DI ANTONELLA RANDAZZO
Ogni sistema economico-politico impone la propria idea di “corpo”, in ordine al controllo che vuole avere su di esso, o al grado di disagio sessuale o esistenziale che vuole produrre negli individui. Più un sistema è dittatoriale e più cercherà in modi diretti o indiretti di controllare il corpo, decidendo come esso deve essere.
Nel nostro sistema esistono almeno due tipi di controllo: il controllo farmaceutico o medico e il controllo estetico. Nel primo caso si tende a tradurre ogni dolore o disagio in un bisogno di medicine. Ad esempio, se andate dal medico perché avete avuto problemi di stomaco, il medico tradizionale non perderà molto tempo per indagare, ad esempio, sulle vostre abitudini alimentari o sulla eventuale tendenza a somatizzare, ma dopo pochi minuti avrà già pronto il farmaco “adatto”. Dunque, per ogni sintomo, a prescindere dalla causa che lo ha prodotto, c’è una pastiglia o più pastiglie. Il farmaco e la medicina tradizionale svolgono un importante ruolo di controllo del corpo, sin dalla più tenera età delle persone.
Il controllo estetico avviene in modo diverso a seconda dell’ideologia dominante. Ad esempio, durante il fascismo c’era l’idea che la donna avesse il compito principale di procreare, e dunque l’ideale estetico imposto era quello che ricordava la mamma: figura tonda e fianchi larghi. Oggi, invece, il sistema non desidera che vengano messi al mondo molti figli e dunque propone l’ideale estetico opposto: donne alte, con fianchi stretti e molto magre.La rappresentazione corporea ha un ruolo fondamentale nel determinare la quantità di autostima, di autoaccettazione e di integrazione sociale. Uno dei più importanti desideri degli esseri umani è quello di piacere a se stessi e agli altri: più si è in grado di piacere e più si crede di valere. In una cultura in cui l’immagine diventa fondamentale, l’aspetto fisico viene ad essere il perno su cui ruota la possibilità di piacere e di piacersi. Sentirsi brutti può rappresentare una catastrofe, anche quando ciò potrebbe derivare dalla percezione che si ha di se stessi, più che da effettive caratteristiche estetiche.
Il rifiuto della propria corporeità può generare vergogna, o un senso di inadeguatezza e di indegnità. Coloro che si sentono brutti possono non sentirsi all’altezza delle situazioni che vivono, o addirittura possono sentirsi ridicoli.
Nelle culture in cui si esalta la perfezione del corpo o si pongono modelli estetici assai elevati, le persone sono indotte ad avere una bassa autostima, dovendo appurare la loro imperfezione estetica rispetto ai modelli dominanti. In tali contesti, le persone decisamente brutte divengono capri espiatori della frustrazioni che tutti, in diversa misura, provano. Ad esempio, i ragazzini più grassottelli, o quelli troppo magri o bruttini e occhialuti di sovente vengono derisi e ridicolizzati dai compagni di scuola. La donna brutta diventa spesso oggetto di scherno. Da ciò si inferisce che la bruttezza evoca contenuti spiacevoli, da “esorcizzare” attraverso un comportamento atto a prenderne le distanze o a dileggiarla.
Secondo Sigmund Freud la bruttezza provoca una perturbazione mentale, in quanto stimola l’emergere di contenuti inconsci rimossi perché proibiti, come l’aggressività, la cattiveria e il sadismo. La bellezza, al contrario, evoca contenuti auspicabili, come l’altruismo e la bontà. Nelle fiabe e nei racconti i buoni sono anche belli, tranne in pochi casi. Ad esempio, nel caso del brutto anatroccolo, si trattava di una falsa bruttezza, ovvero di una diversità scambiata per bruttezza. Infatti, il brutto anatroccolo si trasformerà in un bellissimo cigno, riscattando ampiamente l’equivoco di cui era stato vittima. Era stato rifiutato perché brutto, dunque dalla bruttezza può derivare la mancanza d’amore, l’emarginazione e l’impossibilità di essere accettati.
