DI ANDREA SCANZI
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Non so se avete delle classifiche personali sui momenti più bassi di questo paese. Sono classifiche, va da sé, che occorre aggiornare spesso. Nella mia opinabilissima ma ponderata flop ten, ho sempre inserito la maniera con cui venne commentata la morte di Enzo Baldoni. Lessi cose terrificanti, da destra ma pure da sinistra.
Tutti pareri di opinionisti, intellettuali, pacifisti (e soprattutto parrucchiere) che non sapevano minimamente di cosa stessero parlando. Che non si erano mossi quasi mai dalle loro poltrone. Eppure, sui giornali e al bar, nei corridoi e per strada, era quasi tutto un dire che “se l’era andata a cercare”: se ne fosse stato a casa, quel Baldoni lì, che faceva pure il pubblicitario e ci aveva i soldi della McDonald’s.
Leggo più o meno lo stesso adesso, in calce alla morte di Vittorio Arrigoni. Non lo conoscevo personalmente e non ero un frequentatore assiduo del suo Guerrilla. Non ero suo amico e non avrei mai il coraggio di fare quello che faceva lui. Ero e resto pavido, come quasi tutti. Consapevole, però.
Per essere delusi occorre sperare. Soltanto chi spera nell’Italia, può dire di essere “deluso”. Non sono deluso dal Pd, perché ho sempre saputo cosa fosse (sia) il Pd. Non sono deluso dal governo, perché ho sempre saputo (esattamente) cos’è questo governo. E non sono deluso dalla reazione (non so quanto minoritaria) degli italiani di fronte all’omicidio brutale di un ragazzo. Fatevi un giro in Rete, in città. Oppure, in una botta di masochismo, in Parlamento.
Nella guerra civile fredda (cit) che contraddistingue il crepuscolo di questo paese, c’è anche – compresa nel prezzo – l’incapacità di unirsi di fronte alla morte. Non che essa cancelli le diversità, certo. Basterebbe però l’umana pietas. “Restare umani”, diceva Arrigoni.
In Italia anche questo è negato. Se muore un militare, il funerale di Stato è d’obbligo e il martire diviene eroe, come nelle vecchie canzoni di De André, solo che a beatificarlo è gente che con De André non c’entra nulla. Il governo santifica il soldato che portava la pace con la guerra, il pacifista scrolla la testa infastidito dalla troppa melassa.
E la cesura tra due realtà inconciliabili si fa più pesante.
Se a morire è un libero cittadino, sia esso giornalista o blogger, attivista o utopista, il fuoco di fila continua livido. Il governo, ancor più se di destra (o semplicemente illiberale come questo), esprime veloci parole di cordoglio che trasudano imbarazzo e insipienza emotiva. Chi piange è derubricato alla voce “sognatore”, che è poi l’eufemismo più educato per la meno nobile parola “coglione”.
E la cesura tra due realtà inconciliabili si fa più drammatica.
Il video di Arrigoni tenuto in ostaggio, ferito e minacciato, era raggelante. Poche ore dopo è stato ucciso, da criminali appartenenti a una frangia islamica estremista (salafita) di cui quasi nessuno sapeva nulla prima di stanotte e di cui adesso si professeranno tutti esperti.
Sarebbe bastata una reazione di commosso rispetto. Di partecipe cordoglio. Non c’è stata. Se l’Italia può sbagliare, sbaglia. Sempre. L’Italia è ormai una provincia dell’Impero che frana su se stessa, dove i più giovani hanno 95 anni e si suicidano perché è meglio un volo dal quinto piano che questo presente da domenica delle salme.
Non so se Arrigoni fosse un eroe, certo era un uomo che sapeva lottare. Oggi abbiamo tutti scoperto – chi voleva scoprirlo – che scriveva bene e aveva un coraggio raro. Era stato incarcerato, torturato. Conosceva rischi e prigioni. Era consapevole delle minacce di morte ricevute: ci scherzava, quando poteva.
Un blogger più celebre di lui lo inserirà nel lungo calendario dei “martiri laici”. Quelli che lasciano lacrime ma non fanno moda. Quelli che, a riguardarli a distanza, sembrano quasi morti per niente.
Sembrano.
Arrigoni non ha fatto in tempo a morire, che subito alcuni suoi video sono stati usati per fini politici. Uno, in particolare. www.youtube.com/Saviano
Quello in cui criticava Roberto Saviano e le sue posizioni sioniste. Quasi che Saviano fosse il mandante, se non proprio il colpevole, dell’efferato delitto. Quasi (quasi?) che anche questa morte venisse utile per alimentare la macchina del fango.
Non ho mai cercato persone che mi raccontassero solo ciò che desidero sentirmi dire. Non sono mai stato fanboy. Il consenso prono è agiografia decerebrata. Stimo enormemente Marco Travaglio, lo conosco bene, ma non lo condivido su Israele. Stimo Roberto Saviano, anche se non lo conosco e mi infastidisce sempre più il santino con cui lo stanno depotenziando, ma non lo condivido su Isreale.
In merito di Palestina la penso come la pensava José Saramago, uno che non si incazzava quasi mai e se lo faceva c’era un motivo; la penso come non può non pensarla chi ha letto Palestina di Joe Sacco, opera tremenda e bellissima.
La penso come chi crede che un Olocausto non si cancelli con un altro Olocausto, o giù di lì.
Ma sono pareri. Solo pareri. Radicati e discutibili, ma (solo) pareri. E quando un paese è ridotto a sciacallare il parere circoscritto di un morto ammazzato per abbattere un “nemico”, significa che è ampiamente giunto al punto di non ritorno. Neanche più capace di piangere, se non per un’eliminazione in Champions League.
Ripeteva Carmelo Bene: “Il mio epitaffio potrebbe essere quel passaggio di Sade: mi ostino a vivere perché anche da morto io continui a essere la causa di un disordine qualsiasi“. Era una frase che piaceva molto a Vittorio Arrigoni.
Era un epitaffio all’altezza di una vita.
Andrea Scanzi
Fonte: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it
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15.04.2011