DI SOLANGE MANFREDI
Paolo Franceschetti blog
Dopo Moro la scomparsa dei giornalisti Toni e De Palo…ancora servizi segreti, massoneria e brigate rosse…tutti insieme torbidamente ed appassionatamente.
La vicenda dei due giornalisti scomparsi è l’ennesima vergogna italiana. Anche in questa vicenda, che si colloca all’indomani del sequestro Moro, troviamo: traffico d’armi, servizi segreti, depistaggi, morti improvvise, apposizione del segreto di Stato e massoneria[1].
E’, però, anche una delle vicende di cui si è parlato meno: perché? Probabilmente perché esaminandola bene, e facendo dei semplici collegamenti con il caso Moro, si potrebbe giungere a capire chi erano veramente questi “presunti” terroristi così giungendo ad ipotesi inquietanti. Vediamo quali.
L’ultimo viaggio.
E’ il 22 agosto del 1980, Graziella De Palo (giornalista di Paese Sera e de L’Astrolabio) e Italo Toni (redattore dell’Agenzia Notizie) partono da Roma alla volta del Libano per svolgere un servizio giornalistico sui campi palestinesi dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).
In Libano c’è la guerra civile, ma il servizio è reso possibile grazie all’appoggio dato dal rappresentante romano dell’OLP, Nemer Hammad.
La mattina del 2 settembre Toni e De Palo escono dal loro albergo di Beirut, il Triumph, per recarsi nel sud del Libano. Vogliono realizzare un reportage sui campi di addestramento palestinesi. Non faranno più ritorno.
Benché Graziella De Palo avesse denunciato più volte nei suoi articoli (che consiglio di leggere per capire la bravura ed il coraggio di una vera giornalista, li potete trovare al seguente indirizzo http://www.toni-depalo.it/gdp-scritti.htm), il ruolo dei servizi segreti italiani nella copertura del traffico internazionale clandestino delle armi, saranno proprio i servizi segreti italiani ad attivarsi per la ricerca dei due giornalisti scomparsi.
Dalla denuncia della scomparsa dei due giornalisti avvenuta, con inspiegabile ritardo, solo il 29 settembre 1980 (cioè dopo oltre 20 giorni dalla loro scomparsa) inizia un gioco perverso e vergognoso di depistaggi teso a coprire la verità sulla sorte dei due giornalisti. Perché?
Dall’esame di quel che resta degli effetti personali di Maria Grazia De Palo rinvenuti nell’albergo a Beirut mancano ovviamente e come sempre in questi casi la macchina fotografica, appunti, documenti; inoltre molti fogli dei taccuini risultano essere stati strappati. Questi effetti arrivati a Roma ben 4 anni dopo (probabilmente a dorso di una tartaruga), si evince come i giornalisti stessero svolgendo un’inchiesta su:
– il traffico internazionale di armi[2] tra l’OLP e l’Italia (vi sono varie note su società italiane e straniere);
– 5 campi di addestramento palestinesi situati nel sud del Libano nella zona di Tiro e Sidone.
