L’ANNO DELL’ORSO: RIFLESSIONI SULLE DEPRIMENTI REALT DEL 2008

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DI CARLA ROYAL
Carolyn Baker

Per la vigilia di Capodanno sono andata a casa di un amico. Alcuni di noi si sono riuniti a metà pomeriggio per accogliere il nuovo anno in calma contemplazione, nel rituale, con meditazione e intenzioni profonde.
OK, veramente eravamo lì per guardare la partita. Che posso dire? Sono stata cresciuta in una famiglia di tifosi di calcio, ed è ancora nel mio sangue. Dato che non possiedo una televisione, sono andata a casa di un amico per guardare la partita. La verità è che ero lì nel tentativo di evitare di pensare al nuovo anno completamente.

Così i miei amici ed io ci siamo messi di fronte al televisore ed abbiamo cominciato a guardare la partita. La Georgia Tech contro qualcuno. La mia amica, Karen, tifa la Georgia Tech. In ogni caso anch’io ne sono tifosa. Essendo cresciuta in una famiglia con molti laureati dell’Università della Georgia, sono una tifosa agguerrita della Georgia Tech. Ma sono lì per fare il tifo e per dimenticare il 2008. Chiaramente, devo anche dimenticarmi del calcio; gli stipendi scandalosi, la corruzione, la violenza, il consumismo legato al gioco, ecc. Ma oggi metto tutto da parte. Oggi voglio puro intrattenimento!
Capitano cose buffe. Veramente. Dopo sei minuti dall’inizio della partita c’è un guasto ad un cavo. Dopo altri sei minuti siamo seduti di fronte allo schermo vuoto. Niente televisione. Niente partita. Ci lagniamo e lamentiamo, ma poi scoppiamo a ridere. Qualcuno chiama il provider televisivo. C’è un guasto ad un cavo in tutta la città. Rido e dico: “Beh ragazze, ecco il preludio. Vi lamentate di questo? Vedrete quando va in tilt l’intera rete elettrica”.

Passano le ore. Ci ritroviamo a ridere e a giocare. A parlare di lavorare a piccoli progetti insieme. Karen ed io riordiniamo le sue monete statali. Uno degli altri miei amici ci cucina il chili e l’altro bighellona in cucina. Bailey, la labrador gialla, sta seduta ai miei piedi aspettando che faccia cadere un’altra moneta così che lei può giocare a “rubarcela”. Buttercup, il mio cane, russa rumorosamente sulla cuccia di Bailey. Oddio, non c’è la televisione, non c’è la partita e ci stiamo davvero divertendo! Commentiamo proprio su questo fatto e ci rendiamo conto che non ci staremmo divertendo così se non si fosse rotto un cavo.

Karen ed io dobbiamo andare al negozio. Mentre ci avviciniamo al parcheggio mi accorgo di essere piuttosto irritabile. Dopo che abbiamo parcheggiato mi fermo un attimo per guardarmi dentro e vedere se riesco ad individuare il motivo per cui mi sento tanto irritata. Mentre rifletto, mi rendo conto a dire il vero di sentirmi triste e spaventata. Scopro che, sì, ho paura del 2008.

Leggo le notizie. Vedo quello che succede all’economia. So che il cambiamento climatico sta accelerando. So che l’acqua sta diventando più scarsa. So che le
provviste di cibo
si stanno riducendo, mentre i prezzi stanno salendo. Da tutto quello che posso constatare il petrolio è già al picco massimo. La bolla del mercato immobiliare è scoppiata. La scena politica è un mattatoio. Come ci fa notare
Richard Heinberg
, tutto ha raggiunto un picco massimo. Quindi ho paura. Davvero paura. Lo accenno a Karen. Non c’è tempo per contemplare queste cose proprio ora. Adesso è ora di comprare da mangiare e ritornare dai nostri amici.

Così ritorniamo a casa, continuiamo a cucinare, continuiamo a riordinare le nostre monete statali, continuiamo a giocare con Bailey, e continuiamo a ridere e a parlare. Mi sento un po’ meglio. Sono nuovamente in sintonia con i miei amici. Passano così le ore.

Qualcuno nota che il cavo funziona di nuovo! Ci riuniamo di fronte al televisore per guardare il resto della partita. A questo punto non so neanche più chi gioca, né me ne importa più niente. Mentre stiamo seduti ci isoliamo e diventiamo un po’ insensibili. Cerco di restare fino alla mezzanotte, giusto per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, ma sono vinta dalla stanchezza. La stanchezza, l’insensibilità, e un po’ di apatia. Il rituale del nuovo anno è finito per me. Quindi me ne vado a casa.

