LE LEZIONI DI GAZA IN UN'ERA DI CADUTA E RINASCITA

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DI JUAN SANTOS
the-fourth-world.blogspot.

In memoria della sacerdotessa maya Jo’b No’j Chomiha (Rosa Maria Cabrera)

Non si può più nasconderlo. Quello che accade a Gaza è, con evidenza palmare, pulizia etnica – genocidio.
È un genocidio che prosegue da sessant’anni, talvolta con episodi fulminei, gravi e devastanti, talaltra attraverso una routine più diradata – ma sempre perseguito con metodo.

Per percepire con chiarezza i percorsi culturali che conducono al genocidio (in Palestina o altrove), dobbiamo solo fare una verifica incrociata tra quelle che, nel corso del tempo, i perpetratori affermano essere le loro intenzioni e i loro comportamenti reali – o sperimentare una rivelazione improvvisa, ovvero un lampo di profonda consapevolezza.
Io ero uno di quelli che ha una comprensione globale e subitanea delle cose. Quando avevo sedici anni queste intuizioni mi colpivano con una forza intima e travolgente che per essere spiegata richiederebbe un saggio a parte.

Stavo guardando sulla tv pubblica un documentario sull’Olocausto nazista. Più tardi, quella stessa sera, ebbi l’intuizione: quello che era accaduto con l’Olocausto non era l’eccezione alla regola – era l’applicazione più autentica della regola; era l’espressione condensata di come funzionino le cose nella vita quotidiana, all’interno del culto ottuso della vita quotidiana per come la viviamo. L’Olocausto non poteva venir fuori dal nulla, non fu un’aberrazione, ma fu determinato da circostanze determinate, come un foruncolo viene generato da una pelle grassa – e, al pari di una pustola, l’Olocausto fu solo il sintomo di ciò da cui derivava – le condizioni che lo generarono. Le esplosioni concentrate di orrore genocida prendono origine dalla norma che resta alla loro base. Senza questa base per la loro esistenza, le cose non possono acquisirla.

Quello che oggi accade a Gaza non è accidentale; è l’espressione della logica che ha a monte, di atteggiamenti e sentimenti che permeano totalmente la cultura israeliana; logica, atteggiamenti e sentimenti che si reggono su una serie di premesse fondamentali.
La più fondamentale di queste premesse è di quelle condivise da ogni civiltà e da ogni impero sulla Terra, per un periodo storico che copre diverse migliaia di anni: che i membri che compongono una determinata cultura sono vulnerabili, sia che questa vulnerabilità derivi da nemici umani sia condizioni naturali. e che questa vulnerabilità si traduce logicamente in una mentalità dell'”uccidi o muori”, “uccidi o vieni ucciso”, “conquista o vieni conquistato”.

Ogni cultura imperiale decide di essere colui che uccide, piuttosto che quello che muore o viene ucciso, di essere il conquistatore piuttosto che il conquistato, il dominatore e non il dominato. A un certo punto il trauma di una minaccia concreta ma isolata diventa pervasivo, e si insedia nella psicologia individuale, per diffondersi poi a un’intera cultura, quasi fosse uno stato d’emergenza psico-culturale, una psicosi o nevrosi di massa. La percezione di una minaccia diventa una parte scontata dell’esistenza, il muro portante di un modo di vivere.
Ogni impero ha di fronte quella che considera una minaccia esistenziale (in effetti, ogni impero è pervaso dalla concezione che l’esistenza – la vita stessa – sia una minaccia). La fondazione e il percorso storico di Israele, e la cacciata, la permanente oppressione e il massacro del popolo palestinese, sono stati “giustificati” per decenni dalla denuncia irrealistica di una perpetua minaccia di un nuovo Olocausto anti-ebraico, dal quale Israele e le altre comunità ebraiche devono perpetuamente difendersi. Questo tipo di autodifesa sempre all’erta, fondamentalmente, è il perno di ogni civiltà.

Nel caso di Israele, l’idea (ora obsoleta) era che se c’era un popolo che aveva il “diritto” di praticare l’omicidio indiscriminato, quel popolo era l’ebraico. Israele poteva uccidere e rubare impunemente; questo era giustificato dalla “minaccia” di un nuovo Olocausto che gli ebrei fronteggiavano, una minaccia che si proclamava così grave da giustificare qualsiasi crimine commesso per scongiurarla.