Per questa vicenda vengono rinviati a giudizio – tra gli altri – il generale (e direttore) del Sismi Giuseppe Santovito e il colonnello del Sismi Stefano Giovannone
Nell’ordinanza di rinvio a giudizio per la scomparsa dei due giornalisti emessa in data 26/03/1986 dal giudice istruttore Renato Squillante si legge:
– ”….. il Giovannone seppe, “subito o quasi”, la sorte in cui erano incorsi i due giornalisti e, d’accordo con il Santovito, si adopera per “coprire” le responsabilità palestinesi. A questo scopo, ideò e pose in essere un “sistema” idoneo a far smarrire, invischiandoli come in una tela di ragno, tutti coloro – tra i primi i familiari di Graziella De Palo – che, non addentro al groviglio di rapporti e di interessi che si accentra in Libano, non potevano che credere alle notizie riferite, sacrificando talora gli intenti di verifica alla speranza di liberazione degli ostaggi…;
– “…Il Giovannone, quindi, avvalendosi del sua patrimonio di conoscenza e di esperienza del settore medio orientale (pari a quello di pochi, in campo occidentale), facendo apparire che svolgeva indagini in ogni direzione, riferì tutto e il contrario di tutto, accreditò strumentalmente una pista falangista da contrapporre a quella palestinese e siriana, costruendo una rete così confusa ed inestricabile di notizie e di ipotesi da rendere impossibile, a chiunque non avesse una approfondita conoscenza di quel settore e non potesse operare dirette verifiche, di orientarsi nella ricerca della verità….;
– “….Si deve peraltro rilevare che i fatti posti in essere dal Giovannone, nei quali si configurano i reati contestatigli (favoreggiamento personale, rivelazione di segreti di Stato e di notizie riservate), si inquadrano in una stessa linea di condotta, intesa a “favorire” i palestinesi dell’OLP, perseguita sistematicamente dal Giovannone anteponendo oscuri interessi economici e di potere ai suoi doveri istituzionali derivantegli dalle sue qualità e dalle sue funzioni…”;
– “….Il fatto che il capo del Sismi ricorra alla menzogna per favorire i palestinesi, sino al punto di gettare sospetti sull’operato di un ambasciatore di Italia, non deve meravigliare; il Santovito era aduso alla menzogna e in questo caso doveva avere precisi interessi per farlo. E’ lui stesso che non esita a riconoscere di avere mentito sul punto anche con la Presidenza del Consiglio (ff. 13-13r, vol. III e deposizione on. Mazzola a f. 293, vol. II)…. Egli spiega di avere mentito per salvaguardare la buona immagine dell’OLP….”;
– “…Quanto al Giovannone si osserva che la sua attività di depistamento – realizzata in concorso con il Santovito, pure deceduto – e di rivelazione di notizie segrete e riservate, può considerarsi ampiamente provata”;
Dunque secondo l’ordinanza di rinvio a giudizio il capo del Sismi Santovito ed il capo centro del Sismi per il medio Oriente Giovannone avrebbero commesso numerosi e gravi reati per impedire che si facesse luce sulla sparizione di due connazionali con l’intento di favorire i palestinesi. Perché?
Santovito e Giovannone.
Per capire la vicenda dobbiamo aver chiaro chi erano e che ruolo hanno svolto in quegli anni Santovito e Giovannone.
Generale Giuseppe Santovito
Il Generale Giuseppe Santovito, massone iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli, viene nominato direttore del Sismi il 13 gennaio 1978. Capo del Sismi sino al 1981, muore il 5 febbraio del 1984 dopo un intervento chirurgico.
Nei tre anni di permanenza al vertice del servizio segreto militare il Generale Santovito avrà modo di avere un ruolo di primo piano nel rapimento di Moro, venire inquisito dal giudice Carlo Palermo per traffico di armi e arrestato nel 1983 violazione del segreto di Stato.
“L’operato del gruppo di potere costituitosi all’interno del Sismi tra il 1978 e il 1981 con a capo Santovito e Musumeci si differenzia da altri precedenti episodi di c.d. deviazione dei servizi segreti per la molteplicità di attività esplicate….A somiglianza della P2 – della quale la struttura era peraltro una articolazione – il Supersismi svolgeva insomma un’ampissimo ventaglio di attività, tutte direttamente o indirettamente finalizzate ad intervenire nella sfera politica, il che era con tutta evidenza incompatibile con le finalità dell’istituto…”[3].
In altre parole l’attività di depistaggio che i nostri servizi segreti, sotto la guida di Santovito, hanno attuato in quegli anni è stata a 360°.
Colonnello Stefano Giovannone.
– Il Colonnello Stefano Giovannone, iscritto ai Cavalieri di Malta, aveva ricoperto l’incarico di capocentro del SISMI a Beirut dal 1972 al 1981;
– Secondo un recente documento[4], in cui si
attribuisce al colonnello Giovannone la sigla G216, questi avrebbe fatto parte delle struttura occulta Gladio. Dal documento si evince anche come il Ministero della Marina avesse inviato, il 02 marzo 1978 un gladiatore a Beirut per trattare la liberazione di Moro. Il problema però è che Moro verrà rapito solo il 16 marzo, ovvero 14 giorni dopo;
– Aldo Moro, in ben due lettere scritte durante la sua prigionia, aveva auspicato l’intervento del Colonnello Giovannone per risolvere la “delicata faccenda” del suo rapimento;
– nel 1985 il giudice istruttore veneziano Carlo Mastelloni emetteva un mandato di cattura a carico del colonnello Stefano Giovannone con l’accusa di aver favorito il traffico d’armi fra l’Olp e le Brigate rosse;
– Il Colonnello Giovannone moriva poco dopo agli arresti domiciliari; i documenti ufficiali parlano di morte naturale ma non è dato sapere quale sarebbe questa morte naturale. In altre parole: nell’arco di un anno moriranno sia Santovito che Giovannone entrambi improvvisamente e per “morte naturale”. Una bella coincidenza, no?
