LE IMPLICAZIONI DEL RICONOSCIMENTO DEL “DIRITTO AD ESISTERE” DI ISRAELE

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DI RANNIE AMIRI
Counterpunch

“There was no such thing as Palestinians… They did not exist.” [“Non c’era qualcosa chiamata Palestinesi… Loro non esistevano.”]

Il Primo Ministro Israeliano Golda Meir (The Sunday Times, 15 June 1969)

Israele e Gaza fremono di attività.

I gruppi umanitari e le agenzie di assistenza cercano di infilarsi nei colli di bottiglia israeliani ed egiziani, per consegnare rifornimenti essenziali; i caccia bombardano i tunnel e uccidono i “militanti” mentre Ehud Olmert sostiene di aderire al cessate il fuoco; i palestinesi tornano alle loro case distrutte per frugare tra le macerie e piangere i loro morti; avvocati dei diritti umani di ogni nazionalità sono impegnati a registrare le testimonianze dei testimoni oculari e raccogliere prove per futuri processi per crimini di guerra; negoziati incessanti in corso al Cairo sperano di mediare per una tregua prolungata tra Israele e Hamas, che implicherà verosimilmente uno scambio di prigionieri (il che apparentemente nega gli stessi presupposti della guerra); e i candidati che corrono per la vittoria alle elezioni in Israele passano un incredibile quantità di tempo nel fare irrilevanti distinzioni l’uno dall’altro.

Netanyahu, Lieberman, Bara e Livni dichiarano tutti quanti di conoscere il modo migliore di mettere “gli arabi” al loro posto, per quanto, nel caso di qualche contendente, con sfumature decisamente fasciste, e di controllare meglio la situazione a Gaza. Ma anche se tutte le questioni principali trovassero una miracolosa soluzione in favore di Tel Aviv, il prossimo primo ministro israeliano troverà comunque il pretesto di continuare a fare campagna contro Hamas e il popolo di Gaza.

Perché?

Perché devono ancora riconoscere il “diritto ad esistere” di Israele.

L’accettazione di questo concetto astruso è stata pretesa inamovibile e costante sia da parte degli Stati Uniti sia da parte di Israele perché qualsiasi serio dialogo con Hamas, o con qualsiasi gruppo che si definisca di resistenza, possa iniziare.

Vorrei far notare, tuttavia, che quasi tutti i palestinesi hanno de facto accettato l’esistenza di Israele.

In effetti potrebbero sostenere:

  1. Non abbiamo forse riconosciuto l’esistenza di Israele, sapendo che erano loro a impedire l’afflusso a Gaza di cibo, medicinali, combustibile, elettricità e acqua potabile per 18 mesi, causando una crisi umanitaria? Che sono stati loro, poi, a bombardare e invadere una popolazione inerme, uccidendo 1300 persone e ferendone migliaia di altre – la stragrande maggioranza delle quali erano civili?

  2. Non abbiamo forse riconosciuto l’esistenza di Israele, quando sappiamo che sono stati loro a sparare fosforo bianco sulla nostra gente, causando ustioni tanto gravi da penetrare la pelle e la carne fino all’osso?

  3. Forse che i Samouni del quartiere Zeitoun di Gaza non hanno riconosciuto l’esistenza di Israele, quando 110 membri della loro famiglia allargata sono stati ammassati dai soldati israeliani dentro un magazzino, senza cibo, acqua o riscaldamento per 24 ore, e il giorno dopo quell’edificio è stato bombardato, ammazzando 30 di loro? Quando è stato impedito per quattro giorni alle ambulanze di soccorrere quelli rimasti all’interno perché i soldati, che stavano a meno di cento metri di distanza, avevano eretto ostacoli di terra apposta per ostacolarle? E i quattro bambini piccoli trovati affamati e rannicchiati vicino ai corpi delle loro madri morte, o i feriti, portati via su carretti perché alle ambulanze non era ancora concesso di passare? Non rendono tutti testimonianza dell’esistenza di Israele?

