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La Redazione

 

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L’AMBIENTALISMO DEBOLE DI AL GORE

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A cura di Davide
Il 21 Marzo 2007
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DI PAOLO BOGNI

La scomoda verità confessataci da Al Gore nel documentario (1) che lo vede protagonista è di quelle che fondano (tra molte altre non meno gravi) il complessivo significato dell’epoca in cui viviamo: l’epoca dell’occidente americanocentrico. Al Gore ha il merito – l’unico suo merito – di mettere in gioco la propria fama per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale intorno ad uno dei più gravi problemi che colpiscono attualmente il nostro pianeta: il progressivo riscaldamento globale causato quasi esclusivamente da azione umana. Se un altro personaggio della sua levatura – dell’Establishment politico statunitense – si fosse impegnato, ad esempio, a sensibilizzare su scomode verità artatamente celate negli eventi dell’11 settembre 2001 di New York, ci saremmo risparmiati tutte le mirabolanti fantasie hollywoodiane intorno alla rete globale del terrorismo islamico che minaccia il “migliore dei mondi possibili”.

Per provare la responsabilità antropica del progressivo aumento del riscaldamento globale, Al Gore fa riferimento a studi compiuti da ricercatori dell’università di Berna dell’istituto di Fisica e il European Project for Ice Coring in Antarctic. I risultati di questi studi(2) mostrano come nei ghiacciai dell’Antartide le concentrazioni di anidride carbonica siano di molto superiori a qualsiasi altro periodo degli ultimi 650.000 anni. Gore tiene in conto anche di studi compiuti dal suo Professore universitario Roger Revelle, Docente ad Harvard. Oggetto di analisi di quest’ultimo fu la concentrazione, e la conseguente misurazione, dell’anidride carbonica nell’atmosfera. In altre parole, l’aumento del biossido di carbonio nella nostra atmosfera negli ultimi 150 anni è dovuto in grandissima parte alla combustione di carburanti derivati dal petrolio. Lo sviluppo economico industrialista di questi ultimi due secoli è perciò la causa prima del progressivo riscaldamento globale del pianeta. Non ci sono precedenti nella storia del pianeta che provino quanto l’azione umana (come quella odierna) possa così significativamente incidere sul clima. Le conseguenze sono già da oggi preoccupanti e, in prospettiva, anche disastrose. Alluvioni, siccità, epidemie e ondate di caldo letali mai registrate prima; problema di approvvigionamento idrico; aumento di tifoni, uragani e tornado; aumento delle estinzioni di specie animali e vegetali. Scioglimento di buona parte dei ghiacciai del pianeta con conseguente innalzamento del livello degli oceani e sfollamento di centinaia di milioni di uomini dalle coste destinate alla sommersione. Al Gore pone dunque un problema d’indubbia serietà, argomentandolo con dati e studi confutabili solo ricorrendo al cabaret o alla malafede.

Tuttavia, non sempre un problema che viene giustamente presentato è affrontato nella doverosa complessità anche da chi se ne fa sinceramente carico, come ad esempio il problema del riscaldamento globale posto dall’ambientalista Al Gore. La presentazione e l’illustrazione dei dati, con la dimostrazione del rigore scientifico che ne sta a monte, non sono sufficienti per combattere un problema che non è soltanto un problema di dati scientifici o di numeri fini a loro stessi e alle scienze sperimentali di cui sono oggetto. Sono anche quello ma non solo quello.

Il complessivo pensiero ambientalista di Al Gore è denso di omissioni, deficienze di analisi, reticenze e contraddizioni. Inoltre, non c’è proporzione in Gore tra l’enormità del problema da lui posto e l’insufficienza delle proposte messe in campo per contrastarlo.

Sono almeno dieci le argomentazioni critiche con cui giustifichiamo la debolezza (e l’impotenza) del pensiero ambientalista goriano:

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1) L’ex vicepresidente degli Stati Uniti d’America non comprende l’irriformabilità assoluta dell’economia capitalistica legata indissolubilmente alla crescita indefinita e costante, con l’adozione eterna di un parametro particolare: Il Prodotto Interno – e Internazionale – Lordo che deve continuamente aumentare.

