L’ASSALTO DELLA ISRAELI DEFENCE FORCE (IDF) A GAZA MIRA A CONTROLLARE IL GAS PALESTINESE: LA SOLUZIONE ALLA CRISI ENERGETICA IN ISRAELE

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DI NAFEEZ AHMED

theguardian.com

Il Ministro della difesa israeliano ha confermato che i piani militari di sradicamenmto di Hamas riguardano soprattutto il controllo delle riserve di gas di Gaza

Ieri, il ministro della difesa Israeliano ed ex capo di stato maggiore della Israeli Defence Force (IDF), Moshe Ya’alon , ha annunciato che l’operazione “Protective Edge” dà il via ad un attacco prolungato su Hamas. L’operazione “non finirà in pochi giorni”, ha detto, aggiungendo che “Ci prepariamo ad espandere ulteriormente l’operazione con tutti i mezzi possibili per colpire Hamas”.

Ieri mattina ha detto:

“Gli attacchi su Hamas sono molto duri: si distruggono le armi, le infrastrutture terroristiche, i sistemi di comando e di controllo, le istituzioni di Hamas, gli edifici del regime, le case dei terroristi e si uccidono terroristi di vario rango…La campagna contro Hamas nei prossimi giorni si espanderà ulteriormente e il prezzo che l’organizzazione si troverà a dover pagare sarà molto alto.”

Invece, nel 2007, un anno prima cioè dell’Operazione Cast Lead (Piombo Fuso), le preoccupazioni di Ya’alon’s si concetravano su 1,4 miliardi di metri cubi di gas naturale scoperti nel 2000 al largo delle coste di Gaza, del valore di $4 miliardi. Secondo Ya’alon era fuorviante l’idea di considerare “il gas di Gaza come fattore chiave di uno Stato Palestinese economicamente più vitale”. Il problema, disse, era che:

“..i ricavi dalla vendita di gas Palestinese a Israele probabilmente non sarebbero stati usati per arricchire il popolo Palestinese, ma per finanziare ulteriori attacchi terroristici contro Israele ….
Una transazione di gas con l’Autorità Palestinese [PA], per definizione avrebbe certamente coinvolto anche Hamas. Hamas avrebbe o beneficiato delle royalties o sabotato il progetto e sferrato attacchi contro Fatah, contro gli impianti di gas, Israele o tutte e tre le cose…E’ chiaro che senza un intervento militare globale finalizzato a sradicare il controllo di Hamas su Gaza, nessun lavoro di perforazione potrebbe avvenire senza il consenso del movimento Islamico radicale”.

L’Operazione Cast Lead non riuscì nell’intento di sradicare Hamas, ma il conflitto reclamò la vita di 1,387 Palestinesi (773 dei quali civili) e 9 Israeliani (3 dei quali civili).

Dalla scoperta del petrolio e del gas nei Territori Occupati, la contesa per il controllo delle risorse è stata sempre più al centro del conflitto, motivato in gran parte dalle crescenti “sfortune” energetiche d’Israele.

Mark Turner, fondatore di Research Journalism Initiative, ha riferito che l’assedio di Gaza e la conseguente pressione militare, erano intesi ad “eliminare” Hamas come “possibile entità politica a Gaza” e generare un “clima politico” favorevole ad un accordo sul gas. Ciò ha comportato la riabilitazione di Fatah come parte politica dominante in Cisgiordania, “lo sfruttamento delle tensioni politiche tra le due parti, il riarmo delle forze fedeli ad Abbas e la ripresa selettiva di aiuti finanziari”.

I commenti di Ya’alon del 2007 dimostrano che il governo Israeliano non è solo preoccupato per Hamas, ma soprattutto che se i Palestinesi sviluppassero le proprie risorse di gas, la conseguente trasformazione economica farà aumentare il “peso” Palestinese sulla scena internazionale.