Nel caso del gobbo di Notre-Dame, Quasimodo, personaggio del romanzo “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo, si tratta di un uomo buono che ciò nonostante, a causa del suo corpo deforme, è tenuto lontano o trattato con disgusto. Nonostante qualcuno, come Frollo o la zingara Esmeralda, provi pietà per lui, egli non potrà avere una vita come tutti gli altri. La donna di cui si innamora è bellissima, e non sarà ricambiato. Alla fine del romanzo i due saranno gli unici a mostrare di aver amato: il più brutto e la più bella. C’è l’idea che è impossibile per un bel corpo amare un corpo brutto. Anche se Quasimodo dimostrerà una grande capacità di amare, egli non sarà mai ricambiato e morirà di dolore in seguito alla morte della sua amata. Scrive Hugo: “Trovarono tra tutte quelle orribili carcasse due scheletri. Uno di quegli scheletri era quello di una donna… L’altro, abbracciava stretto questo, era lo scheletro di un uomo. Notarono che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa incassata tra le scapole e una gamba più corta dell’altra… Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che abbracciava, cadde in polvere”. La bella e il brutto uniti soltanto da morti.
Diverso è il caso della favola “La bella e la bestia”, in cui la bestia è soltanto temporaneamente orripilante, ma in realtà è un principe bellissimo, trasformato in mostro per poter superare le sue miserie morali. La bella si innamorerà di lui, anche se brutto, ma arriverà il riscatto, non potendo una ragazza bella stare con un mostro. La bella, in quanto bella, non teme la bruttezza, e dunque può accettare o addirittura amare un mostro, ma essa, proprio perché bella, non può non essere resa felice da un corpo altrettanto bello.
Nel brutto viene dunque proiettata l’Ombra, e nel bello gli aspetti idealizzati di se stessi. Spiega lo studioso Aldo Carotenuto: “Il brutto non solo vive la propria Ombra ma è costretto a incarnare quella degli altri… Il brutto sollecita il fantasma dell’indegnità, esso allude all’impossibilità di essere al mondo, rinvia al più devastante dei tradimenti, quello subito nel rapporto primario. Il corpo brutto rappresenta dunque la coazione a esibire un rifiuto d’amore”.(1)
Paradossalmente, la paura della bruttezza, che è paura del rifiuto, può generare bruttezza. Come in una profezia che si avvera, chi si sente rifiutato perché brutto diventerà brutto e rifiutato. Nei casi di bulimia e anoressia il corpo diventato brutto provoca il rifiuto che si temeva. Il pensiero inconscio suggeriva l’idea di non poter essere amati perché non in armonia con l’ideale estetico propugnato dalla realtà esterna, e dunque occorreva un comportamento che potesse avvalorare tale idea. La bruttezza del corpo si può avere anche con l’uso di sostanze che lo distruggono, come la droga e l’alcool. Si crea un circolo vizioso, in cui chi non si sente degno di essere amato diventerà tale. Egli, utilizzando sostanze nocive oppure attraverso un’alimentazione squilibrata, abbruttirà il proprio corpo, e continuerà a sentirsi indegno, bloccando in vari modi la crescita interiore che potrebbe avere se superasse lo stadio dell’indegnità.
In un contesto in cui il corpo femminile deve essere bello per sedurre o per dare valore alla persona di genere femminile, le ragazze adolescenti possono detestare il proprio corpo, percependolo come non abbastanza bello. Esse constateranno che i ragazzi fanno commenti sul loro corpo, e questi commenti potranno essere spiacevoli. Le ragazze che sentono che il loro corpo è trattato come un oggetto da valutare esteticamente possono alimentare un senso di rabbia e di rancore, che potrà essere indirizzato contro loro stesse, e come “punizione” potranno rendere il loro corpo realmente sgradevole, attraverso la perdita o l’accumulo di peso. In tal modo esse potranno provare un senso di potere ma allo stesso tempo sperimenteranno i limiti biologici, nella sofferenza del corpo e nelle patologie che deriveranno dallo squilibrio alimentare.
Alcune donne non si sentono all’altezza dell’ideale estetico proposto dai mass media, e per questo sentono un bisogno inconscio di punire se stesse colpendo il proprio corpo attraverso un’alimentazione sregolata, oppure attraverso l’uso di sostanze nocive come droga, alcool e psicofarmaci.