Guido verso la mia casa di campagna. Le luci sono spente e non si vede la luna. Esco dall’auto nella notte fredda e scura e faccio un respiro lungo e profondo. Sento immediatamente un’onda di calma infrangersi su di me. Guardo il cielo pieno di stelle brillanti. Sento il piccolo ruscello gorgogliarmi il suo conforto. Sorrido.

Entro in casa per prendere il mio nuovo flauto indigeno dei nativi americani. Sto imparando a suonarlo, e per le ultime tre settimane ho preso l’abitudine di andare fuori tutte le sere quando è già buio per suonare per la mia comunità non umana, per gli animali e gli amici della natura che popolano questo luogo, per le stelle, la luna e il dolce cavallo in cima alla collina dietro la mia casa. Suono per dare la mia buonanotte. Per dire vi voglio bene. Sembra che tutti ripetano lo stesso a me. Divento felice dentro.

Sveglio l’anno nuovo. Buon anno nuovo! Buon anno nuovo!

Solo che non mi sento felice. Mi sento spaventata.

Comincio la mattina del nuovo anno come faccio ogni mattina: leggendo le notizie al computer sullo stato del pianeta. Non sono buone. Non sono buone. Leggo delle
disgrazie delle proprietà immobiliari residenziali
. Leggo i gravissimi
pronostici per il 2008
di James Kunstler. Leggo che gli scienziati stanno dicendo che l’
Artico sta urlando
. Leggo che i mercati azionari sono sospesi al
limite del tracollo
. Leggo della
fine del mondo
così come noi lo conosciamo. E di più. Molto di più.

Decido di chiamare i miei amici Tim e Sally. Gli voglio augurare Buon Anno, in modo scherzoso. Risponde Sally al telefono. “È Royal, C.”, dice. È così che compare il mio nome sull’identificatore di chiamata del suo telefono, ed è questo che dice ogni volta che mi risponde. E poi dice “devi aver saputo che stavo piangendo”.

“No” dico io, “ma anch’io ero in trambusto”. Lei è triste. Piange la morte e la distruzione. Tim prende l’altro telefono così possiamo parlare tutti e tre. Dico che ho paura del nuovo anno e sono triste. Dico che ho paura di quello che ci attende. Tim dice “mi sembra una sana reazione”.

Sì, lo è. È una sana reazione guardare onestamente alla situazione del mondo e sentirsi spaventati e tristi. E ci si sente normali nel parlare ad altri che guardano onestamente alla situazione del mondo e sentirsi come loro attraverso la paura e il dolore fino ad un luogo di responsabilità e decisionalità.

Parliamo per un po’. Gli parlo del documentario,
In the Light of Reverence
, che Karen ed io abbiamo visto l’altra sera. È un film su tre diverse tribù di indigeni americani e sulla loro relazione con i luoghi che considerano sacri. Gli dico che guardare questo film è stata un’esperienza potente, commuovente e esasperante. Noi bianchi abbiamo un’incredibile tendenza, predilezione, ad isolarci da noi stessi e dal mondo naturale. Uno studioso indigeno americano della tribù del
Lakota
ha parlato di una differenza fondamentale nelle visioni del mondo tra la popolazione americana bianca e la popolazione indigena americana. Noi bianchi americani tendiamo a pensare in termini dei nostri “diritti”. Io ho un diritto alla libertà, alla felicità, a questo pezzo di terra, alla mia individualità, alla mia “roba”, al mio stile di vita. Quanto significativo è il fatto che il nostro stesso governo abbia dichiarato che il nostro stile di vita non è negoziabile! Perciò, come americana bianca, ho diritto ad avere la mia stazione sciistica su suolo sacro. In evidente contrasto, gli indigeni americani tendono a pensare in termini di “responsabilità”. Chiedono: qual è la mia responsabilità verso questa vita, questa comunità, questo pezzo di terra, il mondo intero?

Sono stata così colpita da questo contrasto. Così colpita. Ho questo contrasto in testa da giorni ormai. Diritto o Responsabilità.

