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L'ANTROPOLOGA SCOMODA (IDA MAGLI 1925- 2016)

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A cura di Davide
Il 23 Febbraio 2016
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DI LOREDANA LIPPERINI

facebook.com

Come fosse ieri. Una voce sottile, modi gentili, una donna piccolina, un’aula universitaria piena di sole. Frase dopo frase, ci insegnava a temere gli stereotipi, le frasi fatte, le prese di posizione scontate. Ai tempi, le femministe facevano i girotondi? E lei ci raccontava i pericoli di usare il simbolo (il cerchio) senza conoscerne il significato. Perché usando i simboli si viene usate, diceva, e qualsiasi conquista sociale, senza mutare i simboli, rifluisce via come acqua. Era il 1980. Era scomoda. Era attenta.

Qui, per dire, Ida Magli mette in guardia, anche, dall’utopia di Gilania.

Loredana Lipperini
Fonte: www.facebook.com
21.02.2016

SOTTO LE VESTI DELLA DEA

SARA’ salutato con soddisfazione dalle femministe e da tutti coloro che credono nell’ esistenza di antiche culture matriarcali l’ enorme sforzo di classificazione e interpretazione presentato in questo libro (Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, traduzione di Nicola Crocetti, Longanesi, pagg. 386, lire 98.000). L’ archeologa e paleontologa Marija Gimbutas, di origini lituane ma attualmente docente di Archeologia Europea presso l’ Università di California a Los Angeles, ha preso in esame circa duemila manufatti graffiti, sculture, statuette, modellini di templi, vasi, tombe provenienti da siti europei del Neolitico Antico (7000-3500 a. C. circa) e ha messo a punto un glossario di motivi figurativi che fungono da chiave interpretativa per la mitologia e il culto di un’ epoca altrimenti non documentata e che affonda le sue radici nel Paleolitico.

Il cielo e la terra uniti Si arriva così a prospettare una religione europea della Grande Dea che secondo l’ autrice è fondamentale per una reale comprensione della religione e della mitologia occidentali; un lavoro durato circa vent’ anni e che tenta di risolvere il problema del significato dei segni e delle raffigurazioni che appaiono ripetutamente su oggetti di culto e ceramiche dipinte del Neolitico europeo. In pratica una specie di gigantesco puzzle, da riordinare secondo il significato di simboli e immagini nel loro ordine complessivo. Questi simboli ed immagini vengono assunti così come grammatica e sintassi di una specie di metalinguaggio che rivelerebbe la fondamentale visione del mondo della cultura europea arcaica, preindoeruopea.

Contrariamente a quanto credono molti archeologi, ossia che non conosceremo mai il significato dell’ arte e della religione preistoriche, Marija Gimbutas ritiene di poter dimostrare l’ esistenza del culto di una Grande Dea, il suo ruolo in epoca preistorica e agli albori della storia, di figura cosmogonica, di fonte fertile dell’ universo, collegata al mistero della nascita e della morte, al rinnovamento della vita non soltanto umana ma di tutta la terra. Per giungere a questa dimostrazione vengono per prima cosa assegnati dei significati ai segni che si ripetono attraverso il tempo in tutta l’ Europa, su ceramiche, statuette ed altri manufatti, apparentemente motivi geometrici, ma che invece parlano un loro linguaggio. Il segno a V per esempio, individuato come triangolo pubico, si cristallizza per millenni come segno specifico della Dea Uccello, associato ad altri segni, linee doppie e triple, disegni a rete e a scacchiera, spirali serpentine e soprattutto allo zig zag, che nell’ iconografia preistorica europea indica l’ acqua ed è il più antico motivo simbolico documentato.

Secondo l’ autrice la Dea Uccello sarebbe quindi la Fonte e la Dispensatrice dell’ umidità che dà la vita. Sotto le vesti di un uccello acquatico essa congiunge il cielo e la terra e probabilmente si pensava che nella sua dimora terrestre si rispecchiasse un regno acquatico divino. Specifiche parti del corpo della Dea testimonierebbero la sua funzione di Fonte di vita e di nutrimento: i seni per esempio, che compaiono nell’ immagine di una donna con maschera di uccello nel Paleolitico Superiore e che perdurano per millenni in tutta l’ Europa su statuette, su sigilli, su vasi antropomorfi, su stele di pietra, sulle pareti dei monumenti funerari.

Altri segni associati alla Dea sono i serpenti (c’ è da rilevare a questo proposito come Gimbutas eviti sempre di indicare la presenza di simboli fallici salvo quando questi siano rappresentati realisticamente per cui i serpenti sono serpenti, le pietre erette son pietre erette, i bastoni sono bastoni e così via) l’ uovo, gli occhi, la vulva che vengono collegati a significati di energia, di dinamismo, insomma del divenire. Per quanto riguarda il segno assunto come vulva, forma semicircolare, triangolare o a campana, con un segmento o un punto al centro a indicare l’ apertura vaginale, Gimbutas la ritiene la più antica rappresentazione della divinità femminile, incisa come pars pro toto sulle rocce nel periodo Aurignaziano circa 30.000 anni a. C. e ripetuta poi costantemente nell’ arte delle statuette delle epoche successive.