In parte a causa dell’Olocausto, in parte a causa della lunga e perversa storia europea di persecuzioni contro il popolo ebraico, i sionisti pretesero, e ottennero, la licenza di uccidere. La messa in discussione di questo “diritto” sarebbe stata stigmatizzata come la prova vivente della sussistente “realtà” di quella perpetua minaccia; chi lo avesse fatto sarebbe stato etichettato come “antisemita”, cioè come qualcuno che è la prova vivente della potenzialità di un nuovo genocidio anti-ebraico, e in pratica come sostenitore di un altro genocidio anti-ebraico.

In tal modo, Israele ha affermato una sorta di incontestabile “diritto” alla “autodifesa” dalla minaccia – all’eliminazione della “minaccia” palestinese – come dire la Palestina stessa e il popolo palestinese. La “minaccia”, come sempre, si tramuta nella licenza di genocidio.

In assenza di un accordo culturale sulla natura e il significato della “minaccia” esistenziale, nessun impero può giustificare la propria esistenza. Qualsiasi “progresso”, o quasi, viene misurato in termini di vittoria sulle minacce percepite, e la cultura dell’Impero, la stessa civiltà, con tutti gli orrori perpetrati, trova giustificazione nel “progresso” che rappresenta.

È importante comprendere, ad esempio, che oggi molti israeliani vedono il genocidio di Gaza come “progresso”. Ecco perché i sondaggi mostrano la loro schiacciante approvazione per esso. Analogamente, i nazisti fecero “progressi” nel trattare la “questione ebraica”, al punto di credere possibile un progresso fino alla cura risolutiva del “morbo ebraico” che secondo loro minacciava il popolo tedesco. Chiamatela la promessa di una Cura Finale, una Soluzione Finale, un Progresso Finale. Chiamatela la promessa di una Redenzione Finale, una liberazione culturale dalla minaccia esistenziale, la promessa di un “successo” definitivo della civiltà.
In tutto questo non c’è niente di insolito. Ciascun aspetto della nostra vita quotidiana è permeato da simili promesse, e ognuna di esse è una menzogna. Fare questo tipo di promesse è il mestiere dei politici, ed è per questo che tendiamo a disprezzarli, sebbene ognuno di noi spasima per la “soluzione finale” di questo o quest’altro problema, grave o insignificante che sia.
Ogni spot televisivo è una soluzione finale ambulante e parlante, una nuova cura “miracolosa”; un vero progresso – un must.

Perché ogni volta che acquistiamo una merce pubblicizzata non stiamo comprando un oggetto, stiamo comprando un’idea, una cultura, una promessa, una soluzione; sia essa la soluzione alla “minaccia” dell’alito cattivo o alla “minaccia” del “terrorismo internazionale”. Facendo il nostro acquisto, acquisiamo anche la nozione fondamentale che la vita stessa è una minaccia, e che la civiltà e il “progresso” sono la sua cura. Per molti israeliani, a parte una piccola minoranza consapevole, il fosforo bianco che Israele fa piovere sul popolo di Gaza non è un veleno infuocato – è una medicina – è una cura, una soluzione; se credete allo spot [1].

Ma non incolpateli; nemmeno voi siete immuni; in una forma o nell’altra, credete anche voi nella stessa bugia. “Loro” non sono diversi; voi non siete diversi. Provengono dalla stessa cultura di molti di noi; una delle culture dell’Impero – in questo caso l’Occidente. In Occidente, come in tutte le culture imperiali, le “minacce” si affrontano eliminandole. Così i nazisti cercarono di eliminare gli ebrei; gli ebrei d’Israele ora cercano di eliminare i Palestinesi – la chiamano la “minaccia” palestinese, e in tal modo la stessa parola “palestinese” è arrivata a rappresentare una minaccia nel sottotesto emotivo della cultura imperiale dell’Occidente.

Lo scrittore israeliano Uri Avnery, parlando del genocidio di Gaza, è diretto ed essenziale:

“Ogni neonato, con l’atto di morire, si trasforma in un ‘terrorista’ di Hamas. Ogni moschea bombardata diventa all’istante una base di Hamas, ogni condominio un deposito di armi, ogni scuola un posto di comando di terroristi, ogni edificio pubblico un ‘simbolo del dominio di Hamas’. In questo modo l’esercito israeliano conserva la sua purezza di ‘esercito più morale del mondo’…”

E se solo gli israeliani sorridessero nell’atto di uccidere, e inviassero qualche dottore e un po’ di medicine per anestetizzare il dolore, sarebbero a un tempo “morali” e “perbene” [2]. E nessuno potrebbe obbiettare. Il massacro potrebbe proseguire senza interruzioni.
Come Israele è deciso a eliminare i palestinesi, tu, cowboy, hai cercato e ancora cerchi di eliminare gli indiani. Il “selvaggio” di ieri è il “terrorista” di oggi: la minaccia.

