L'AVVENIRE INFAUSTO DI UNA DERIVA POLIVALENTE

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DI LUCA PAKAROV

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Sono mesi che i direttori dei giornali tengono al fresco il loro editoriale per il grande giorno. Sempre sul punto d’uscire fuori, oggi, domani, la prossima votazione, limano e cuciono, aggiungono, lo aggiornano ma rimane sempre in cantina come una buona bottiglia che con il tempo diventa più buona. Il protagonista degli articoli, inutile dirlo, rimane sempre dov’è, sulla punta di un piede, con le braccia aperte, teso in avanti sulla prua del Titanic senza che una pioggia di scandali o un fulmine processuale sia capace di scalfirlo. Mentre è scattato il si salvi chi può, il paese scivola verso l’abisso.

Per questo e per altro ancora, chi non crede alla profezia Maya sul 2012 e teme di finire 10.000 leghe sotto i mari, sabato 15 ottobre si ritroverà a Roma in piazza della Repubblica.Con il mondo occupato a lottare contro i poteri forti delle banche e la recessione made in Wall Street in Italia, gli Indignati locali, devono prima di tutto guardare al particolare, al proprio misero orticello, occupato da un potere inarrestabile capitanato dall’asso piglia tutto Berlusconi.

E poi che? Che succederà finita questa patetica farsa? Cosa ne sarà del padrone del mondo? I più ottimisti s’immaginano il Cavaliere che, sommerso dal ridicolo, passeggia svogliatamente per le strade di Antigua – nemmeno si vuole pensare a Villa Certosa, troppo il rischio di sentirlo ancora ululare di notte – e come Nixon dopo il Watergate nella sua San Clemente (come raccontava il buon Thompson nel 1974), arrivi fino alla spiaggia e malinconico si metta a scalciare conchiglie e far saltare ciottoli sul mare blu. Per una fastidiosa dermatite indossa una lunga camicia bianca mentre la sua vecchia bandana rossa da pirata gli permette di concentrarsi sulla sua biografia, il suo lascito alla Storia, una ricostruzione (obiettiva, certo) di settant’anni di deliri e barzellette tirate a lucido che, come per la biografia di Nixon, venderà milioni di copie. Probabilmente già da questo momento, invece di occuparsi di quel paese che le agenzie di rating hanno calato dentro una fossa comune, oltre a chiavare, sarà impegnato a creare prove della sua magnificente esistenza che verranno fuori a comando, con un notaio o un software, solo quando verrà chiusa la pietra del mausoleo da giardino. Voi non fareste lo stesso? Ci potete scommettere; transazioni benefiche e testimonianze di ologrammi, Berlusconi come Gandhi e Malcom X, riflessivo e pragmatico come Churchill, Berlusconi che ferma la terza guerra mondiale e torna indietro nel tempo per deviare verso palazzo Grazioli un treno diretto a Birkenau. Finalmente sapremo tutto quello che c’è da sapere su quei poteri magici di cui tanto si mormora. Pianti isterici di donne ingioiellate con il libro aperto sulla spiaggia della Versilia. Un film commovente e sagace commemorerà così bene le memorabili imprese da far inorridire un cannibale della Birmania. Però per ora l’unico confronto che rimane in piedi è quello con l’ex presidente argentino, donnaiolo e suicida liberista, Carlos Menem; per ora la sola sillaba “ber” evoca vergogna, sventure, corna, cemento, loschi jet privati, terremoti, dissesto idrogeologico, condoni, preservativi usati, processi, infamia, pornografia, senzatetto, maniaci, fabbriche dismesse, Dell’Utri. Quindi che vada subito alle stampe un ritratto a modo, “documentato”, con sogni obiettivi e speranze concretizzate, per evitare che il passato diventi una pericolosa terra di conquista dei rossi.