Nel frattempo, negli ultimi anni Israele ha fatto importanti scoperte – esempio: il campo Leviathan che si stima contenga circa 6.000 miliardi di metri cubi di gas naturale, che potrebbero trasformare il paese da importatore di energia in aspirante esportatore della stessa, con ambizioni di rifornimento verso Europa, Giordania e Egitto. Un potenziale ostacolo è che gran parte dei 122 miliardi di metri cubi di gas e l’ 1,6 miliardi di barili di petrolio nel bacino della provincia orientale, si trovano in acque territoriali le cui frontiere sono oggetto di contesa tra Israele, Siria, Libano, Gaza e Cipro.

In mezzo a queste manovre regionali sul gas, però, Israele si trova a dover affrontare una sua propria crisi energetica interna, finora trascurata. Bisognerà attendere fino al 2020, ad esempio, per mobilitare adeguatamente la gran parte di queste risorse interne.

Questa, però, è solo la punta dell’iceberg. Una lettera scritta nel 2012 da due importanti scienziati governativi Israeliani – di cui il governo ha deciso di non rivelare l’identità – avvertiva il governo che Israele non aveva ancora risorse di gas sufficienti per sostenere le esportazioni, nonostante tutte le nuove scoperte. La lettera, secondo Ha’aretz, , riportava che le risorse nazionali di Israele erano del 50% in meno del necessario per sostenere le maggiori esportazioni, ed erano destinate ad impoverirsi ulteriormente nel giro di pochi decenni:

“Noi riteniamo che Israele dovrebbe aumentare il suo utilizzo interno di gas naturale entro il 2020, e interromperne l’esportazione. Mancano le stime dell’Autorità per il Gas Naturale. Esiste un divario tra i 100 e i 150 miliardi di metri cubi tra le proiezioni della domanda che sono state presentate al comitato e quelle più recenti. Le riserve di gas potrebbero non durare più di 40 anni da ora!”

Come ha scritto il Dr. Gary Luft – membro del Consiglio di sicurezza energetica degli Stati Uniti – sul Journal of Energy Security: “Data l’accelerazione nell’esaurimento delle forniture di gas per uso domestico in Israele, e in assenza di un imminente aumento delle importazioni di gas in Egitto, Israele potrebbe affrontare una crisi di potere in nei prossimi anni … Se Israele continua nei suoi programmi di gas naturale, dovrà necessariamente diversificare le sue fonti di approvvigionamento”.

Le nuove scoperte energetiche Israeliane non sono ancora in grado di offrire una soluzione immediata, considerando i livelli record raggiunti dai prezzi dell’elettricità; aumenta quindi la necessità di diversificare l’offerta.

Sembra che sia stato questo il messaggio del primo ministro Netanyahu nel febbraio 2011: che cioè era giunto il momento di concludere un accordo sul gas di Gaza.

Tuttavia, dopo un nuovo round di negoziati avviati tra l’Autorità Palestinese Fatah e Israele nel settembre 2012, Hamas si è ritrovato escluso da questi colloqui e ha quindi respinto la legittimità di ogni accordo che sarebbe stato concluso.

All’inizio di quest’anno, Hamas ha condannato un accordo ventennale della’Autorità Palestinese per l’acquisto di 1,2 miliardi dollari di gas dal giacimento Israeliano Leviathan, a partire dal momento in cui il campo iniziasse la produzione. Contemporaneamente, l’Autorità Palestinese ha tenuto diversi incontri con il British Gas Group per sviluppare il giacimento di gas di Gaza, escludendo Hamas – e quindi gli abitanti di Gaza – dall’accesso ai proventi che ne deriveranno. Era questo il brillante piano dell’Inviato Speciale in Medio Oriente, Tony Blair.

Ma l’ A.P. (Autorità Palestinese) corteggiava anche la russa Gazprom per lo sviluppo del giacimento di gas sottomarino di Gaza e sono attualmente in corso dei colloqui tra Russia, Israele e Cipro, benché gli esiti non sono ancora noti. Inoltre, non è ancora chiaro come farà l’A.P. ad esercitare il controllo su Gaza, considerando che è attualmente governata da Hamas.