L’affliggere il corpo non è un comportamento presente solo della nostra epoca, basti pensare al Medioevo, periodo in cui esistevano strumenti (es: cilicio) per colpire il corpo, nell’idea della sua indegnità.
Nella realtà attuale, in linea con l’inganno che ci presenta come “democrazia” un sistema dittatoriale, anche i corpi vengono intesi come “liberi”, ma in realtà subiscono un pesante controllo, a tal punto che l’immagine corporea proposta dai media può condizionare l’esistenza di moltissime persone, e dare origine a vere e proprie malattie mentali e fisiche. Almeno tre milioni di italiani soffrono per malattie legate all’alimentazione.
La “lipofobia” è la paura di ingrassare, e viene creata nelle società in cui l’ideale estetico femminile è caratterizzato dalla magrezza.
Il mondo della moda e dei mass media tende ad esaltare il corpo femminile privo di grasso, e assai lontano dalla realtà, producendo lipofobia.
Pur proponendo l’ideale della magrezza, la pubblicità e alcuni programmi televisivi esaltano il mangiar bene e stimolano l’impulso a cibarsi. In tal modo si crea una situazione di contrasto fra l’impulso a godere dei piaceri della tavola e la necessità di apparire esteticamente piacevoli.
La nutrizione, da bisogno biologico diventa un modo per accrescere la quantità del piacere quotidiano, ma al tempo stesso tale piacere viene reso come “nemico” dell’accettazione sociale e della seduzione sessuale.
Secondo la sociologa Micaela Liuccio, l’estetica imposta al corpo umano è una forma di potere e di controllo sugli individui:
“Accanto al potere politico e a quello economico esiste un’altra forma di potere che è quella simbolica e che consiste nella produzione delle norme e delle visioni del mondo in grado di fondare l’identità individuale e collettiva… Nella società moderna la spartizione del cibo è stata sostituita da una nuova forma di ricchezza, qualitativa piuttosto che quantitativa… la magrezza è diventata la forma moderna di santità… Il canone di bellezza femminile odierna ci offre corpi giovani, svelti e magri, da ammirare e invidiare. Ma si tratta di un ‘ideale’ che sfugge alla realtà perché solo un’infima minoranza di donne è biologicamente capace di incarnarlo. Con l’imperativo della magrezza, la donna si scontra col proprio corpo, deve superare il suo funzionamento biologico, che attraverso una normale adiposità garantisce fertilità… (la donna) entra progressivamente nella logica del ‘dominio di sé’ e del proprio corpo… Vincere la battaglia per mantenersi in linea permette alle donne di appropriarsi di virtù generalmente attribuite agli uomini, come lo sforzo, la volontà, il merito, e consente, paradossalmente, di ridurre lo scarto fra il maschile e il femminile. Anche se al prezzo di un’innegabile ansietà e disagio da parte delle donne stesse. In una società in cui il declino di prestigio della maternità è sempre più evidente, la donna è magra perché è gravida di se stessa e di una sua nuova identità. L’opposizione binaria grasso-magrezza, diventa, dunque, l’alfa e l’omega della scelta alimentare… L’ossessione del ‘magrismo’ arriva dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra. Il cibo diventa parte essenziale del ‘politically correct’: essere magri vuol dire stare bene in società… Anoressia e bulimia, così, testimoniano una dimensione di anomia o piuttosto di gastro-anomia… La paura di ingrassare è dunque paura di rimanere fuori dal gruppo, di non rientrare nei canoni dell’élite televisiva o cinematografica, di parlare un linguaggio corporeo diverso dalla massa; ma è anche paura di dimostrare la propria debolezza, la propria imperfezione, in definitiva il proprio ‘essere umano’… una società che va contro la dimensione fisica, che vede il corpo come una realtà subordinata, è una società fondata sulla paura… la struttura della società, invece, dovrebbe adattarsi ai ritmi bologici e psicologici dell’uomo e della donna. Solo questa può essere una società libera”.(2)
Sempre più persone, donne e uomini, scontenti del loro corpo, fanno ricorso alla chirurgia estetica. Talvolta i risultati sono deludenti e artificiosi, e offrono alla vista donne con gonfiori innaturali, o “tirate” talmente tanto da apparire ridicole.