Negli Stati Uniti, la gente di colore è una “minaccia”, così la loro eliminazione viene perseguita con sistemi diversi, rarefatti, sistemi che non somiglino a un genocidio – attraverso l’incarcerazione di massa di milioni di neri sotto lo schermo della “lotta alla criminalità” o della “guerra alla droga”, o della “guerra alle gang”, qualsiasi cosa possa essere reso moralmente giustificabile e riscuotere l’approvazione della gente “perbene”. Ma la cruda realtà è che noi, i discendenti degli africani e dei nativi americani, siamo i vostri abitanti di Gaza. E la percezione che avete di noi come minaccia agisce nella vostra cultura come agisce la percezione che gli israeliani hanno dei palestinesi. Voi ci avete rubato la terra, ci avete rubato i corpi; così come Israele sorge sulla terra rubata ai palestinesi; solo che questo discorso è di un ordine di grandezza molto al di là di quello di una piccola striscia di terra sul Mediterraneo. Stiamo parlando di due continenti solo in questo emisfero, e della conquista e riduzione in schiavitù dell’Africa, così come dell’Australia.

Qui nelle Americhe, i vostri antenati hanno ucciso il 95% dei miei antenati – David Stannard, nel suo fondamentale “American Holocaust”, pubblicato dalla Oxford University Press [1992] [3], fissa la cifra intorno ai 100 milioni di morti. E voi che credevate che i 20 milioni ammazzati dai nazisti non avessero precedenti. È quello che vi hanno insegnato, che i nazisti sono stati una eccezione maligna alla norma della “civiltà”.

No, i nazisti non sono stati un’eccezione alla regola, non più di quanto lo siano gli israeliani. E nemmeno lo sono gli europei nelle Americhe.

Hiroshima, Nagasaki, la Conquista delle Americhe, la Conquista dell’Africa (coi suoi 50 milioni di morti), la Nakba (l’iniziale Conquista della Palestina), la guerra di conquista USA-Messico – tutte realizzate con la stessa dinamica: “progresso” ed espansione, l’eliminazione della “minaccia”, e la necessità di una coerenza culturale interna a fronte della minaccia (è qui che fa la sua comparsa lo stereotipo dell'”ebreo che odia se stesso” [4] – un marchio teso a riaffermare la coerenza interna della cultura ebraica di fronte alla “minaccia”, così che quelli che non credono in questa minaccia, o non sono disposti a uccidere per eliminarla, diventano il “nemico interno” – parte integrante della “minaccia”. Se tutto questo vi fa venire in mente la psicologia di massa del fascismo [5], non ce n’è ragione. Tutti gli imperi e gli stati coloniali, dall’antica Roma a Mussolini agli Stati Uniti al Sud Africa a Israele, agiscono in base ai medesimi presupposti e mediante le stesse dinamiche psicologico-culturali. L’Impero è Fascismo.

La vostra educazione è stata poco più di un processo di indottrinamento alla coerenza interna della cultura dell’Impero, un metodo per adeguare lo scopo della vostra esistenza alla promessa culturale di eliminazione della minaccia. Avere “successo” implica che abbiate eliminato le minacce in un modo che possa essere posticciamente definito “perbene”. Questo è quello che acquisite ad ogni prodotto o menzogna che comprate. Comprate il genocidio; comprate l’ecocidio. Comprate l’eliminazione della vita sulla Terra [6].

La vita in sé, dopotutto, è la fondamentale delle minacce esistenziali; la vita include la sua controparte, la morte. La vita è fitta di eventi selvaggi, eventi minacciosi. Il termine “selvaggio”, in origine, attiene alla vita integra, indomita, non addomesticata, non civilizzata. In origine “wild” [selvaggio] significa “che segue la propria volontà”.

La vita stessa è una minaccia che va eliminata. Questa è la logica finale della soluzione finale, della psicologia e della cultura fascistizzanti dell’Impero.

