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La Corte Costituzionale ha ieri giudicato inammissibile il quesito referendario per l’abrogazione totale della legge Calderoli, ovvero della norma sull’Autonomia Differenziata. Con essa viene sostanzialmente inquadrato l’iter alla quale ogni regione dovrà attenersi per stipulare un’intesa col governo e ottenere più poteri su 23 materie, o solo su alcune di esse.
La richiesta di referendum era sostenuta da una raccolta firme promossa la scorsa estate dal “campo larghissimo” che andava da Renzi a Schlein, passando per la CGIL e altre associazioni e soggetti sociali. Sono stati approvati, invece, altri cinque quesiti riguardo alcuni punti del Jobs Act, la responsabilità dell’impresa appaltante e la cittadinanza agli extracomunitari.
La Consulta ha fatto presente che “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari“, anche se le motivazioni complete saranno depositate entro il 10 febbraio. La decisione dei giudici è stata fatta in punta di diritto, e non potrebbe essere altrimenti, e per questo è necessario guardare altrove per identificare le responsabilità politiche.
I ricorsi presentati dai presidenti di centrosinistra delle Regioni Toscana, Campania, Puglia e Sardegna, su cui la Corte si era già espressa a dicembre, sono diventati il terreno su cui giustificare il pronunciamento di ieri. Fatto evidente e incontrovertibile nelle note diffuse dalla Consulta stessa.
Infatti, la correzione di sette profili della legge Calderoli già indicati alla fine dello scorso anno hanno di fatto già imposto la riscrittura del provvedimento. Ritenuto, nei suoi elementi di fondo, in linea col dettato costituzionale riscritto dalla riforma del Titolo V, di cui fu promotrice a inizio anni Duemila proprio il centrosinistra.
La Consulta spiega infatti che “il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’articolo 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale“.
Come ha spiegato il professore di diritto costituzionale Alfonso Celotto in un’intervista a Quotidiano Nazionale, “i famosi sette punti di incostituzionalità hanno lasciato una legge dimezzata e un referendum su una legge dimezzata è un non senso“, dal punto di vista giuridico. “Il rischio – conclude – sarebbe stato quello di fare un voto più politico che giuridico“.
Proprio quello che, in realtà, il centrosinistra voleva evitare in tutti i modi che si concretizzasse.
C’è un sostanziale allineamento politico di maggioranza e opposizione sulla riforma dell’Autonomia Differenziata, inscritta già da un ventennio nella nostra legge fondamentale e dentro il quadro delle riforme europee.
Era dunque necessario evitare di chiamare il popolo a esprimersi su una scelta politica fondamentalmente blindata dal quadro di vincoli che la classe politica tutta porta avanti. Era comodo inscenare uno scontro sul tema, ma attraverso l’azione di alcuni vertici regionali il centrosinistra si è impegnato a creare le condizioni per disinnescare l’abrogazione totale.
Il governo esulta, sapendo che ora dovrà certo rimettere mano al testo di Calderoli, ma che può allo stesso tempo cantare vittoria. Dal canto proprio, il “campo largo” può rivendicare di aver dato battaglia sulla questione, addirittura mobilitando centinaia di migliaia di cittadini con la raccolta firme.
Il fuoco amico in questo caso non è stato un danno collaterale, ma un’operazione orchestrata sapientemente, come in molti avevano già denunciato.
Rimane una controriforma che ora prosegue la sua strada, con gravi ripercussioni sulla vita dei cittadini, sui servizi pubblici e su di un paese sempre più frammentato e in cui le disuguaglianze sono ormai cristallizzate.
contropiano.org
21.01.2025
Fonte: https://contropiano.org/news/politica-news/2025/01/21/fuoco-amico-e-consulta-affondando-il-referendum-sullautonomia-differenziata-0179571
Titolo originale: Fuoco amico e Consulta affondano il referendum sull’Autonomia Differenziata