L’ATTENTATO ANTI-AMERICANO IN SIRIA: UN PO’ DI LUCE

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blankDI MAURIZIO BLONDET
Effedieffe.com

«Noi del governo siamo certi al cento per cento che l’America è dietro l’attentato», ha detto un alto esponente siriano del partito Baath al corrispondente di World Net Daily. (1)
Clamorosa soffiata.
Il personaggio parlava dell’attentato all’ambasciata USA, sventato dalla sicurezza siriana.
«Non somiglia ad altri attacchi fatti da gruppi islamici», ha detto l’alto esponente, che non ha voluto essere nominato: «Solo gli americani possono riuscire a tentare un attacco a duecento metri dalla residenza del presidente Assad. Questo è il quartiere più sorvegliato della Siria».
«Gli USA», ha continuato il personaggio, «volevano dimostrare che il nostro Paese trabocca di terroristi per spingerci in posizione di debolezza».
Dietrologia?Naturalmente: non si può credere che gli Stati Uniti compiano un attentato contro una propria sede diplomatica.
Ma la versione siriana forse dà tutto un altro significato alla stupefacente «gratitudine» espressa da Condolezza Rice ai siriani dopo lo sventato attentato: questa insolita buona educazione ha colpito, e Tony Snow, il portavoce della Casa Bianca, ha dovuto chiarire: «Non siamo alleati. Ma speriamo che diventino alleati e facciano la scelta di combattere il terrorismo».
Sempre più strano: l’accusa sempre ripetuta a Washington (e nella servile Europa) è che il regime di Damasco alberga e protegge sedi di terroristi internazionali.
Motivo per cui hanno posto l’embargo sulla Siria, e la minacciano quasi ogni giorno di attacco militare.
D’altra parte i quattro terroristi «takfiri», che per mezz’ora hanno messo a ferro e fuoco il quartiere di lusso di Abu Romana (un agente morto, e undici passanti feriti), non avrebbero trovato il bersaglio grosso nell’ambasciata USA, anche se fossero riusciti a penetrarvi o a gettarvi l’autobomba che avevano preparato.
L’ambasciatrice, Margaret Scobey, è stata richiamata a Washington fin dai tempi dell’assassinio del libanese Hariri, di cui l’America e il mondo accusano Assad.
E poiché non ci sono tanti americani in Siria di questi tempi, l’ambasciata era praticamente deserta e chiusa.
Tanti rischi per un bersaglio freddo: perché?
L’assassinio di Hariri, nel febbraio 2005, è stato l’innesco per una robusta reazione internazionale, che ha costretto la Siria a porre fine all’occupazione del Libano.
Appena un anno dopo, in Libano è rientrata Israele, devastandolo dalle fondamenta.
Il processo per il caso Hariri, inscenato dall’ONU, non è andato benissimo: il procuratore scelto dalle Nazioni unite, Detlev Mehlis, ha finito per dimettersi dopo essere stato scoperto a prendere
per prove alcune dicerie di nemici personali di Assad, ammettendo: «Sono certo che c’è un collegamento, ma non posso provarlo».

Nonostante ciò, corre voce che Assad sarà incriminato nei prossimi giorni.
Qualche indicazione illuminante viene dall’appartenenza degli attentatori, tutti siriani e tutti morti. A rivendicare l’attacco è stato Jund al-Sham (Soldati di Damasco): un misterioso gruppo che si dichiara sunnita, che Israele e USA dicono «affiliato ad Al Qaeda», e che è noto per attentati in Levante soprattutto – guarda caso – contro gli sciiti; e recentemente, per l’assassinio di un capo hezbollah, Ghaleb Awali.
Ragion per cui Hezbollah ha accusato il gruppo terrorista di essere nient’altro che il Mossad. (2)
I «Soldati di Damasco» si dichiarano «takfiri», letteralmente «scomunicatori» – nel senso che appartengono ad un’ala estrema che considera gli sciiti scomunicati, miscredenti, non-islamici.
La stessa posizione che spingeva il fantomatico Al-Zarkawi ad ammazzare sciiti in Iraq, anziché combattere gli occupanti americani.

E i collegamenti possibili non si fermano qui.
Dopo l’attacco devastatore di luglio in Libano, le autorità libanesi hanno smantellato una complessa rete di spie musulmane al soldo di Israele dedite all’identificazione e all’assassinio di capi hezbollah.
Ebbene: uno degli arrestati, il palestinese Hussein Khattab, è il fratello dello sceicco Jamal Khattab, uno dei religiosi che ispirano o guidano Jund al-Sham.
Lo sceicco è stato anche un reclutatore per il cosiddetto «Al Qaeda in Irak», il gruppo che nel Paese occupato si occupa di massacrare sciiti.
Nel giugno 2005 Jund al-Sham ha inviato un fax al centro della fatwa sciita a Tiro con minacce di morte per il leader spirituale di Hezbollah, Sayed Hussein Fadlallah: insolito metodo di comunicare al nemico le proprie intenzioni.
E, come nota Justin Raimondo (3), strana e insolita convergenza oggettiva d’intenti tra Israele e questo gruppo di «takfiri»: entrambi hanno di mira Hezbollah.
Un’alleanza di fatto tra l’impero del Bene e i fanatici sunniti.
Anche la Siria, con il suo regime laico e secolare e i suoi shaik moderati (per amore o per forza), non piace a questi jihadisti; esattamente come non piace a Tel aviv.
Anche la Siria è costantemente minacciata da «Al Qaeda», come da Israele.
«Al Qaeda» considera Assad un nemico irriducibile, proprio come considerava tale Saddam.
Interessante coincidenza.
Alla cui luce conviene interpretare l’attentato fallito a Damasco contro l’ambasciata americana; e poiché fallito, a Wasington non è restato che esprimere «gratitudine» al regime-canaglia di Assad. Fosse riuscito, non sarebbe stato necessario essere grati.
Si sarebbe potuto urlare ai quattro venti che la Siria alberga terroristi, anzi li scatena contro la libera America.

Maurizio Blondet
Fonte: www.effedieffe.com
Link: http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1429&parametro=esteri
14.09.06

Note:

1) Ryan Jones, «Syria say Us behind attack on own embassy», All Headline News, 13 settembre 2006.
2) Uri Ash, «Hezbollah accuses Israel of killing official in Berut», Haaretz, 13 settembre 2006.
3) Justin Raimondo, «Terror in the event», Antiwar.com, 13 settembre 2006.

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