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DI NAOMI SALOMON
The Ecologist

Il nano food sarà la svolta futura ma cosa è successo al principio di precauzione? Questa è la domanda che si pone Naomi Salmon.

La battaglia per tenere gli OGM alla larga dai menu è stata tutto tranne che vinta. Ci è voluto poco più di una decade per trasformare gli OGM da qualcosa di interessante a qualcosa di banale. Malgrado la significativa opposizione del consumatore e le preoccupazioni riguardo la sicurezza, al giorno d’oggi nessuno, se non il più diligente dei consumatori, può ragionevolmente aspettarsi di evitare il consumo continuato di materiale geneticamente modificato nel proprio pane quotidiano.

Mentre ci spingiamo verso la fine dei primi dieci anni del ventunesimo secolo, sembra che il prossimo stadio della rivoluzione condotta dalle multinazionali sull’agricoltura e il cibo sia già incombente su di noi: ci stiamo muovendo dall’era del geneticamente modificato a quella dei prodotti modificati a livello atomico. Le “nano-tecnologie” – approssimativamente tradotti da Friends of the Earth come la manipolazione di materiali e la creazione di strutture e sistemi a livello atomico e molecolare, in nano-scala – sta diventando rapidamente la parola di moda di una decade. Per la fine della prossima sembra probabile che anche i nano-cibi diventeranno alimenti standard.L’entusiasmo per le nano-scienze e le nano-tecnologie (N&N) in questo periodo si sta innalzando, proprio come succede spesso per i casi riguardanti nuove tecnologie. Le corporation giganti, all’avanguardia nell’industria delle scienze della vita, e le nazioni entusiaste di riservare a se stesse una generosa fetta della redditizia torta della nano-tecnologia, si stanno lanciando nei più avanzati progetti di ricerca e sviluppo (i cosiddetti R&D – research and development, ndt). Comprensibilmente comunque, l’entusiasmo istituzionale a livello dell’Unione Europea, è un po’ ammortizzato da qualche doloroso ricordo della reazione violenta dei consumatori riguardo gli OGM e dal desiderio di evitare la ripetizione del “’paradosso’ europeo testimoniato da altre tecnologie”.

Secondo Friends of the Earth ci sono già più di 100 nano-prodotti legati al cibo e disponibili sul mercato globale e molti di più stanno per arrivare. Comunque sia, questi sono ancora i primi giorni e sebbene certi dati siano abbastanza allarmanti, come è successo per gli alimenti geneticamente modificati, le gioie dell’industria dei nano-cibi raggiungeranno per prima cosa il mercato statunitense. Secondo la Commissione europea e 16 gruppi industriali, non c’è finora alcun utilizzo di nano-tecnologie nella produzione e lavorazione di cibo in territorio europeo. Qui, per il momento, i nano-cibi rimangono più materia di fantascienza che scienza reale per i consumatori.

Durante gli ultimi anni, una serie di ONG ha pubblicato ricerche dove si lamentavano dell’attuale mancanza di legislazione riguardo la sicurezza e l’etichettatura dei prodotti delle nano-tecnologie. Il tono di queste pubblicazioni tende a lasciare il lettore con un certo senso di dejà vu, in quanto molte delle affermazioni fatte riguardo i prodotti delle nanotecnologie potrebbero tranquillamente essere state prese dalle pagine degli studi di biotecnologia pubblicate dagli stessi gruppi durante gli anni Novanta. Per esempio, in un recente saggio, Friends of the Earth chiedono una moratoria riguardo la diffusione commerciale di nuovi nano-cibi, affermando che questi prodotti stanno entrando nella catena alimentare “senza un’etichettatura obbligatoria del prodotto, senza una discussione pubblica o leggi per garantire della loro sicurezza”. Può essere possibile che le preoccupazioni espresse da questa e da altre ONG siano giustificate?

Il primo punto importante è che il settore agro-alimentare è di importanza centrale per l’economia europea. L’industria del cibo e delle bevande vale più di 600 miliardi ogni anno, incidendo di circa il 15% sul totale della produzione. Di conseguenza non dovrebbe essere una sorpresa il fatto di scoprire che la catena di fornitura del cibo è stata soggetta ad un controllo regolatore estensivo già dai primi anni del progetto di integrazione dei diversi mercati.

Inoltre, con la comparsa di tutta una serie di crisi di alto profilo riguardanti il cibo che hanno scosso l’industria alimentare europea negli ultimi anni, è stato promosso uno sforzo combinato per “rimodellare la politica alimentare dell’UE in uno strumento utile, dinamico, coerente e comprensivo per assicurare un alto livello di salute e di protezione per il consumatore” – come è stato scritto dalla Commissione Europea nel 1999 su “White Paper on Food Safety”.

