un intero decennio. Poiché non sappiamo cosa ci riserva il futuro, o quale tendenza accademica regnerà tra i futuri storici, è estremamente difficile dire con certezza il modo in cui gli storici giudicheranno il primo decennio del 21° secolo. Tuttavia, anche senza uno storico senno di poi, possiamo formulare delle ipotesi plausibili.
Dieci anni di progresso
Il primo decennio del 21° secolo in Islanda saranno sicuramente ricordati come dieci anni di progresso e successi da quegli storici che porranno l’enfasi sulla storia sociale e culturale. Sono state raggiunte importanti pietre miliari nella storia dei diritti umani e dell’uguaglianza, più recentemente con la legge del 2010, che accorda ai gay il diritto di sposarsi. Un’altra pietra miliare è stata raggiunta nel 2009 quando Jóhanna Sigurðardóttir è diventata il primo Premier donna dell’Islanda ed il primo Premier gay del mondo. Un passo importante nella storia mondiale.Inoltre, l’Islanda è divenuta una vera e propria società multiculturale dal momento che un gran numero di stranieri, principalmente dall’Europa orientale, sono migrati in Islanda in cerca di lavoro. E malgrado il divampare occasionale della xenofobia, la società islandese ha ben accolto questi immigranti. Entro la fine del decennio, le autorità di Reykjavík hanno persino ammesso che le persone provenienti da altre culture avevano il diritto di costruire i propri luoghi di culto, garantendo finalmente alla piccola comunità musulmana nazionale il diritto di costruire la loro moschea.
Il decennio è stato importante anche per la storia culturale dell’Islanda. Le arti hanno prosperato ed musicisti hanno goduto di un successo notevole sia in Europa che in America.
Tutto sommato, nel 2010 l’Islanda è ben più cosmopolita di quanto lo fosse nel 2000.
Dieci anni di fallimento
Per quanto importanti siano questi sviluppi, direi che nessuno di essi è così importante come il colossale, totale e ingiustificabile fallimento del miracolo economico islandese, che è di certo l’evento decisivo del decennio. L’esperimento neoliberale di creare prosperità tramite la riduzione delle tasse e dei controlli al fine di trasformare l’Islanda in una qualche sorta di paradiso fiscale business friendly e centro finanziario globale è finito nel collasso totale del 2008.
Il motivo per cui il pubblico ha accettato questo esperimento è stato, in primo luogo, il fatto che gli islandesi erano stati portati a credere che vivessero in un paese caratterizzato dalla correttezza, dall’uguaglianza e – soprattutto – dall’onestà. L’Islanda era stata classificata come la società meno corrotta al mondo e gli islandesi credevano di essere governati da politici onesti e che i loro uomini d’affari fossero altrettanto laboriosi ed onesti.
Il collasso e le sue conseguenze hanno mostrato agli islandesi che si trattava di un miraggio. I bancari, accolti come bimbi prodigio della finanza, erano in realtà dei saccheggiatori. I politici degli idioti incompetenti. Come lo sventurato Ministro degli Affari Economici, beccato come un cervo dai fari di un’auto, senza il minimo indizio su cosa fare quando dovevano affrontare delle scelte difficili. Altri, gonfi di arroganza e delusione, come l’ex Ministro degli Affari Esteri Ingibjörg Sólrún Gísladóttir, il quale dichiarava che coloro che avessero osato protestare contro l’inazione e l’incompetenza dei politici “non erano la nazione”. Davíð Oddsson, che rifiutava di scendere dal trono della banca Centrale. I manager di Kaupthing che dichiaravano con fare sprezzante che non avevano assolutamente nulla di cui scusarsi.
Dieci anni di fiducia sprecata
La fiducia è ovviamente importante per tutte le società. Ma troppa fiducia, come anche quella immeritata, è pericolosa, e direi che una delle debolezze più grandi della società islandese all’inizio del decennio fosse l’eccesso di fiducia: verso i politici, verso i business leader e l’ideologia di mercato. Una delle cause delle proteste che sono iniziate nell’inverno del 2008 è stato il rendersi conto del pubblico che le élites, sia politica che economica, avevano tradito la fiducia di cui avevano goduto.
Infatti, questo sembra essere parte di un modello globale: ovunque, la fiducia nei politici e nei business leaders è crollata. La ragione è la stessa ovunque. Il fallimento economico ed il collasso finanziario, causati da finanzieri imprudenti e politici compiaciuti, non sono i motivi primari – il vero motivo è che la gente si sente tradita dalle loro “élites”.
Durante il periodo della bolla, la gente ha tollerato l’aumento della disparità del reddito in quanto gli era stato promesso che la ricchezza sarebbe arrivata. Si è scoperto che il pubblico non aveva il permesso di partecipare alla ricchezza, solo ai debiti, perché quando arrivò il crollo, il pubblico fu costretto ad addossarsi il finanziamento degli speculatori. Ancora peggio, l’ala sinistra del governo, che aveva promesso di proteggere le case e le famiglie, è stata incapace di intervenite con un piano dettagliato per aiutare il pubblico, e non sono stati fatti passi concreti per aumentare la giustizia sociale.
Lezioni imparate
Ovviamente, non è tutto negativo. Le persone hanno imparato con le cattive che non è possibile costruire una prosperità permanente per un’intera società sulla speculazione, la manipolazione del mercato e la razzia aziendale.
Gli islandesi hanno anche imparato l’importanza della modestia. Ma ad un alto prezzo. Storicamente, gli islandesi sono stati colpiti da un certo misto di insicurezza e presunzione. Durante gli anni del boom l’insicurezza è stata sostituita dall’arroganza, creando delusioni e certezze velenose di grandezza che hanno alimentato la bolla finanziaria islandese. Quando questa è scoppiata, le persone si sono rese conto che l’Islanda non era il centro dell’universo. Per parafrasare una straziante uscita alla Borat della first lady islandese: l’Islanda non è di certo “il paese più grande del mondo” (stórasta land í heimi).
Alla fine, gli islandesi hanno anche imparato che protestare puù essere efficace. Non è passato molto tempo dalla comune convinzione che gli islandesi in qualche modo non fossero geneticamente capaci di protestare politicamente. Gruppi come Saving Iceland vennero diffamati e gli attivisti politici vennero considerati sospetti. Il collasso finanziario ha riacceso uno spirito di impegno politico che era tutt’altro che morto durante la bolla.
Si può sperare che questo rinnovato impegno e attivismo politico porterà a politiche più democratiche e politici più reattivi.
Magnús Sveinn Helgason scrive per The Rejkjavik Grapevine dov’è apparso per la prima volta questo articolo.
Fonte: http://dissidentvoice.org
Link: http://dissidentvoice.org/2011/02/lessons-learned-from-iceland’s-decade-of-failure/
5.02l.2011
traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBETA PAPALEO