Le “oscure” “terre selvagge” [wilderness], ovviamente, pullulano di minacce. Anche questo ci è stato insegnato; è una percezione talmente radicata nella cultura occidentale da non aver quasi bisogno di prove tangibili, viene assorbita attraverso le favole e i pori della pelle.
E se siete bianchi “Americani”, è manifestamente il vostro destino sconfiggere la minaccia selvaggia, domarla, spezzarla – eliminarla. Il vostro scopo non può essere molto diverso se siete parte della Germania nazista; se siete israeliano, il Grande Israele è il vostro destino manifesto; oppure il Sud Africa; o l’Australia. Scegliete uno stato coloniale o l’altro [7]. Potrebbe essere sconvolgente guardare al genocidio di Gaza come a uno specchio; ma non importa: voi siete parte dello stesso schema genocida ed ecocida.

Questa è la primissima cosa che è necessario capire per avere una valutazione e un approccio onesti alla nostra corrente crisi globale. È il fattore di comprensione più importante per capire la cultura europea bianca, la sua dinamica nelle Americhe e nel ruolo di Impero globale. È fondamentale a che si possano comprendere i presupposti culturali di base che guidano la nostra vita quotidiana e l’interazione reciproca. È un fattore di comprensione talmente importante, descrive una realtà talmente pervasiva, che senza di esso è semplicemente impossibile porsi come alleati di un popolo oppresso – a Gaza o da qualunque altra parte.

Se non si è capito questo, non si è capito nulla. La nostra “compassione” si degrada a beneficenza e a paternalistiche missioni umanitarie per i poveri miserabili selvaggi – la plebaglia dell’Impero.

Senza questa comprensione della dinamica dell’Impero e del genocidio, non possiamo fare pienamente parte del rimedio di cui noi come umani, la Terra come entità vivente, e gli animali che tanto amiamo, abbiamo urgente bisogno. Senza questa comprensione non si può nemmeno concepire l’attuale contrapposizione tra “vecchia mentalità” e “nuova mentalità”. Senza questa comprensione non si saprebbe nemmeno in cosa consista questa “vecchia mentalità”.

Se non ci immergiamo nella fondamentale consapevolezza delle realtà culturali di genocidio ed ecocidio, non sapremo a che punto siamo, la situazione che affrontiamo, o la profondità della negazione che ci circonda, riguardo la crisi in corso. In punta di fatto, se questa comprensione non è integrata pienamente nella nostra visione del mondo, siamo per definizione in fase di negazione. Per definizione, siamo parte del problema e non della soluzione.

Senza questa comprensione non si avrà la minima idea di cosa sia l’esperienza dei nativi [indigenous experience] a cui tanti si vorrebbero accostare. Tanto meno ci si potrà avvicinare a qualcosa di simile alla “saggezza” degli indigeni americani – o, se è per questo, alla saggezza e l’esperienza africane. Se è questo che state cercando, be’, eccovi un po’ di saggezza indigena:
Negli Stati Uniti di oggi, l’aspettativa di vita di un lakota delle riserve non è “per caso” di 44 anni – la più bassa del pianeta. Il tasso di suicidi tra adolescenti lakota non è “per caso” il 150% rispetto alla media USA. Il tasso di disoccupazione e l’estrema povertà dei lakota non sono “per caso” quello che sono. Non è casuale che i nativi americani abbiano il tasso di incarcerazione più alto del pianeta, perfino più alto di quello degli africani americani.

Queste loro condizioni sono la diretta conseguenza della conquista e dello stato di assoggettamento inflitti loro da un popolo nemico che aveva promesso e intendeva spazzare via i nativi americani dalla faccia della terra – esattamente come i nazisti intendevano spazzar via gli ebrei dalla faccia della terra. Le riserve sono il Ghetto di Varsavia dell’America bianca (per inciso, non è per niente che chiamano “ghetto” il ghetto nero), e i popoli di discendenza indigena, siano essi lakota o messicani, insieme alla gente di colore, sono gli “ebrei”. Meglio ancora – sono i palestinesi.

Infatti Hitler ammirava apertamente lo sterminio degli indiani e il sistema delle riserve, e li prese consapevolmente a modello. I bantustan del Sud Africa e il sistema dell’apertheid hanno un’origine simile, così come gli insediamenti coloniali e la divisione della Palestina. Gaza è una riserva indiana temporanea, “territorio indiano” che aspetta solo di essere conquistato, un campo di concentramento a cielo aperto. Ora come allora, è lo stesso.