Analogamente ad altri alimenti più convenzionali, i nano-cibi sono soggetti a controlli regolatori abbastanza ampi – semplicemente per il fatto che sono prodotti indirizzati al consumo da parte dell’essere umano. Proprio come altri alimenti, devono conformarsi con le esigenze della legislazione della Comunità Europea, per esempio, in materia di igiene alimentare, additivi e aromi. Comunque sia, questo non è il luogo per commentare l’efficacia di questi provvedimenti. Qui è più utile considerare la sicurezza in termini più generali, in riferimento ai principi e alle regole predominanti di sicurezza alimentare stabilite nella Normativa 178/2002, prima di tornare brevemente alla proposta della Commissione di aggiornare il quadro normativo che regola l’entrata di nuovo cibo nel mercato.
La norma 178/2002 ora è al centro delle leggi riguardo il cibo nella Comunità Europea. In linea con “l’alto livello” della protezione della salute pubblica e del consumatore prescritta dal Trattato della Comunità Europea, l’Articolo 14 attribuisce lo status di principio cardine al concetto di “sicurezza”: “il cibo non dovrà essere messo in commercio se pericoloso”.

Ma in termini reali cosa significa questa proibizione generale? Il concetto di sicurezza è necessariamente non assoluto e inerentemente soggettivo. A livello sia personale che normativo, la definizione di sicurezza deve alla fine essere ridotta alla determinazione di un rischio accettabile; un esercizio di bilanciamento in cui i “benefici” di particolari cibi sono tenuti in conto (implicitamente o esplicitamente) rispetto ad un lungo o breve periodo, rispetto ai rischi diretti o indiretti associati al loro consumo.

Questo sembra abbastanza ragionevole. Comunque, all’interno del contesto dell’Unione Europea, il governo è retto dall’imperativo del libero mercato e così da una forte spinta in favore della libera circolazione dei beni. Per la sua propria natura, il diritto comunitario è formulato con la funzione di richiedere che gli ostacoli normativi che hanno lo scopo di limitare il commercio (quindi potenzialmente protezionisti) – proprio come le misure prese per la sicurezza del cibo – siano rigorosi solo per lo stretto indispensabile. Questo, a sua volta, porta ad un rigoroso controllo di tali misure, contrapposto al legittimante accertamento del rischio fornito dalla “vera scienza”.
Questo va molto bene nei casi dove la scienza è capace di fornire un’affidabile valutazione delle caratteristiche di un prodotto e della sua potenziale tossicità, ma in assenza di prove schiaccianti che supportino un netto divieto di commerciare un particolare prodotto (per esempio il colorante Sudan), la questione della gestione del rischio – sicurezza – tende ad essere ridotta ad un bilanciamento condotto economicamente dai danni e dagli incidenti previsti, in opposizione al valore commerciale del particolare prodotto preso in esame.

Nel caso dei nano-cibi (come anche per gli OGM) la questione della “sicurezza” o del “rischio accettabile” è complicata dal fatto che l’innovazione tecnologica tende a superare la comprensione scientifica. Come la CEE ha commentato l’anno scorso, “mentre [le nano-scienze e le nano-tecnologie] offrono un certo numero di applicazioni benefiche, il potenziale impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo di certi nano-materiali e certi nano-prodotti non è ancora stato compreso pienamente”.

Ma riguardo il principio precauzionale? E riguardo lo strumento normativo che stabilisce che dove prevalga l’insicurezza scientifica, i regolatori dovrebbero peccare per eccesso di prudenza? L’articolo 7(1) della normativa 178/2002 afferma che: “in circostanze specifiche dove, seguendo una valutazione fatta attraverso informazioni adeguate, la possibilità di effetti dannosi sulla salute è identificata ma l’incertezza scientifica persiste, si dovrebbero adottare misure provvisorie per la gestione del rischio per assicurare un alto livello di protezione della salute, aspettando ulteriori informazioni scientifiche per una maggiore valutazione del rischio”. Si dovrebbe presumere che, dove “le lacune della conoscenza” impediscono una piena valutazione scientifica della potenziale tossicità, per fare un esempio, alcune misure restrittive per il commercio sarebbero opportune e legali.