Spesso non è tanto il corpo a presentare problemi estetici, ma l’immagine che si ha di esso, che deriva da fattori psicologici o da disagi esistenziali. Spiega la scrittrice Gloria Steinem:
“Le donne che vivono in modo conflittuale il rapporto corpo-immagine , o che soffrono di disturbi connessi all’alimentazione, non rappresentano una categoria speciale; sono solo più estreme nella loro risposta a una cultura che sottolinea il culto della magrezza e impone assurdi e improponibili canoni estetici anziché considerare il valore dell’individualità e della salute… Se non abbiamo interiorizzato un’immagine positiva del corpo durante l’infanzia, come possiamo acquisirla?… diete e chirurgia estetica non sempre sono la risposta giusta, per lo meno se non sono affiancate da un serio lavoro di introspezione… essi non raggiungono la nostra immagine interiorizzata… raramente contribuiscono a farci sentire apprezzati per ciò che siamo… i cambiamenti intrapresi per piacere agli altri si limitano a procurarci il compiacimento altrui; mentre i cambiamenti intrapresi per piacere a noi stessi sono i soli che riescono a soddisfarci pienamente… Se abbiamo sviluppato un’immagine negativa del nostro corpo, l’unico rimedio effettivamente funzionale e permanente consiste nel guardare dentro noi stessi e chiederci: da dove proviene?… Quale pressione culturale l’ha nutrita? Quali immagini popolari hanno fatto sì che il nostro autentico sé ci apparisse sbagliato o diverso?”.(3)
I disturbi alimentari (bulimia e anoressia) sono in aumento, e sempre più colpiscono anche persone di sesso maschile. L’età in cui iniziano è in diminuzione. Osserva Stefano Erzegovesi, responsabile del centro per i trattamenti dei disturbi alimentari dell’ospedale San Raffaele-Turro (Milano): “Siamo intorno agli 11-13 anni. Bambini che invece di giocare al pallone fanno il conto delle calorie”.(4)
Nei centri di Milano sono sempre più i casi seguiti dagli specialisti. Alcune persone cercano di negare o minimizzare il ruolo che i mass media e il sistema in generale hanno nel determinare questo grave problema. Ma secondo molti studiosi i modelli estetici propagandati nelle sfilate di moda, nella pubblicità e nel mondo del cinema e della televisione hanno una grande importanza all’interno del problema. Secondo la psicologa Mirella Curi “i modelli trasmessi dai media, anche la moda, influiscono molto su questi disturbi”.(5)
I modelli che sfilano in passerella sono sempre più giovani e magri, e anche nella moda maschile appaiono ragazzini longilinei. I giovani si identificano con i modelli proposti dai mass media e dal mondo della moda, poiché vogliono essere belli e seduttivi come gli indossatori. Racconta Erzegovesi: “I casi di disturbi alimentari al maschile stanno aumentando. Sono il 10-15% del totale. Tanto che abbiamo il dubbio che i disturbi alimentari siano sempre stati diffusi anche tra gli uomini. Probabilmente solo ora trovano il coraggio di chiedere aiuto”.(6)
Il fotografo Adi Barkan, in seguito alla morte della sua modella Hila Elmalich, sta lottando per far imporre per legge agli stilisti e alle agenzie di modelle di non accettare ragazze con una massa corporea inferiore a 19. Secondo Barkan, anche se l’anoressia può derivare anche da altre cause, molti casi potrebbero non esistere “se il mondo della moda e l’industria alimentare decidessero di non assumere modelle malate”.(7)
Le modelle vengono costrette da forti pressioni a mangiare soltanto insalate e yogurt, e talvolta assumono droghe per fronteggiare la condizione psicologica e fisica in cui si trovano. Nell’ambiente della moda e della pubblicità vengono truccate pesantemente o la loro immagine viene ritoccata per non far vedere la condizione di magrezza o le conseguenze del loro stato malsano.