Ma qui non è l’America e i pessimisti, i comunisti, e a questo punto la maggioranza degli italiani, sanno per certo che il tormento non finirà così. Se Berlusconi fosse un Di Rudinì, ora che l’iceberg è vicino, avrebbe un Bava Beccaris per far cannoneggiare la folla che sabato chiederà la sua testa. Ma allora, in un paese ragionevole, esisterebbero almeno due o tre Gaetano Bresci che circolano per le strade. Non gli rimane quindi di conseguire quanti più danni possibili forte di questa plutocrazia di cui nessuno conosce i confini, a parte forse gli zelanti vassalli patentati obbligati a difendere l’indifendibile per poter giustificare la loro presenza nella sala dei bottoni. Gli altri stanno in vigile attesa, con affari e milioni in tasca, sono il popolo dei ricattabili, tutti coloro che sono consapevoli di avere dei dossier ricchi di torbide rivelazioni pronti a finire nei rulli di stampa ad un loro minimo segno di scontentezza. Il problema della caduta del governo sono proprio le numerose reti di sicurezza che quest’uomo con la vocazione per la “libertà” ha steso sotto le sue chiappe flaccide, che pure se al momento è un politico finito che nessun sano di mente vorrebbe nel suo schieramento, ha così tanto potere nella moneta sonante del ricatto che potrebbe distruggere l’esistenza del primo cittadino di Belluno fino all’ultimo ratto della cloaca di Siracusa. Per dirsi veramente conclusa la presidenza assolutistica di Berlusconi si dovrà chiaramente trattare con Satana o chi, attualmente, detiene in cassaforte il contratto di un’anima tanto perversa. L’ambasciatore (comunista) che tornerà vincitore dall’Inferno si ritroverà un vuoto e una devastazione tale che l’opposizione, se potesse, si ritirerebbe per almeno un paio di decadi nell’isola di Capraia, e senza radio. E invece toccherà a loro fare il gioco sporco per qualche tempo ottenendo il sacrosanto diniego anche dell’ultima generazione di studenti e lavoratorimilleuro, quelli che si saranno guadagnati anche la follia del precariato esistenziale (cosa conterà esserci o meno a questo mondo?) e perderanno la casa dei genitori al lotto. A quel punto Berlusconi sarà già stato clonato e apparirà un nuovo e brillante candidato ripulito da ogni maldicenza. Certo, non è facile immaginarsi l’Italia senza la sottile astuzia di Gasparri o la raffinata dialettica della Santanchè, orfana del fine stratega Cicchitto e dell’eleganza regale firmata Brambilla la rossa, abbandonata dalla verace schiettezza di Scajola e dalla grinta di Bondi, l’onestà intellettuale della Gelmini e la sensibilità discreta della Carfagna. Un paese in cui a rappresentare i diritti dei lavoratori c’è Confindustria, in cui Della Valle diventa Robin Hood, dove un cuore che batte a sinistra è costretto ad emozionarsi per le parole di Fini, ad essere moralista e addirittura nazionalista e dove vige una meritocrazia profana, che ha permesso anche ad un insignificante e codardo agopuntore borderline la possibilità di stare in cima a questa malata società. Da ciò si evince che tutto può accadere. Piuttosto che riflettere su come ci si possa risvegliare da un incubo di così vaste proporzioni sarebbe più facile farsi ibernare in un container della camorra di Casal di Principe.

Una cosa che è chiara dopo quindici anni di scempi e trucchi in puro stile democristiano, di degrado e svilimento morale da peggior sudamerica, che quelli puliti, se mai sono esistiti, non sono di questo pianeta. Dura realtà da digerire per un paese drogato di un cattolicesimo a dir poco ambiguo. Quindi, torniamo alla domanda, cosa ci dovremmo aspettare ora? Sappiamo solo che, di un individuo che nella sua carriera politica ha annoverato fra i suoi migliori amici un petroliere texano subnormale e un killer russo che si diletta negli sport estremi, è impossibile immaginarsi perfino il suo discorso di addio, almeno che non si faccia un uso massiccio di anfetamine.

La millantata e logora democrazia del web, nel moderno occidente, ha trasformato la partecipazione attiva in un click e un mi piace. E’ ora di pensare e soprattutto comportarsi diversamente. Chissà che non si cominci sabato a Roma. Chi sarà a Roma sa che non si tratta di una questione politica, di destra o sinistra, tanto meno di sommosse, ma di un fatto estremamente fisiologico che ha a che fare con un lucido deliquio adrenalinico e con la chiaroveggenza dell’azione la quale, si spera, riconduca alla ragione un pianeta impazzito. Oppure fanculo, che si continui così: rimaniamo nelle nostre cabine come eremiti, lasciamoci andare a quest’ultimo valzer e abituiamoci al nuovo motto: Stay hungry and you will be foolish.

Luca Pakarov, scrittore e giornalista free-lance, “settantasettino memore di scritture su varie riviste anarchiche spagnole”, ha scritto l’antologia di racconti ‘Terminal’ (Edizioni Clandestine, 2007) e ha pubblicato diversi articoli su Rolling Stone magazine (di cui qualcuno ripreso qui su Comedonchisciotte).

Il presente articolo, come il precedente DIMENTICANDO L’AQUILA è in esclusiva per Comedonchisciotte.

Fonte: www.comedonchisciotte.org
13.10.2011

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