Dove credevate di essere?

Ovunque è Palestina.

Se non si affronta la perdurante, storica realtà del genocidio, la realtà degli Stati Uniti come stato coloniale e impero globale che è immerso, intriso, trasuda genocidio da ogni poro, allora non si può immaginare la sofferenza dei popoli oppressi qui negli USA o nel resto del pianeta. Non possiamo che reagire – essere reazionari (e uso questo termine di proposito, coscientemente e deliberatamente) davanti al dolore dei popoli oppressi. Non sarà possibile comprendere la rabbia generata dalla totale invisibilità che provano quelli che affrontano tutti i giorni la realtà di un genocidio fisico e culturale, realtà che spesso affrontano da soli, senza alcun riscontro da parte dei loro supposti “alleati” bianchi. Sarà impossibile comprendere che quello che sta accadendo a Gaza ha un significato unico per coloro che ci vivono e muoiono. Il dramma dell’omicidio di massa di quel popolo è solo il distillato del culto cieco dell’oppressione che costituisce la loro vita quotidiana, del culto della vita quotidiana [cioè il considerare l’oppressione come una naturale componente della realtà].

Senza un’attenta comprensione delle dinamiche del genocidio, non resta che incolpare le vittime per il loro dolore e la loro rabbia, non riuscendo a capire che la propria cecità di fronte agli elementi più basilari della vita quotidiana fa dono agli oppressi di una scatola chiusa a chiave – la stessa scatola chiusa a chiave che gli oppressi vedono nei loro effettivi persecutori e nemici dichiarati – la scatola chiusa della negazione.
E soprattutto, senza questa viva consapevolezza non si riesce a vedere la realtà che il mondo ha oggi di fronte, la totale congruità e continuità tra ecocidio e genocidio, e i modi in cui il funzionamento e la negazione dell’uno rifletta il funzionamento e la negazione dell’altro, o i modi in cui le minuzie quotidiane di una cultura omicida si riversino nel flusso delle correnti fluviali e oceaniche della morte planetaria.

Se non si comprende il genocidio, niente di essenziale può essere compreso – tanto meno si può rientrare nella categoria dei “saggi”. Senza aver affrontato la realtà basilare che conforma la propria cultura e le sue quotidiane interazioni con altre culture, non ci si può avvicinare alla “saggezza” o all’umiltà o all’autoriflessione, e nemmeno comprendere in maniera adulta quel che succede tutt’attorno.

Ringraziamo gli spiriti [8] che la negazione di cui siamo imbevuti abbia finalmente cominciato, mentre parliamo, a vacillare.
Perché quello che sta succedendo è che su scala globale è in atto una nuova scelta tra la vita e la morte. La scelta che ci si pone davanti è anche di natura individuale, da fare nel proprio contesto di storia, vita e cultura; influenzerà e modellerà ogni aspetto della nostra vita, incluse le nostre più profonde concezioni su comunità e rapporti umani.

Ma la scelta non è tra uccidere o essere uccisi, uccidere o morire; è tra uccidere e vivere. E come le scelte fatte dagli antichi popoli che scelsero l’Impero, le nostre scelte di oggi influenzeranno le esistenze ad ogni livello e ad ogni magnitudine. Il nostro futuro potrà comprendere un’autentica “soluzione finale”, l’Eliminazione Finale della Vita sulla Terra, o potrà vedere la nascita un nuovo modo di Vivere che possa durare per tutto il ciclo vitale del nostro pianeta e del nostro sistema solare. Proprio in questo momento, i piatti della Bilancia stanno oscillando. Come ha sottolineato il capo lakota Arvol Looking Horse, la decisione sta a noi.