In linea con la versione del principio contenuta nell’Articolo 174 del Trattato della CEE e nel carattere soggiacente l’ethos dell’UE, l’esercizio della precauzione è soggetto a importanti limitazioni, strutturate per limitare al massimo la possibilità di abuso di protezionismo. Nel secondo paragrafo dell’articolo 7 della Normativa 178/2002, questo include l’esigenza che le misure precauzionali siano “proporzionate”, cioè non più restrittive del necessario nei confronti del mercato; inoltre include anche una richiesta esplicita che i regolatori considerino la praticabilità tecnica ed economica delle misure cautelari. In questo modo, la cosiddetta “precauzione economica” prevale, anche di fronte all’insicurezza scientifica, mentre La determinazione del “rischio accettabile” viene meno confrontata con la “vera scienza” e le analisi dei costi/benefici.

Infine la bozza della Commissione sulla Normativa per i nuovi Alimenti. È il testo rivisto ed aggiornato per placare le lamentele delle ONG? Un paio di punti sono degni di nota. Primo: la bozza non contiene riferimenti diretti al principio precauzionale. Sebbene questa omissione possa non essere sostanzialmente significativa e certamente non preclude il ricorso alla “precauzione economica” in circostanze particolari (come detto nell’Articolo 7 della Normativa 178/2002), ciononostante è interessante. Se non altro riflette il desiderio naturale della Commissione di minimizzare anziché evidenziare la portata delle incertezze associata alla novità in questo contesto altamente sensibile.

La seconda caratteristica di questa bozza è la definizione di cibo “nuovo”. Sebbene il testo pertinente sia stato rivisto e ampliato, in sostanza molto poco è cambiato, oltre alla rimozione di ogni riferimento agli OGM (ora regolati da un altro paragrafo in un’altra sezione). La stranezza rimane la caratteristica di base per la valutazione e l’autorizzazione a livello comunitario: qualsiasi cibo che “non è stato utilizzato per il consumo umano ad un livello significativo all’interno della Comunità prima del 15 maggio 1997”, viene qualificato come “novità”. Come sotto l’attuale legislazione, l’etichetta di “novità” è estesa ai cibi prodotti usando nuovi procedimenti (come le nano-tecnologie), ma solo dove questi stessi procedimenti “causino significativi cambiamenti nella composizione o struttura del cibo di modo che questi interessino il suo valore nutrizionale, il metabolismo o il livello di sostanze indesiderate”. È importante sottolineare che queste definizioni non tengono conto della novità intrinseca dei nano-cibi. In particolare, invece di portare sempre più prove che le dimensioni della materia giocano un ruolo chiave nella bio-reattività e nella tossicità delle nano-particelle, il riferimento implicito alla nano-scala è stato incorporato nella definizione normativa di “novità”.

Invece della retorica della sicurezza alimentare orientata verso il consumatore, la realtà è che il mandato Comunitario e le sue ambizioni di diventare un’economia trainante basata sulla conoscenza, effettivamente preclude la possibilità di dare la priorità alla sicurezza del consumatore. Sì, il principio precauzionale garantisce una rete di sicurezza quando la tecnologia supera la conoscenza scientifica e la valutazione del rischio diventa una specie di indovinello; dalla prospettiva del consumatore il valore della precauzione normativa – ovvero la precauzione economica – è compromessa dall’esigenza della prova scientifica del rischio come la clausola costo/beneficio incorporata in essa.

Malgrado gli ampi avvertimenti della storia recente, come le emergenze della BSE (Morbo della Mucca Pazza, ndt) o del CJD (il morbo di Creutzfeldt-Jakob, ndt) o la contaminazione diffusa della catena alimentare e ambientale attraverso gli OGM, la premessa fondamentale della legge sugli alimenti non è cambiata. La sfortunata realtà è che all’interno dell’arena del libero mercato, la legge sulla sicurezza alimentare deve inevitabilmente essere “reattiva” specialmente nella misura in cui cerchi di mitigare rischi incerti.

Essendo questo il caso, un approccio più robusto alla normativa di nuove tecnologie ad alto profitto potrà essere preso in considerazione se, o quando, le incertezze scientifiche retrocederanno in favore delle prove scientifiche del rischio. Poi la precauzione politicamente ed economicamente pericolosa diventerà legittima prevenzione o forse più correttamente un esercizio di limitazione del danno. In ogni caso un pensiero aberrante.

La dottoressa Naomi Salmon insegna legge all’università Aberystwyth del Galles. Il suo interesse nel campo della ricerca riguarda la normativa del mercato alimentare europeo, concentrandosi in particolare sulla questione dell’analisi del rischio e dei diritti del consumatore.

Fonte: www.theecologist.org

Link: http://www.theecologist.org/pages/archive_detail.asp?content_id=1883
19.06.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DENIS BOZZI

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