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LE BUGIE DI HIROSHIMA SONO LE BUGIE DI OGGI

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A cura di Davide
Il 10 Agosto 2008
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Nell’anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima, il 6 agosto scorso, John Pilger ci descrive la “successione di menzogne” che vanno dalle rovine della città distrutta fino alle guerre odierne, e al minacciato attacco all’Iran.

DI JOHN PILGER
Information clearing house

Quando mi recai per la prima volta a Hiroshima, nel 1967, l’ombra del passato era ancora presente, proprio come un essere umano a suo agio: gambe divaricate, spalle curve, una mano sul fianco aspettando l’apertura della banca. Alle otto e un quarto della mattina del 6 agosto 1945, l’ombra e il suo profilo erano state impresse per sempre nel granito. Rimasi a guardare l’ombra per un’ora o anche più, poi scesi al fiume per incontrare Yukio, un uomo sul cui torace era stampata per sempre l’impronta della maglietta indossata quando venne sganciata la bomba atomica.

Yukio e la sua famiglia vivevano ancora in una capanna tirata su tra la polvere del deserto atomico; mi parlò di un enorme lampo sulla città “un lampo bluastro, qualcosa di simile a una scarica elettrica”, seguito da una specie di tornado e dallo scatenarsi di una pioggia nera. “Io venni gettato a terra e l’unica cosa di cui mi resi conto fu che dei miei fiori erano rimasti solo gli steli. Il mondo attorno era immobile e tranquillo, e quando mi rialzai c’era gente silenziosa senza più vestiti, e alcuni senza più pelle o capelli. Ero sicuro di essere morto”. Nove anni più tardi, quando ritornai a trovarlo, era stato stroncato dalla leucemia.

Subito dopo aver sganciato la bomba, le autorità alleate d’invasione proibirono ogni accenno alle conseguenze delle radiazioni e insistettero sul fatto che la gente era stata uccisa o ferita solo dall’esplosione dell’ordigno. E questa fu la prima grande menzogna. “Non c’è radioattività tra le rovine di Hiroshima”, titolava in prima pagina il New York Times: un caso classico di disinformazione e di rinuncia al mestiere di giornalista, che il reporter australiano Wilfred Burchett mise in luce con il suo scoop del secolo. “Lo considero un avvertimento al mondo” raccontò sul Daily Express Burchett, primo corrispondente che riuscì a raggiungere Hiroshima dopo un viaggio pericoloso. Il giornalista descrisse le corsie dell’ospedale, stracolme di gente senza ferite apparenti che moriva per quelle che definì “piaghe atomiche”. Per aver osato dire la verità, il giornalista venne privato dell’accreditazione, messo alla berlina, calunniato… e difeso.

Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki fu un atto canagliesco di portata smisurata: un eccidio di massa premeditato effettuato con un ordigno intrinsecamente criminale. Ecco perché chi l’ha esaltato si è sentito in obbligo di cercare giustificazione nella mitologia della “buona guerra”, il cui “bagno catartico”, come lo definì Richard Drayton, ha permesso all’Occidente non solo di espiare il suo sanguinario passato imperialistico, ma anche di promuovere 60 anni di guerre di rapina, sempre all’ombra della Bomba.

La menzogna più tenace è che la bomba atomica sarebbe stata sganciata per porre fine alla guerra nel Pacifico e risparmiare vite umane. “Anche senza i bombardamenti atomici”, concludeva l’United States Strategic Bombing Survey del 1946, “la supremazia aerea avrebbe permesso di esercitare sul Giappone una pressione sufficiente a costringere il paese a una resa senza condizioni e a renderne superflua l’invasione. Sulla base di un’accurata analisi dei fatti, e della testimonianza dei leader giapponesi sopravvissuti, l’indagine statunitense concludeva che “…il Giappone si sarebbe arreso anche se non fossero state sganciate le due bombe atomiche, anche se la Russia non fosse entrata in guerra, e anche se non fosse stata pianificata l’invasione del paese”.