– L’inchiesta del giudice Mastelloni verrà fermata dal Governo che sulla vicenda porrà il segreto di Stato.
Riassumiamo quello che abbiamo appreso fin qui: pare che esistesse quindi un collegamento molto stretto tra OLP, Brigate Rosse, e i nostri servizi segreti, in particolare Gladio.
Ora prestiamo attenzione a questi passaggi.
– Il Colonnello Giovannone era probabilmente un gladiatore.
– In via Fani, il giorno del rapimento Moro, era presente il Colonnello Guglielmi (addestratore dei gladiatori). Sarebbe interessante approfondire il legame che c’era tra Giovannone e il colonnello Guglielmi.
– Su incarico del Ministero della Marina un gladiatore, viene inviato a Beirut per trattare la liberazione di Moro ben 14 giorni prima del suo rapimento.
– Aldo Moro, durante la sua prigionia nel c.d. “carcere del popolo”, ritiene (e lo scrive in ben due lettere) che il Colonnello Giovannone, da sei anni a Beirut, abbia la possibilità di attivarsi e trattare con i brigatisti che lo tengono prigioniero. E’ importante questo passaggio. Moro cioè – che ricordiamolo, essendo un politico potente, conosceva bene il sistema – sapeva di questo collegamento tra OLP, BR, e servizi segreti nostrani.
– Dunque Giovannone aveva contatti con i brigatisti nonostante fosse a Beirut.
– Il governo pone il segreto di Stato sull’inchiesta del giudice Mastelloni sul traffico di armi tra l’OLP e le BR.
– Il capo del Sismi, il piduista Generale Santovito ritiene di poter tranquillamente giustificare la commissione di tali gravissimi reati affermando, anche davanti alla Presidenza del Consiglio, di averlo fatto per “salvaguardare la buona immagine dell’OLP”. Eppure questa organizzazione riforniva di armi le Brigate rosse.
Ora poniamoci due domande
– Che legame c’era – esattamente – tra i nostri servizi segreti, l’OLP e le brigate rosse? Ricordiamolo: un legame così forte da imporre il segreto di Stato da parte del governo, e talmente scontato in ambiente politico che Moro lo scrive in ben due lettere dalla prigionia.
– Che cosa avevano visto e/o scoperto, e/o capito Toni e De Palo nei campi di addestramento a Sud del Libano per dover essere uccisi?
L’arte del depistaggio.
A tre mesi dalla sparizione dei due giornalisti, Elio Ciolini un personaggio legato ai servizi segreti, detenuto in un carcere svizzero con l’accusa di truffa, inviava una lettera al Console generale d’Italia a Ginevra nella quale affermava che i due giornalisti, poiché in occasione di una intervista loro concessa il 2/9/1980, da Nayef Hawatmeh del F.D.L. (Fronte Democratico Liberazione Palestinese) avevano casualmente riconosciuto un politico italiano ed un noto terrorista italiano, erano stati catturati e rinchiusi in un campo OLP, a sud del Libano, per poi essere uccisi (la De Palo sarebbe stata anche stuprata).
L’informativa verrà considerata falsa. Era veramente falsa?
Ci sono molte tecniche atte a depistare le indagini, a seconda della situazione si utilizza quella che si ritiene più idonea. Una tecnica ottima, usata spesso, consiste nel “bruciare” in anticipo una pista investigativa che, se seguita, potrebbe risultare pericolosa.