Secondo Anais Antreasyan, come ha scritto nel Journal of Palestine Studies, presso l’Università della California, una qualificata rivista in lingua inglese dedicata al conflitto arabo-Israeliano, la morsa di Israele su Gaza è stata progettata per rendere impossibile “l’accesso dei Palestinesi al gas Marine-1 e Marine-2”. Obiettivo a lungo termine di Israele “oltre ad impedire ai Palestinesi di sfruttare le proprie risorse, è quello di integrare i giacimenti di gas al largo di Gaza alle installazioni offshore Israeliane adiacenti.” Tutto questo fa parte di una più ampia strategia di:

“…. separare i Palestinesi dalle loro terre e dalle loro risorse naturali, per sfruttarle e, di conseguenza, arrestare lo sviluppo economico Palestinese. Nonostante tutti gli accordi ufficiali che attestano il contrario, Israele continua a gestire tutte le risorse che nominalmente sono sotto la giurisdizione Palestinese, dalla terra all’acqua, dagli idrocarburi alle risorse del mare”.

Per il governo Israeliano, Hamas continua ad essere il principale ostacolo alla conclusione dell’accordo sul gas. Secondo le recenti parole del ministro della difesa:

“L’esperienza d’Israele durante gli anni di Oslo indica che i profitti dal gas Palestinese finiranno certamente per finanziare ulteriori azioni terroristiche contro Israele. La minaccia non si limita ad Hamas…è praticamente impossibile impedire che almeno una parte dei proventi dalla vendita del gas Palestinese finisca nelle mani di loro gruppi terroristici…”.
L’unica opzione, quindi, è un’ ennesima “operazione militare per sradicare Hamas”.

Purtroppo, per l’IDF sradicare Hamas significa distruggere quella che considera la base del sostegno civile al gruppo – che è il motivo per cui il numero delle vittime civili Palestinesi supera di gran lunga quello delle vittime Israeliane. Entrambe queste morti sono ovviamente riprovevoli, ma resta il fatto che la capacità d’ Israele di infliggere distruzione è sempre maggiore.

Sulla scia dell’Operazione Cast Lead, la Commissione Pubblica contro la Tortura in Israele, con base a Gerusalemme, (PCATI) ha rilevato che l’IDF aveva adottato una tattica di combattimento più aggressiva, basata su due principi: “Zero Vittime” per i soldati dell’IDF a costo di utilizzare una sempre maggiore potenza di fuoco indiscriminato in aree densamente popolate; e “Dahiya”, ovvero privilegiare come bersaglio le infrastrutture civili, allo scopo di creare sofferenza diffusa e fomentare l’opposizione agli avversari d’Israele.

Questo è stato confermato, nella pratica, dalla missione esplorativa delle Nazioni Unite a Gaza, che ha rilevato che l’IDF ha perseguito una “deliberata politica di forza sproporzionata” mirata a colpire le “infrastrutture di supporto” del nemico – “intendendosi per questo la popolazione civile”, ha concluso il Rapporto delle Nazioni Unite.

È chiaro che il conflitto Israelo-Palestinese non è solo una questione di risorse; ma in un’epoca di energia costosa, la competizione per il controllo delle riserve di combustibili fossili nella regione influisce sempre più nelle decisioni critiche che possono scatenare un conflitto.

Dr. Nafeez Ahmed è un giornalista e accademico esperto di sicurezza internazionale. E’autore di “A User’s Guide to the Crisis of Civilization: And How to Save It” (Guida alla Crisi della Civiltà: e come salvarla) e del prossimo thriller di fantascienza “ZERO POINT”. ZERO POINT è ambientato in un ipotetico prossimo futuro post Quarta Guerra in Iraq. Seguite Ahmed su Facebook and Twitter.

Fonte: www.theguardian.com

Link: http://www.theguardian.com/environment/earth-insight/2014/jul/09/israel-war-gaza-palestine-natural-gas-energy-crisis

9.07.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

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