Gli archivi nazionali a Washington conservano documenti ufficiali statunitensi che dimostrano tentativi di pace giapponese già nel 1943, ai quali non fu dato alcun seguito. Un cablogramma inviato il 5 maggio 1945 dall’ambasciatore tedesco a Tokyo, e intercettato dagli USA, toglie ogni dubbio sul fatto che i giapponesi stessero cercando disperatamente la pace, anche a costo di “una resa senza condizioni e con clausole vessatorie”. Henry Stimson, Segretario alla Difesa, dichiarò invece al presidente Truman di “temere” che l’aeronautica statunitense stesse talmente “bombardando a tappeto” il Giappone da rendere impossibile “dimostrare tutta la potenza” del nuovo ordigno. Più tardi ammetterà che “non fu fatto nessuno sforzo e non fu mai presa in seria considerazione la possibilità di ottenere la resa del nemico in modo da non dover usare la bomba”. I suoi colleghi alla politica estera erano “impazienti d’intimidire i russi ostentando la nuova arma in nostro possesso”. Il generale Leslie Groves, direttore del progetto Manhattan che mise a punto la bomba atomica, testimoniò: “Non ho mai messo in dubbio che il vero nemico fosse la Russia, e che il progetto fosse stato messo a punto in questa ottica”. Il giorno dopo l’annientamento di Hiroshima, il presidente Truman espresse la propria soddisfazione “per il completo successo dell’esperimento”.

Dopo il 1945, gli Stati Uniti sono stati sul punto di ricorrere all’uso di armi nucleari in almeno tre occasioni. Sull’onda della loro finta “guerra al terrorismo”, gli attuali governi statunitense e inglese hanno dichiarato di essere pronti a una guerra nucleare “preventiva” contro stati che ne sono privi. E dopo ogni passo che ci avvicina a un Armageddon nucleare, le menzogne per giustificarli diventano sempre più sfacciate. La “minaccia” attuale è l’Iran: ma il paese non dispone di armi nucleari e la disinformazione che vorrebbe far credere all’esistenza di un arsenale di questo tipo proviene in massima parte dal MEK, un discreditato gruppo di oppositori iraniani finanziati dalla CIA, proprio come le menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein provenivano dall’Iraqi National Congress, creato da Washington.

E la stampa occidentale svolge un ruolo fondamentale nel dare una parvenza di credibilità alle presunte minacce: le dichiarazione dell’America’s Defence Intelligence Estimate, secondo cui era “praticamente certo” che già nel 2003 l’Iran avesse accantonato il suo programma di armamento nucleare, sono finite nel dimenticatoio, e il fatto che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad non abbia mai minacciato di “cancellare Israele dalle carte geografiche” non ha alcun interesse. Ma l’influenza delle affermazioni dei media è tale che nella sua recente e ossequiosa visita al parlamento israeliano Gordon Brown vi ha fatto allusione per minacciare nuovamente l’Iran.

Questa scalata di menzogne ci ha portato a una delle più pericolose crisi nucleari dopo il 1945. La minaccia reale continua infatti a non poter essere menzionata nei circoli occidentali, e quindi nei media: in Medio Oriente esiste solo una potenza nucleare estremamente aggressiva, Israele. Nel 1986, l’eroico Mordechai Vanunu tentò di mettere in guardia il mondo fornendo le prove che Israele stava producendo almeno 200 teste nucleari. In spregio delle risoluzioni dell’ONU, il paese si sta oggi chiaramente preparando ad attaccare l’Iran, nel timore che una nuova amministrazione statunitense possa avviare veri negoziati di pace con una nazione che l’occidente ha trascurato da quando, nel 1945, inglesi e americani rovesciarono la democrazia iraniana.

Nel New York Times del 18 luglio, lo storico israeliano Benny Morris, una volta considerato di tendenze liberali e attualmente consulente dei circoli politici e militari del suo paese, ha minacciato di “ridurre l’Iran a un deserto nucleare”. Si tratterebbe di un vero genocidio, e per un ebreo l’ironia della situazione salta agli occhi.

Allora la domanda è: dobbiamo restare a guardare, dicendoci, come fecero i tedeschi, che “non ne sapevamo niente”? Vogliamo ancora nasconderci dietro quello che Richard Falk ha dichiarato essere l'”autovirtuoso, univoco, schermo legale/morale sul quale vengono proiettate immagini positive dei valori occidentali e di un’innocenza minacciata, giustificando così una campagna di violenza senza limiti”? Catturare i criminali di guerra è un’attività ancora piena di futuro: Radovan Karadzic è in carcere, ma Sharon, Olmert, Bush e Blair sono in libertà. Perché? Il ricordo di Hiroshima esige una risposta.

John Pilger
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9754

6.08.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

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