Questa tecnica consiste nel rivolgersi ad un soggetto “amico”, ovvero un depistatore, e chiedergli (o ordinargli se fa parte di una organizzazione gerarchica) di affermare come vere cose assolutamente false. Tra le varie cose che il soggetto afferma una sola è vera, proprio quella che si vuole non sia oggetto di indagine. Poiché il soggetto ha affermato, per la maggior parte, delle cose false, anche la notizia vera è così assolutamente screditata e, nella sostanza, “bruciata.
E’ stata questa la tecnica utilizzata per depistare le indagini sulla scomparsa dei due giornalisti? Probabilmente si. Vediamo come.
Abbiamo detto che Elio Ciolini in una lettera affermava che i due giornalisti erano stati uccisi in un campo al sud del Libano perché avevano riconosciuto un politico italiano in compagnia di un noto terrorista italiano.
Nella stessa lettera Elio Ciolini indicava anche l’esistenza di una organizzazione terroristica denominata ‘Ot’ che avrebbe avuto legami con la frazione dell’Olp responsabile non solo della morte dei due giornalisti ma anche all’origine della strage di piazza Fontana, dell’Italicus e di quella di Bologna del 2 agosto 1980, ed infine accusando Stefano delle Chiaie, Danet e Fiebelkon di essere i responsabili dell’ultima strage[5].
Ma chi era Elio Ciolini? Era un depistatore? E se si per chi lavorava?
Vediamo cosa dicono alcuni stralci della sentenza riportati nel libro di De Lutiis (I servizi segreti in Italia).
“Anche la pista indicata da Elio Ciolini sembra ascrivibile allo stesso quadro di depistaggi operati dal Sismi di Santovito…I giudici concludono affermando che ci si trova di fronte ad una calcolata miscela di verità e menzogne capace di far presa e al tempo stesso di fuorviare…E’ quindi ipotizzabile – scrivono i magistrati bolognesi – l’intervento di esponenti dei servizi che, già impegnati nel fornire una copertura agli autori della strage, Attraverso una accorta regia del personaggio Ciolini avevano la possibilità di conseguire, come in effetti ottennero, la totale e definitiva perdita di credibilità delle inchieste sulla strage e dei magistrati che la conducevano>> ….A conclusione della parte di istruttoria dedicata a questa attività i giudici scrivono parole pesanti come macigni: L’opera di inquinamento delle indagini appare così imponente e sistematica da non consentire alcun dubbio sulle finalità: impedire con ogni mezzo l’accertamento della verità! Se ciò è vero, e non sembra si possa minimamente discuterne, diviene legittima sul piano rigorosamente logico una seconda proposizione: soltanto l’esistenza di un legame di qualche natura tra gli autori della strage e gli autori del tentativo di depistaggio può spiegare un simile comportamento; o perché la strage fu eseguita dai primi su mandato degli altri, o perché la strage, benché autonomamente organizzata ed eseguita, rientrava in un comune progetto politico, la cui gestione richiedeva che non fossero scoperti gli autori>>”[6]
Dunque Ciolini era un depistatore. Era un uomo, come dice il PM Mancuso, inserito nello stesso ambiente che ha inteso screditare con il compito di evitare che i colpevoli vengano assicurati alla giustizia[7].
La domanda ora da porsi è: quale tecnica ha usato Ciolini per depistare? O meglio. L’informazione che i due giornalisti sono stati uccisi perché hanno riconosciuto un politico italiano in compagnia di un terrorista italiano era la notizia vera che si è voluta “bruciare”? Forse si. Vediamo perché. Sappiamo che:
– I due giornalisti spariscono il 02/09/1980, giorno in cui si sarebbero dovuti recare a visitare alcuni campi di addestramento palestinesi nel sud del Libano;
– A Beirut da anni opera come capo centro del Sismi il colonnello Giovannone, presunto gladiatore a cui Aldo Moro, in due lettere dalla prigionia, si raccomanda per cercare di trovare una soluzione al suo sequestro operato dalle Brigate rosse;
– Il colonnello Giovannone viene arrestato con l’accusa di aver favorito il traffico di armi tra OLP e Brigate rosse;
– Giovannone con Santovito vengono, successivamente, accusati di gravissimi reati commessi per depistare le indagini sulla sparizione dei due giornalisti e proteggere l’OLP, organizzazione che rifornisce di armi le Br .
Come poteva il Colonnello Giovannone avere contatti con i vertici delle BR se dal 1972 era a Beirut?