Le anoressiche diventano vittime di una perfezione corporea che non esiste, e provocano la distruzione del loro corpo, in alcuni casi fino alla morte, in nome di un’immagine corporea ideale e perfetta. L’anoressica è sempre insoddisfatta di se stessa, crede di essere molto brutta a tal punto da non poter essere amata o accettata se rimane tale. Dunque ella inizia a desiderare di modificare il suo corpo ma tutto quello che accade la lascia insoddisfatta e innesca un meccanismo fortemente distruttivo, fino al rifiuto del cibo, che è rifiuto della vita stessa.
Almeno il 35/40% (ma probabilmente di più) delle modelle sarebbe gravemente anoressico, e ogni anno diverse ragazze muoiono. Hila Elmalich pesava 27 chili quando è morta, non si reggeva più in piedi ed era diventata quasi calva. Altre ragazze, come Ana Carolina Reston, di 21 anni, sono morte perché l’astenersi dal cibo era ormai diventato un’abitudine.
Le autorità non fanno nulla di serio per impedire che le modelle siano esposte all’anoressia a causa della taglia che devono avere per poter lavorare. José Luis Zapatero, in Spagna, si è limitato a dire ai negozi di non esporre manichini con taglia inferiore alla 38. Ciò appare abbastanza ridicolo, sia perché anche la 38 non è una taglia comune fra le donne adulte, sia perché non sono tanto i negozi a generare il problema, quanto l’apparato mediatico che comprende le sfilate e le immagini della pubblicità. Zapatero, con la sua proposta, ha dimostrato che le autorità occidentali non osano contrastare il sistema mediatico, della produzione di mode e dell’immagine estetica, che è controllato da chi li ha assoldati.
Anche Giorgio Napolitano ha sollevato il problema delle modelle anoressiche: “Tra le costrizioni minori, ma non per questo poco fastidiose, a cui le donne sono sottoposte, c’è la richiesta di un’eterna snellezza e giovinezza”.(8)
Belle parole, peccato che ad esse non è seguita alcuna proposta di legge che vieti di mettere sulla passerella ragazze malate, o che impedisca di escludere le ragazze che hanno la taglia 40 o 42. E’ talvolta proprio per il terrore di essere escluse che le modelle vomitano quello che mangiano e assumono prodotti chimici per sopprimere la fame.
Nel mondo dello spettacolo le ragazze, anche se giovanissime, vengono incoraggiate a sottoporsi ad interventi chirurgici estetici. Il corpo delle vallette viene “omologato”, come se si trattasse di mostrare soldatini tutti uguali. Un chirurgo plastico rivelò di aver fatto interventi di chirurgia estetica su ben 9 delle 15 vallette di un programma televisivo. Quelle ragazze subirono interventi al seno, agli zigomi, al ventre e alle labbra, per risultare tutte uguali, come stereotipate.
I corpi femminili rappresentano la capacità di seduzione sessuale, e dunque vengono valutati esteticamente molto di più rispetto ai corpi maschili. I criteri estetici imposti alle donne rispecchiano l’idea del femminile che esiste all’interno della società. Il corpo femminile proposto alle bambine e alle adolescenti è sempre più irreale, più irraggiungibile. La Barbie, se fosse considerata “corpo femminile” avrebbe cm. 91 di seno e cm. 46 di vita! Avrebbe le gambe smisuratamente lunghe e piedi talmente piccoli da non poter sostenere il peso del corpo. Tali modelli irreali frustrano la bambina, e la inducono a credersi grassa anche quando il peso del suo corpo è normale.
Le immagini offerte dai mass media hanno più potere di quello che si crede. Secondo la scrittrice Gloria Steinem, esse possono condizionare profondamente: “Le immagini di potere, grazia e capacità… possiedono una forza vitale – esattamente come immagini banalizzate, stereotipate, degradanti, avvilenti e pornografiche di corpi simili ai nostri esercitano l’influsso opposto, come se assorbissimo questa valenza denigratoria o positiva attraverso le terminazioni nervose. Ogni volta che le raffigurazioni fisiche negative esprimono una scarsa autostima, una rappresentazione positiva può contrastare tale influsso e innalzare il livello dell’autostima”.(9)
Specie negli ultimi decenni, i mass media hanno sempre più rafforzato un’immagine di donna fortemente degradata, come corpo seducente e non come persona. Inoltre, i modelli proposti dai media sono spesso soltanto immagini artefatte. Nel 2007, l’azienda “Dove”, che si occupa di prodotti per la cura e la bellezza del corpo, ha attuato una campagna pubblicitaria piuttosto insolita dal titolo “Per la bellezza autentica”, che mostra come i mass media propongano modelli estetici spesso del tutto fittizi, frutto di sapienti trucchi.