  4. Forse che Khaled Abed Raboo non ha riconosciuto l’esistenza di Israele quando stava davanti a quello che restava della sua casa a Jabaliya, e i soldati israeliani su un carro armato hanno ordinato a lui, a sua moglie e alle sue tre figlie di allontanarsi? E quando obbedirono, agitando bandiere bianche, e i soldati hanno sparato a tutt’e tre le sue figlie? Forse che il signor Abed Raboo non ha riconosciuto l’esistenza di Israele, quando ha visto i soldati delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), distanti solo 15 metri, sparare e uccidere due delle sue figlie, di due e sette anni, e ferire gravemente la terza? Essere testimoni dell’abbattimento a distanza ravvicinata dei propri figli inermi, uccisi davanti ai propri occhi, non è un criterio sufficiente di accettazione dell’esistenza di Israele?

  5. Forse che gli abitanti di Khuza’a non hanno riconosciuto l’esistenza di Israele quando il loro villaggio ha subito 12 ore di attacco da parte delle forze israeliani, che hanno fatto 14 vittime? Forse che le case spianate con la gente dentro dai bulldozer, l’uccisione di quelli che sventolano bandiera bianca, i colpi sparati contro le ambulanze che cercano di portare via i feriti, e il bombardamento delle case col fosforo bianco non bastano per dire sì, riconosciamo che voi esistete?

  6. E gli sfollati che hanno cercato rifugio nella scuola Al-Fakhoura di Jabaliya? Quando l’area appena fuori della scuola è stata bombardata dalle IDF, e 43 sfollati sono stati uccisi mentre andavano al mercato per procurarsi del cibo? I parenti che gli sono sopravvissuti non hanno forse sufficientemente riconosciuto che la causa del loro indicibile dolore è l’esistenza di Israele?

  7. L’esistenza di Israele non è stata forse confermata dalla famiglia A’aiedy, la cui casa è stata colpita dalle IDF, lasciando ferite due donne di 80 anni e tre dei loro nipoti? Che hanno aspettato 86 ore prima di essere soccorsi, perché i soldati non permettevano alle ambulanze di portarli in ospedale, e sparavano su quelli che cercavano di uscire dal cortile per procurarsi l’acqua?

  8. Forse che l’esistenza di Israele non viene riconosciuta da quelli che nella West Bank sono costretti a spostarsi su strade diverse da quelle usate dai cittadini israeliani? A superare un dedalo di posti di blocco, subendo umilianti perquisizioni e ritardi, solo per fare qualche chilometro? E le donne che sono state costrette a partorire ai posti di blocco, spesso abortendo, sono forse all’oscuro dell’esistenza di Israele? E quelli che sono rimasti tagliati fuori dalle loro fattorie, dai loro mezzi di sostentamento, dalla “barriera di sicurezza” israeliana?

  9. Nei fatti, le privazioni e le sofferenze subite da tutti i palestinesi che vivono o hanno vissuto sotto l’occupazione israeliana non sono prova bastante che Israele esiste?

All’opposto, se il riconoscimento del “diritto ad esistere” di Israele comporta accettare che chiunque sia ebreo possa diventare automaticamente cittadino di Israele, e quindi vivere sulla stessa terra, a volte nella stessa casa, di una famiglia palestinese che vi ha vissuto per generazioni; se significa rinunciare al diritto di dire “questa era la mia terra, la mia casa, prima che me la portaste via”; se significa rinnegare il diritto al ritorno per i palestinesi che hanno ancora le chiavi e i documenti di proprietà in mano, se significa non pretendere di sapere cos’è che da’ il diritto a famiglie che vengono dall’Inghilterra, dalla Russia, dal Marocco o dall’Etiopia, di vivere sulle proprietà di quei 700.000 espulsi a forza nel 1948, se significa negare l’esistenza stessa della Palestina e dei palestinesi – come cercò di fare Golda Meir – cancellandone la storia, la cultura, la memoria collettiva… Ebbene no, Israele non ha nessun “diritto ad esistere”.

Versione originale:

Rannie Amiri
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/amiri02102009.html
10.02.2009

Versione italiana:

Fonte: http://doppiocieco.splinder.com/
Link: http://doppiocieco.splinder.com/post/19839428/Le+implicazioni+del+riconoscim
13.02.2009

Traduzione a cura di DOMENICO D’AMICO

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