Probabilmente in un solo modo: alcuni dei c.d. “presunti” brigatisti (per intenderci i c.d. capi commando, coloro che nelle azioni presentavano un addestramento militare incompatibile con rare esercitazioni in qualche cava) si addestravano nei campi palestinesi a sud del Libano. Magari addestrati proprio da qualche gladiatore.
Probabilmente i due giornalisti avevano visto ed avevano capito che alcuni “presunti” brigatisti e servizi segreti erano la stessa cosa. Probabilmente per questo sono morti.
Se fosse così si spiegherebbero molte cose sia della vicenda Moro che della vicenda Toni De Palo. Si spiegherebbe, ad esempio perchè:
– la strage compiuta in Via Fani da c.d. presunti Brigatisti viene definita “un gioiello di perfezione” attuabile solo da persone super addestrate in operazioni di commando (Gladio Militare?);
– il Colonnello Guglielmi, addestratore dei gladiatori nelle tecniche di imboscata, fosse presente in Via Fani al momento del massacro (articolo su questo blog del 6 marzo 2008, Moro fu davvero rapito dalle Brigate rosse?);
– le munizioni adoperate in Via Fani avevano una provenienza militare ed erano in dotazione solo a reparti di Forze armate “non convenzionali” (Gladio militare?);
– il Governo abbia posto il segreto di Stato impedendo alla magistratura di indagare;
– il Sismi abbia commesso numerosi reati per cercare di nascondere la verità sulla morte dei nostri due connazionali e proteggere l’OLP ed i campi di addestramento nel sud del Libano.
Conclusione.
Dunque, è verosimile che i giornalisti Toni e De Palo siano stati uccisi perché in occasione del loro servizio giornalistico sui campi palestinesi a sud del Libano, abbiano visto qualcosa che abbia fatto fare loro il collegamento tra OLP, BR e servizi segreti. Oggi, di questi collegamenti se ne parla e risultano da vari atti ufficiali, da libri, interviste, ecc… Oggi, a 30 anni da questa tragica vicenda si parla ancora di Brigate Rosse quando pare ormai assodato che il sequestro Moro non fu un sequestro operato dalle BR. Oggi è pacifico che le BR furono, nel migliore dei casi, eterodirette. Ma all’epoca, siamo nel 1980, intuire capire o vedere questa cosa equivaleva a morire.
Solange Manfredi
Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com
Link: http://paolofranceschetti.blogspot.com/2008/05/larte-del-depistaggio.html
5.05.08
NOTE
[1]http://www.toni-depalo.it/vs-famiglie.htm infatti quando i giornali pubblicano gli elenchi degli iscritti alla Loggia massonica P2, sequestrati nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi dalla magistratura milanese, la famiglia De Palo si accorge che buona parte delle autorità che si sono attivamente – e torbidamente – occupate del loro caso compaiono negli elenchi
[2] Graziella aveva denunciato a più riprese, nei suoi articoli, il ruolo dei servizi segreti italiani nella copertura del traffico internazionale clandestino delle armi in aperta violazione dell’embargo ONU.
[3] Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Editori riuniti, Pg. 286-287
[4] Dal libro di Falco Accame, Moro si poteva salvare, Massari Editore: “della X Divisione Stay Behind (Gladio) della direzione del personale del Ministero della Marina, a firma del Capo di Vascello, capo della divisione stessa, del 02 marzo 1978, ovvero 14 giorni prima del rapimento di Moro e dell’uccisione della sua scorta, inviava l’agente G71 appartenente alla Gladio – Stay Behind- (partito da La Spezia il 06 marzo sulla motonave Jumbo M) a Beirut, per consegnare dei documenti all’agente G129, affinché prendesse contatti con “gruppi del terrorismo M.O.”, perché questi intervenissero sulle Brigate Rosse, ai fini della liberazione di Moro. A Beirut operava come capocentro (pare anche con incarico in Gladio, visto che gli si attribuisce la sigla G216) il Colonnello Stefano Giovannone, responsabile per il Medio oriente, iscritto ai Cavalieri di Malta”
[5] www.fondazionecipriani.it
[6] G. De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Editori riuniti, pg. 295-296
[7] http://digilander.libero.it/prigionieropolitico/avv_federici_03.htm