Uno degli scopi della campagna pubblicitaria era quello di far capire come nel contesto mediatico attuale si possano trovare canoni estetici irraggiungibili, che producono ai più frustrazioni, sensi di inferiorità e di inadeguatezza.
E’ stato prodotto un breve spot (vedi video sotto) che mostra una ragazza mediamente bella, non priva di inestetismi, che in seguito al trucco e alle manipolazioni tecnologiche (fotoritocco) diventa bellissima e perfetta. Immagini ottenute allo stesso modo vengono utilizzate per pubblicizzare prodotti di vario genere.
La campagna di Dove è senza dubbio interessante per capire l’esistenza di un condizionamento che riguarda i modelli estetici e come venga promosso un livello di perfezione estetica irraggiungibile per la maggioranza delle persone o addirittura falso. Dunque, molti modelli che vediamo sui cartelloni pubblicitari o sulle riviste in realtà non esistono, ma vengono creati attraverso sapienti “interventi”. Il risultato è una non-persona, un’immagine, privata di tutti i difetti umani e assurta ad icona della bellezza, come se per essere belli occorra perdere l’essere persona reale.
Le immagini mediatiche sono persone non-reali, che come tali non possono costituire un esempio reale da imitare. Il problema è che molti percepiscono tali immagini come “realtà”, o addirittura come obiettivo estetico da raggiungere per avere successo o per sentirsi adeguati. Tutto questo spinge all’acquisto di prodotti estetici spesso inutili o dannosi, oppure a ricorrere alla chirurgia estetica.
Le immagini estetiche irreali sono diventate fortemente invasive fino a permeare tutta la nostra realtà: le vediamo in metropolitana, alla stazione ferroviaria, sui cartelloni per le strade, in autostrada e persino sugli autobus. Le percepiamo come reali, e dunque inevitabilmente sarà in noi che vedremo i difetti più orrendi.
Confrontarsi con immagini perfette e irreali risulta il massimo della frustrazione, in un contesto in cui siamo indotti a credere che occorra diventare bellissimi per essere “qualcuno”.
Dunque, il controllo estetico sul corpo è nocivo come quello farmaceutico. Esso produce molti più scompensi di quello che si può credere, specie nei soggetti più deboli, come gli adolescenti. Cambiare sistema vorrà dire anche promuovere la libertà di essere se stessi nel corpo e nello spirito, di amarsi così come si è: imperfettamente umani.
Antonella Randazzo
Fonte: http://lanuovaenergia.blogspot.com/
Link: http://lanuovaenergia.blogspot.com/2008/11/le-immagini-falsate-e-il-controllo-sul.html
21.11.08
Copyright © 2008 – all rights reserved.
Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale di questo articolo senza previa
autorizzazione scritta dell’autore. Per richiedere la riproduzione dell’articolo scrivere all’indirizzo e-mail
[email protected]
NOTE
1) Carotenuto Aldo, “Amare tradire”, Bompiani, Milano 1991, p. 162.
2) Liuccio Micaela, “Corpo e alimentazione nella cultura tardo-moderna. La paura di ingrassare”, in Cattarinussi Bernardo (a cura di), Emozioni e sentimenti nella vita sociale, Franco Angeli Editore, Milano 2000, pp. 339-343.
3) Steinem Gloria, “Autostima”, Rizzoli, Milano 1995, pp. 297-302.
4) “Epolis Milano”, 10 gennaio 2008.
5) “Epolis Milano”, 10 gennaio 2008.
6) “Epolis Milano”, 10 gennaio 2008.
7) “Corriere della Sera”, 21 novembre 2007.
8) “Corriere della Sera”, 21 novembre 2007.
9) Steinem Gloria, “Autostima”, Rizzoli, Milano 1995, p. 267.
Per postare un commento clicca qui