Mi interrogo su queste differenti visioni del mondo. È qui che noi bianchi “civili” abbiamo sbagliato? In qualche modo, in qualche momento siamo scivolati giù da quel pendio pericoloso dalla responsabilità ai diritti. È stato forse quando abbiamo deciso che avevamo un diritto a reclamare questo pezzo di terra dove coltivare quello che vogliamo per noi, piuttosto quello che vuole darci? È stato quando abbiamo messo un recinto intorno a quel pezzo di terra ed abbiamo detto “Questo è mio? Ho diritto a questa terra!”? È stato quando abbiamo iniziato a guardare gli altri come separati da noi stessi? Diamine, ho diritto a quella merce a basso costo di Wal-Mart. Io non sono responsabile per quelle povere persone che lavorano come schiave in altri paesi per produrre merci a basso costo per me. Dopotutto, scelgono il loro destino. E io ho scelto il mio, come è scritto in “The Secret” [ndT. di Rhonda Byrne].

La notte scorsa ho fatto un sogno. Ho sognato che stavo parlando con una persona che crede che tutto vada bene nel mondo. Ho parlato di picco del petrolio, di cambiamento climatico, di crescita della popolazione e di estinzione delle specie. Le ho detto che si estinguono ogni giorno 200 specie. Duecento dei MIEI amici si estinguono ogni giorno. Nel sogno ho pianto e pianto.

Mi sono svegliata. E tuttavia altri duecento amici sono morti quel giorno e anche il giorno dopo. Qual è qui la mia responsabilità?

Il giorno successivo ho fatto un altro sogno. Ho sognato di lottare con un grande Orso Nero. Sapevo di essere nei guai, ma per qualche ragione non ero nel panico. Ho tuttavia pregato per la mia vita. Pur non essendo sopraffatta dal panico e pur non sforzandomi, mentre lottavamo sentivo che stavo lavorando davvero duramente per qualcosa. Nel sogno sono sopravvissuta. Mi sono svegliata sentendomi più responsabilizzata.

Qual è qui la mia responsabilità? A quale opera il grande Orso Nero vuole che io lavori con grande impegno? Quanto responsabilizzata mi sentirò se compirò quest’opera? Io qualche idea ce l’ho. E vorrei chiedere agli altri: “Qual è il tuo lavoro? Qual è la tua responsabilità? Lo sai? Mi stai ascoltando?”

E perciò penso e ripenso a questa questione dei “Diritti” contro le “Responsabilità”. Che succederebbe se tu ed io, e noi tutti, cominciassimo a muoverci da una mentalità dei “diritti” verso una mentalità della “responsabilità”? Cosa significherebbe per me, per te? A livello pratico? Oggi?

La settimana scorsa ho letto un articolo intitolato
Hallowing our Descent
di Sharon Astyk.

Come potremmo iniziare a “santificare” la nostra discendenza? Il primo pensiero sarebbe di riconoscere i nostri compagni che entrano nel futuro – nominiamoli “energia picco” “cambiamento climatico” e “esaurimento” e chiamiamoli per quello che sono – il nostro futuro, e i nostri compagni per molto tempo. Poiché una volta riconosciuti, potremmo essere capaci di conoscerli, di superare le nostre paure più profonde che se guardassimo al futuro troppo da vicino non saremmo in grado di tollerarlo, e di riconoscere e continuare da lì. Forse se li vedessimo come i nostri compagni del futuro, potremmo essere capaci di superare il nostro stesso senso di punizione personale – il credere, per esempio, che la nostra sofferenza sia particolare, e profondamente importante. Ossia, potremmo essere in grado di riconoscere che abbassare il riscaldamento a 55ºF (12,7° C) non è una crudeltà ingiustificata, ma semplicemente quello che ci viene richiesto, la nostra parte di fardello. Forse saremmo persino capaci di sviluppare un senso dell’umorismo al riguardo.

Fare del picco del petrolio, del cambiamento climatico e dell’esaurimento i miei compagni? A lungo? Riconoscerli? Conoscerli? È matta?

Non lo credo. No, credo che ci sia saggezza nelle sue parole. Questi “compagni” STANNO con noi a lungo.

Dobbiamo camminare in questa consapevolezza e raggiungere un luogo di accettazione. Mentre attraversiamo il dolore e la disperazione, possiamo iniziare ad uscire da un senso di diritto verso un luogo di responsabilità e decisionalità. Possiamo entrare nell’opera a cui ci chiama il grande Orso Nero. Dobbiamo chiederci, ogni giorno, quello che ci viene chiesto. Qual è la mia parte del fardello? Per cosa e di fronte a chi sono responsabile?

Ieri ho ricevuto un’e-mail da qualcuno profondamente disperato. Mi chiedeva se avevo delle risposte per lui – una ragione di vita. Ho risposto che non ho risposte, ma solo domande. Questo è quello che ho scritto:

Non ho risposte per te. Nessuna. Ho pensieri. Ho nozioni. Ho emozioni. Ma nessuna risposta.