È importante capire, in questo contesto, che la Vita sulla Terra non sta “morendo”. Gli irsuti, i quadrupedi, non stanno “morendo”. Vengono assassinati da una cultura che è la loro consapevole e dichiarata nemica.
Qui, nel mezzo della più grande estinzione di massa degli ultimi 65 milioni di anni, tutto ciò che è “selvaggio” non sta morendo “per caso”, non più di quanto stiano morendo “per caso” gli abitanti di Gaza. Ciò che è Selvaggio viene ucciso da una cultura che ha dichiarato e ammesso di voler sradicare, eliminare ciò che è selvaggio, di conquistare, domare, soggiogare e distruggere il Selvaggio – una cultura che è energicamente avversa alla vita – a tutta la vita che segue la propria volontà, che quindi è “vita selvatica”.
È una cultura che usa la dinamite per far saltare in aria i cuccioli di lupo nelle loro tane, come se fossero tanti bambini palestinesi nelle loro case; e che, alla maniera degli squadroni della morte, alla maniera degli israeliani a Gaza, utilizza poi gli elicotteri per eliminare dal cielo i lupi adulti.

Se la vita è a rischio, e se le specie “a rischio” ne sono un simbolo, questo è quello che la mette “a rischio” – assassini deliberati. Non sono a rischio accidentalmente, a causa di gente ignorante ma “benintenzionata”, ma a causa di gente assassina – una cultura di assassini – anche se, eventualmente, si potrebbe giustamente affermare che quegli assassini non si rendono conto e non avrebbero il coraggio di affrontare la loro natura di assassini. (La ragione per cui i popoli oppressi provano sollievo nel parlare con chi è dichiaratamente razzista, è che è un sollievo avere davanti qualcuno che conosce la propria natura). La maggior parte della classe media bianca negli Stati Uniti non può affrontare l’essenza della propria cultura. Intuiscono di non poterselo permettere.

Per farlo, dovrebbero rompere il codice del silenzio che consiste nell’essere “perbene”. Ed essere “perbene” vuol dire uccidere e insieme sorridere. Uccidere, si deve. C’è una minaccia. Ma si può continuare a uccidere solo fingendo di fare qualcos’altro. L’omicidio di massa diventa “difesa della democrazia”; la Conquista diventa “diffondere la parola di dio e salvare le anime”. Come mi disse una volta una cara amica, una bianca radicale femminista lesbica, essere “perbene” funziona più o meno come un anestetico. (Non fa più male, vero?)
Abbiamo strati su strati di disinformazione, oscuramento, ambiguità, eufemismi, mezze verità e manipolazioni che rendono praticabili le uccisioni, e che biancheggiano il contesto culturale in cui l’omicidio può continuare senza essere né riconosciuto né percepito.

Saggezza, in questo contesto, in parte significa essere abbastanza saggi da trattare con una cultura di assassini. La “saggezza” non può essere astratta dal contesto, non più di quanto la si possa separare dalla cultura, o dall’esperienza all’interno di una data cultura, o dal modo in cui navighiamo – mediamo – tra le culture.
Senza una solida conoscenza delle dinamiche del genocidio questa cultura non si comincia nemmeno a intenderla, e si è perciò totalmente inadatti a mediare tra la cultura dell’oppressore e quella dell’oppresso, meno che mai si è adatti alla creazione o almeno al cominciamento di quello di cui abbiamo più urgentemente bisogno – una nuova cultura e una “mentalità” davvero nuova – una mentalità che, in pratica, può essere il risultato e il prodotto di una nuova cultura che si affacci all’esistenza mentre quest’altra sta collassando, con noi che facciamo a pezzi, consapevolmente, la consapevolezza che la anima. Una “mentalità nuova” sarà il segno di una nuova cultura di cui le prossime generazioni vedranno la maturità.

Al di là di questo, senza questa solida conoscenza della realtà del genocidio, e quindi dell’ecocidio, non possiamo amare il mondo – non nel modo più adatto, e non se l’amore è la capacità e la volontà di aprire [extend] se stessi per la crescita spirituale degli altri. Non ci si può protendere verso gli altri per guidarli su un terreno che non si conosce – non senza tradirli. Non se “amore”, come “saggezza”, è in realtà un verbo; la capacità di agire [ability] in un contesto.
Ed ecco il nostro contesto, mentre il mondo e la Terra intorno a noi si trovano sull’orlo del disfacimento: è il contesto degli spasimi di morte di un sistema di morte; l’orgasmo di un necrofilo.
Una matura capacità di amare, in questo contesto, viene caratterizzata da quattro tipi di azione.

1. Guidare gli altri a che vedano ciò di cui sono parte;
2. Guidarli al rifiuto di ciò che dev’essere rifiutato;
3. Aiutare le persone che guidiamo a dissipare il trauma; a rendersi conto di essere al sicuro, mentre rinsaviranno deprogrammandosi dalla matrice culturale di “minaccia” e “soluzione”;
4. Contribuire al recupero degli elementi essenziali delle originali, indigene culture pre-Impero, per creare i presupposti di una cultura che sia totalmente diversa, salvando nel contempo, nei limiti delle nostre possibilità, quel che si può della vita su questa Terra.

