DI JOHN LAUGHLAND
Voltaire.net
L’arresto di Radovan Karadzic giunge quasi esattamente sette anni dopo la prima comparizione di Slobodan Milosevic davanti al Tribunale Penale Internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia, all’Aja, il 3 luglio 2001. L’incarcerazione di Milosevic fu, come oggi quella di Karadzic, il diretto risultato di un cambio di governo a Belgrado: così come l’arresto di Karadzic è avvenuto subito dopo la formazione, l’8 luglio scorso, di un governo filo-europeo e filo-occidentale, anche quello di Milosevic, nell’aprile 2001, fu la conseguenza diretta della vittoria del Partito Democratico (il cui leader è ora Presidente della Serbia) alle elezioni parlamentari del dicembre 2000.
L’arresto dimostra che il potere politico è profondamente sensibile ai procedimenti penali: come avvenne con Milosevic, tale arresto è evidentemente la conseguenza del fatto che gli appoggi di Karadzic hanno perso potere a Belgrado. Ma tale verità si applica anche al TPIJ, che alla fine di giugno ha liberato Naser Oric, il comandante bosniaco musulmano di Srebrenica, il cui esercito usò la copertura della zona di sicurezza ONU per condurre incursioni notturne contro i villaggi serbi dei dintorni, nei quali commise numerose atrocità contro i civili. La liberazione di Oric è giunta, anch’essa, dopo l’assoluzione, nell’aprile scorso, dell’ex-primo ministro kosovaro e capo dell’UÇK [Esercito di Liberazione del Kosovo, NdT], Ramush Haradinaj, nonostante il tribunale, nel suo decreto, abbia sottolineato che diversi testimoni dell’accusa sono stati misteriosamente assassinati prima di potersi recare a testimoniare all’Aja.
Molti Serbi, dunque, saranno convinti che il TPIJ abbia fondamentalmente un orientamento anti-serbo. Ma la maggior parte di loro ha anche subito quindici anni di ostilità da parte dell’Occidente in generale, tanto da aver probabilmente deciso che «se non li puoi battere, allora meglio stare dalla loro parte»: ecco il motivo per cui i Serbi hanno votato per un presidente filo-europeo in febbraio e per un governo filo-europeo in maggio. Essi, o per lo meno i loro leader, sono giunti alla conclusione che Karadzic dovesse essere sacrificato per un interesse superiore, quello nazionale, che dal loro punto di vista significa adesione all’Unione Europea e alla NATO. L’annessione della Serbia in queste due strutture, ora inevitabile, porterà semplicemente a compimento il progetto geopolitico occidentale nei Balcani.
Quindi, anche ammesso che il TPIJ sia anti-serbo, ciò che importa è individuare il punto chiave dell’agenda politica dello stesso tribunale, vale a dire la giustificazione della nuova dottrina occidentale di ingerenza militare e giudiziaria. Secondo questa dottrina, la forza militare può essere impiegata contro uno Stato qualora il suo governo violi i diritti dell’uomo. I Serbi sono appunto il popolo nei confronti del quale è stata testata questa politica.
Per quanto tale politica possa esercitare un grande richiamo superficiale, dal momento che nelle guerre dei Balcani sono state indubbiamente commesse delle atrocità, la sua ipocrisia risiede nel fatto che né la NATO né una qualsiasi altra potenza occidentale abbiano tentato di raccogliere un vero sostegno internazionale, per esempio attraverso l’elaborazione di un trattato internazionale o con la riforma della Carta dell’ONU che, attualmente, impedisce una tale ingerenza. Questa politica è stata semplicemente annunciata unilateralmente.
Storicamente nessun processo penale nei confronti di un capo politico è mai sfociato in un’assoluzione, sebbene la tradizione abbia preso il via nel lontano 1649, con il re d’Inghilterra Carlo I. Questo perché l’incriminazione di un ex-sovrano è un mezzo per dimostrare che un nuovo regime è al potere, e, ancor più, per togliere legittimità a quello precedente. Nel caso di Karadzic non andrà diversamente. Per formare il proprio convincimento, il TPIJ commette numerose violazioni dei maggiori principi di procedura legale e, in particolare, ha elaborato una teoria della responsabilità talmente ampia che, di fatto, si chiede agli accusati di provare la propria innocenza di fronte alla presunzione di colpa. Anche se non esiste nessuna prova che Karadzic abbia ordinato di commettere dei crimini di guerra, egli sarà perseguito sulla base del fatto che avrebbe potuto e dovuto sapere. Il TPIJ si comporterà in questo modo perché l’orientamento politico a monte del processo contro Karadzic stabilisce che costui, in quanto presidente serbo-bosniaco, non era altro che un criminale; dunque l’intervento della NATO contro i Serbi di Bosnia nel 1995 rappresenta non un atto di aggressione alla luce del diritto internazionale, ma piuttosto un’azione giustificabile.
La logica testata nei Balcani nel 1995 e nel 1999 (quando la NATO attaccò la Jugoslavia per la questione del Kosovo) è stata applicata in modo molto più drammatico quando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiararono di avere, essi soli, il diritto d’imporre delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU all’Iraq. Questa guerra – legittimata in seguito anche da un processo politico – ha fino ad oggi consumato quasi un milione di vite umane e gettato un’intera regione in un caos apparentemente senza fine.
È giunto il momento, per il mondo intero, di riflettere seriamente sul pericolo rappresentato dall’introduzione del diritto penale nelle relazioni internazionali.
John Laughland
John Laughland è stato amministratore fiduciario del British Helsinki Human Rights Group, associazione che studia la democrazia e il rispetto dei diritti dell’uomo negli ex-paesi comunisti, e membro di Sanders Research Associates. Attualmente è direttore delle ricerche presso l’Institut pour la Démocratie et la Coopération.
Fonte: www.voltaire.net
Link: http://www.voltairenet.org/article157811.html
Traduzione a cura di MoMa per www.comedonchisciotte.org