Naturalmente qui il problema posto dalle ipotesi di Gimbutas è il passaggio da un semplice segno femminile, (anche volendo ammettere che di questo si tratti e come lo indica per esempio Leroi-Gourhan) al concetto di divinità o addirittura ad una teologia. Sotto questo aspetto è indubbio che l’ autrice è piuttosto ardita dato che si è costretti a dare significati soprannaturali a manufatti che rappresentano con sempre maggior realismo col passare del tempo figure femminili con vulve rigonfie, oppure sedute in posizione di parto, che di per sé indicano soltanto l’ interesse e la preoccupazione per l’ avvenimento più importante e privo di possibilità di controllo da parte dei più antichi gruppi umani: il parto non si presentava infatti soltanto come portatore di vita ma come sforzo dolorosissimo, difficile e spesso portatore di morte sia per la madre che per il bambino (il parto viene ritenuto infatti dagli studiosi come la causa principale di morte per le donne dell’ antichità).

Si può essere d’ accordo con l’ autrice quando afferma che nell’ arte preistorica le donne incinte, le doppie uova e gli uomini con fallo eretto non sono simboli sessuali in senso stretto, ma simboli della fertilità, della potenza, dell’ abbondanza e riguardavano il perpetuarsi della vita e la preservazione delle forze vitali costantemente minacciate dalla morte, ma rimane pur sempre oscuro per noi se la raffigurazione artistica di questi simboli implicasse il concetto di divinità ad essi collegate.

D’ altra parte, per quanto suggestivo, il metodo di Gimbutas di seguire attraverso millenni i simboli dei reperti archeologici, ritrovandone a tutti i costi la continuazione nei miti e nelle credenze folcloristiche fino ai nostri giorni (un metodo che si presenta come una nuova disciplina, l’archeomitologia, che fonde archeologia, mitologia comparata, linguistica e folclore) si presta certamente a consensi entusiasti ma anche a profonde critiche e a prudenti dubbi. Si arriva, seguendo l’ itinerario proposto dall’ autrice, a ipotizzare la presenza di un’ unica Grande Dea con le funzioni essenziali di dispensatrice di vita, reggitrice di morte, rigenerazione e rinnovamento. Allusivi simboli sessuali Non soltanto Dea della fertilità, dunque, come si usa definire nella letteratura archeologica le immagini femminili paleolitiche e neolitiche, e non soltanto una Dea Madre, altro termine prevalente per la divinità preistorica e che Gimbutas ritiene erroneo.

Le Dee Uccello e Serpente da lei proposte non sono sempre madri, ma impersonano piuttosto la Vita, la Morte e la Rigenerazione. Una Grande Dea dunque, con un dominio assoluto e il potere creativo, distruttivo e rigeneratore. A questo punto l’ autrice trae le conclusioni del suo poderoso sforzo di analisi e passa dal significato dei reperti archeologici alle ipotesi sulle strutture sociali che vi corrisponderebbero: l’ arte incentrata sulla Dea, con la sua assenza di immagini guerresche e di dominio maschile, rifletterebbe un ordine sociale in cui le donne, come capi clan o regine-sacerdotesse ricoprivano un ruolo dominante. L’ antica Europa e l’ Anatolia, come la Creta minoica, erano una gilania, termine con il quale l’ Archeologa indica una società caratterizzata dall’ uguaglianza tra i due sessi. In seguito una cultura protoindoeuropea, in cui si addomesticava il cavallo e si producevano armi letali cambiò il corso della preistoria europea trasformando l’ antica cultura gilanica, pacifica e sedentaria, in una androcratica e guerresca. Su queste conclusioni, naturalmente, la discussione è aperta.

In mancanza di riscontri documentali di altra fonte, almeno per quanto riguarda il Paleolitico e il Neolitico Antico, gli interrogativi rimangono quelli che gli archeologi, i paleontologi, gli antropologi discutono da tempo: come sia possibile dedurre un concreto ordinamento sociale da un’ arte straordinariamente astratta, che non tende minimamente a rappresentare la vita quotidiana, l’ agire degli uomini e delle donne, ma che proietta su segni geometrici, su allusivi simboli sessuali, su stilizzate maschere di animali una visione del mondo profondamente misteriosa e che non potremo mai pensare di aver capito fino a quando non sapremo perché essa viene espressa soltanto attraverso segni, dato che è proprio questa costante scelta raffigurativa a testimoniare una particolare forma di concettualizzazione e un preciso sistema di pensiero, che è proprio quello che fino ad oggi non siamo stati capaci di spiegare.

Ida Magli

Fonte: http://ricerca.repubblica.it

Link: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/02/15/sotto-le-vesti-della-dea.html?ref=search

15.02.1990

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