Questi tre punti diventeranno, inevitabilmente e necessariamente, parte di una nuova mitologia. Fondamentalmente, essi sono doveri religiosi.
Diventeranno, devono diventare parte del sostrato di una cultura della vita, e dovranno essere codificati nella nuova cultura che sta sorgendo dalla morte delle culture dell’Impero.
Una cultura nuova deve sapere da dove viene, dove sta andando, dove rifiuta di andare, a che punto è del percorso, a che stadio del suo sviluppo, e perché. Altrimenti sarà facile che ripeta e riproduca gli aspetti più devastanti della cultura di morte che ci sta crollando attorno.

Se non sappiamo dove siamo, e da dove veniamo, non possiamo sapere dove c’è bisogno di andare, perché abbiamo bisogno di andarci, e non possiamo fornire agli altri i mezzi per valutare la loro posizione nella scala del cambiamento tra la vecchia e la nuova mentalità. In altre parole, privi di questa conoscenza siamo inutili, sia come guide sia come leader; saremo invece un vicolo cieco, un fallimento della consapevolezza.

Per lo stesso motivo è molo pericoloso presumere di “sapere” cosa sia o sarà questa nuova “mentalità”. Questo in parte perché ciò che noi (sia come specie sia come gruppi culturali specifici) facciamo e faremo diventerà parte integrante del mito/storia che plasmerà la nuova mentalità e la cultura da cui essa sorgerà. Dato che non sappiamo quello che faremo, bene che vada qualcuno che tra noi intende contribuire alla fondazione di una nuova cultura può solo vivere come se la sua storia potesse arrivare a incarnare qualche lezione meritevole di ascolto da parte delle future generazioni, seppure ce ne saranno. Ma noi non possiamo prevedere le evenienze e i significati in cui storie e miti si concretizzeranno.

Allo stesso modo, gli hopi che attraversarono le esperienze più tardi fissate nelle loro “Emergence
Stories” [cosmogonie], non potevano conoscere il futuro prima che si fosse manifestato. Mentre attraversavano il Passaggio che dopo la distruzione del Terzo Mondo li avrebbe condotti al Quarto Mondo, non sapevano che sarebbero stati seguiti da una “strega” che avrebbe portato la corruzione nel nuovo mondo, e non conoscevano altri elementi chiave della storia che avrebbero dato piena forma alla loro cultura, nella sua evoluzione e maturazione [9].

Sono queste storie che hanno inciso profondamente nell’esperienza del mondo degli hopi, nella loro “mentalità”, e la nostra storia, per come verrà narrata dai figli dei figli dei nostri figli, basata su come l’abbiamo realmente vissuta, inciderà sulla forma della “nuova mentalità” delle prossime generazioni. Accadrà come accadde per quelli vissuti tanto tempo fa, che vissero e modellarono la storia della “minaccia esistenziale” e delle “soluzioni finali” dell’Impero, la storia che ha dato forma alla cultura e la mentalità di noi, generazioni a seguire.

Quindi sì, Gaza è il nostro specchio, è lo specchio traballante di un traballante sistema mondiale di Impero e dominio; è lo specchio magico in cui possiamo vedere la verità della nostra situazione culturale e delle forze che governano la nostra psiche, lo specchio lancinante che ci conduce alla sofferenza e alla trasformazione, che ci mostra ciò che è rivelato, e cosa, e chi dovrà cambiare, e come. Quello che accade a Gaza è una Rivelazione, un Disvelamento della natura delle cose. È per questo che non riusciamo a strapparcela dagli occhi – o dal cuore.

E mentre assistiamo allo spettacolo, la tragedia dell’Impero, oppressione, genocidio ed ecocidio ci si dispiegano davanti, a Gaza, e certo troveremo l’occasione di provare dolore e rabbia.

Dolore e rabbia per il genocidio sono del tutto giustificati. Ma è importante – fondamentale – tenere a mente che il danno peggiore che l’oppressione ci arreca è quello di renderci qualcosa che non siamo, di privarci della scelta, di ridurci a semplici meccanismi reattivi, di limitare la nostra capacità di percepire e pensare con chiarezza e compassione riguardo noi stessi e gli altri.