Quello che so è che perdere la speranza può essere una cosa positiva. A volte dobbiamo essere nella più completa disperazione prima che possiamo vedere alternative. A volte la disperazione apre parti di noi stessi di cui non conoscevamo l’esistenza. A volte la disperazione può aprirci a nuovi modi di vedere.

Ho perso anch’io tutte le speranze che lo stato di questo paese e del mondo migliorino. Ho anch’io trascorso gran parte del mio tempo nella disperazione. Sono stata anch’io sull’orlo della morte in passato.

Ho scoperto che mentre mi abbandonavo alla disperazione e rinunciavo ad ogni speranza per questa cultura, si apriva un nuovo modo di vedere. Un nuovo modo di essere. Quello che sto constatando è che qualcosa di nuovo si forma dentro di me mentre guardo al mondo. A mia opinione dobbiamo lasciare che questa cultura vecchia, sciupata e distruttiva, muoia. Non c’è più speranza lì.

Dobbiamo costruire qualcosa di nuovo e non possiamo farlo senza lasciar prima andare il vecchio. Quel qualcosa di nuovo avrà bisogno di fantastici musicisti come te, per aiutarci nel momento di transizione dal vecchio al nuovo. Siamo in quella transizione ed è straordinariamente doloroso e difficile e tutti soffrono in vari modi. Abbiamo bisogno di musicisti, artisti e di chi ci guarisca, che sappiano toccare i nostri spiriti per accompagnarci attraverso questa morte e rinascita. Non credo che ce la faremo in altro modo.

Perciò non ho risposte per te, ma credo che le abbia tu. Credo che nella disperazione ci sia un uomo saggio e coraggioso che sa cosa gli viene richiesto. Qual è la tua responsabilità se guardi al problema attuale del mondo con gli occhi spalancati? A che cosa vieni chiamato mentre questa cultura crolla? Stai portando il crollo nel tuo corpo, nella tua mente? Dandogli espressione in questa maniera? Quale opera vuol realizzare dentro di te il crollo? Puoi rinunciare a te stesso per questa? E vedere cosa c’è dall’altra parte? Siamo in un periodo della nostra storia mai avvenuto altre volte.

È una storia grande, molto grande e credo che abbiamo grandi ruoli da svolgere se ci entriamo dentro. Lo farò io? Lo farai tu?

Perciò vedi, non ho risposte. Solo domande.

Entra nella disperazione, amico mio e lascia che ti guarisca.

Vai al tuo pianoforte e suona per questo mondo che crolla. Ogni notte suono il flauto per il mondo naturale. Per dire vi amo. Per dire mi dispiace. Per dire buona notte. Suonerai anche tu per loro? Suonerai per me? Suonerai per questo mondo morente?

Lo spero. Abbiamo bisogno di te.

Sto in compagnia di questo nuovo anno da parecchi giorni ormai. Ho ancora paura, ma il grande Orso Nero mi incoraggia ad entrare nella responsabilità. Le Stelle, gli Uccelli, gli Alberi e i Ruscelli hanno qualcosa di grandioso in serbo per me. Mi espando e mi restringo e mi restringo e mi espando. E così facendo, Tim mi ricorda, si formano crepe e gli strati vecchi cadono al suolo, consentendo a qualcosa di nuovo di emergere.

Qualcosa di nuovo STA emergendo. Questo è qualcosa di nuovo diverso da qualsiasi altra cosa che noi esseri umani che viviamo oggi abbiamo mai visto. Ma forse le Rocce l’hanno già visto. Forse anche i Ruscelli. Forse anche le Montagne. Forse se ascoltiamo ci sveglieranno e ce lo ricorderanno.

La parte della mente che ci è oscura in questa cultura, che dorme in noi, e che noi chiamiamo ”inconscio”, è la conoscenza che siamo inseparabili da tutti gli altri esseri viventi nell’universo. (Susan Griffin)

Carla Royal, M. Ed., terapista e mentor, vive ora a Blacksburg, Virginia dove ha un ambulatorio di mentoring, Beyond Therapy [ndT. Oltre la Terapia]. Lavora sia a contatto diretto con il pubblico che via e-mail. Per saperne di più sui suoi servizi potete visitare il suo sito internet http://www.carlaroyal.net/ o contattarla all’indirizzo e-mail [email protected] .

Fonte: carolynbaker.net
Link: http://carolynbaker.net/site/content/view/275/
11.01.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di MICAELA MARRI

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