Reagendo meccanicamente all’oppressione ci rinchiudiamo nell’orizzonte mentale in cui ciò che ci “minaccia” determina ciò che siamo; la nostra esistenza diventa poco più che la reazione a quella “minaccia”. E così la mentalità dell’Impero ci ha in suo potere. L’Impero stesso è una forma di resistenza, e resistergli, per quanto necessario, è una lama a doppio taglio. Nella misura in cui la nostra reazione al trauma e all’oppressione limita e riduce la nostra capacità di compiere scelte consapevoli, diventiamo vittime interiori del genocidio; diventiamo qualcosa di meno della promessa di una piena umanità; il nostro diritto di nascita ci è stato strappato via.

La libertà estrema è la libertà di compiere scelte dal più profondo nucleo di autenticità che c’è in noi – dal cuore in armonioso legame con ogni vivente [right relation with all life]. Dobbiamo imparare a vivere e agire dall’amore per le nostre genti, per la terra e per ogni vita, e non dalla reazione e dal puro rancore per coloro che si sono resi stoltamente nostri nemici.

Questa libertà – la libertà di amare, accudire e far crescere la vita, non potrà mai esserci né veramente né interamente sottratta, come gli antenati indigeni e gli anziani – tutti coloro che ci hanno tramandato le tradizioni ancora viventi del tempo prima dell’Impero – ci hanno dimostrato con le loro vite.

Di questo, gli anziani spirituali e le guide dei maya del Guatemala sono un grande e recente esempio. I maya sono appena usciti da un genocidio che nella seconda parte del 900 ha sottratto un quarto di milione di vite al loro popolo; eppure, anche se l’oscuramento ancora resiste, anche se il mondo rimase in silenzio sul loro destino di allora, in quel tempo appena prima di Internet, i maya tennero fede alle loro antiche tradizioni, conoscenze e profezie, e ora emergono come un popolo che tiene alta un’intensa luce spirituale per un mondo in crisi. Sono ri-emersi, quasi da programma, per quest’era.

Gli zapatisti, figli della cultura maya del Messico meridionale, sono un altro splendido esempio. Hanno trovato un mirabile equilibrio tra autonomia e resistenza, e tra l’autodeterminazione e la cura della loro identità e della Terra. Insieme ai maya, guardiamo più da vicino al senso e alle potenzialità del nostro Tempo.
Viviamo, al meglio delle nostre capacità, come loro.

Juan Santos
Fonte: http://the-fourth-world.blogspot.com/
Link: http://the-fourth-world.blogspot.com/2009/01/lessons-of-gaza-in-time-of-collapse-and.html
19.020.2009

Tratto dal suo libro di prossima uscita “Apocalypse No!”

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D’AMICO

note del traduttore

[1] Nell’originale “if you buy it” (“se ve la bevete”) che gioca sul senso letterale della metafora (“se la comprate”) all’interno della metafora più ampia (la merce come cura).
[2] Il “nice” dell’originale, in questo contesto, descrive la gradevolezza e la simpateticità delle persone educate e civili (polite, kind and friendly).
[3] Edizione italiana: David E. Stannard – Olocausto americano, La conquista del Nuovo Mondo – Traduzione di Carla Malerba – Bollati Boringhieri 2001.
[4] “Self-hating Jew”: termine denigratorio usato dai sionisti per definire gli ebrei che criticano la politica israeliana.
[5] L’autore cita implicitamente Wilhelm Reich, le cui tesi, in effetti, hanno molto in comune con quelle (relative a un sostrato “permanente” della dinamica sociale fascista) di questo articolo.
[6] Altra metafora merceologica. L’originale “buy into”, alla lettera significa “acquistare una quota”.
[7] Qui e altrove ho preferito rendere con il sintetico “stato coloniale” il più articolato “colonial settler state” (“stato coloniale ed espansionista”), sacrificando il riferimento circostanziato ad Israele (“settler”).
[8] Il riferimento è ai nativi americani, sebbene l’espressione venga utilizzata anche da neopagani, wiccan, channeler eccetera.
[9] Nella cosmologia hopi, vari mondi vengono creati, ciclicamente, e quindi distrutti dalle divinità per sopravvenuto eccesso di malignità umana. Il quarto mondo è quello in cui viviamo adesso.

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