2) Al Gore non comprende l’inevitabilità di un mondo diviso in due dalle necessità del sistema capitalista: da un lato un mondo di servizi e di iperconsumi delle merci (con il lavoro sempre più flessibile, insicuro e precario) e dall’altro un mondo di fame, ipersfruttamento, morte, miseria e produzione a basso costo delle merci. E se anche la comprende, egli non la addebita al capitalismo, in quanto esso non è, a suo dire, un sistema economico globale di sfruttamenti, bensì il sistema economico (il migliore possibile…) del solo mondo occidentale. La povertà e la miseria del mondo povero, secondo Gore, non è la conseguenza della sottrazione assassina di risorse ma è dovuta all’esclusione(!) del Sud del mondo dal mondo dei ricchi. Mondo che può essere conosciuto (beata ingenuità, nella migliore delle ipotesi…) adottando i criteri che metterebbero i paesi poveri nella lista delle nazioni “in via di sviluppo(!!)”.

3) Al Gore non mette in relazione i dati riferiti alla società iperconsumistica occidentale (Nord del mondo) e la sua stringente necessità di energia e di materie prime. La teoria falsissima dei compartimenti stagni(3) è sostanzialmente accettata da Gore e ciò gli impedisce di comprendere fino in fondo che è l’occidente consumista che necessita di petrolio in misura sempre maggiore. Gore, dunque, tratta il dato dell’aumento progressivo di anidride carbonica nell’atmosfera come se fosse solo il frutto della combustione derivata dall’uso del petrolio come fonte energetica, senza indagare, però, il complesso sistema entro il quale questa combustione ha un senso e un significato.

4) Di conseguenza, in Gore persiste un’ambiguità di fondo: nella sua proposta (eccellente in sé e per sé) di introdurre nei cicli produttivi le energie alternative – eolica, solare, biocarburanti,… – vi è solo un intento sostitutivo. Le energie alternative, invece, non devono semplicemente sostituire il petrolio. Al contrario di quello che prospetta Al Gore, esse devono combinarsi (con diversa applicazione, ovviamente, tra le aree del Nord e quelle del Sud del mondo) con graduali e programmate economie regionali inter-statali (Area del Mediterraneo, America Latina, Nord America, Africa nera, Europa centrale con Russia, Area Caucasica, Asia, ecc.) tese alla Decrescita economica, alla sovranità monetaria di ogni singola comunità e alla rimozione dello sfruttamento insito nell’attuale rapporto tra capitale e lavoro. Decrescita economica che impone e presuppone il controllo politico delle produzioni ed educazione alla sobrietà, di contro alla filosofia dell’aumento indeterminato della produzione capitalistica in atto e alla psicosi dell’iperconsumo del malato terminale occidentale. Economie regionali finalizzate alla dignitosa esistenza delle Comunità tra loro federate. Economie comunicanti attraverso il controllo politico e non certo regolate da trattati internazionali inneggianti al libero mercato! Gore commette il grave errore di pensare alla riduzione del CO2 senza disturbare i concetti di crescita, sviluppo economico, progresso e massificazione dei bisogni. Ma sono proprio questi i nodi della modernità da sciogliere ed eliminare se si vogliono seriamente combattere il riscaldamento globale e altre mille miserie prodotte dall’occidente capitalista americanocentrico.

5) L’approccio di Al Gore al problema del riscaldamento progressivo del pianeta è globale, e da un punto di vista del metodo e dei criteri scientifici con cui raccoglie i dati non si può negargli la validità dell’opera. Il gravissimo limite teorico della sua analisi, però, risiede nella mancanza della riconoscibilità del sistema (interazione tra economia capitalista, informazione, apparati militari, standard consumistici, apparati pubblicitari, politica, …) in cui ha luogo l’aumento vertiginoso del riscaldamento globale. Questo sistema si chiama Occidente americanocentrico(4). Gore ha una visione antisistematica delle singole voci, come se tra loro fossero autonome e incomunicabili. In questo modo non mette in relazione la concentrazione del biossido di carbonio nell’atmosfera e la dittatura globale del Capitale.

6) Tutte queste deficienze di analisi trovano il loro compendio nella più grave delle omissioni che un ecologista possa commettere: quello di eludere il complessivo significato nichilistico dell’occidente americanocentrico. Il Nulla elevato a valore “esistenziale” dalla prassi iperconsumistica di un sistema economicista. Il Nulla che autoreferenzialmente si maschera da migliore dei mondi possibili e trascina (inconsapevolmente??) l’intero pianeta in un abisso senza fondo, attraverso una lenta pratica di suicidio di specie.

7) La proposta d’investimento della Politica, da parte di Gore, come luogo delle decisioni e della responsabilità d’intervento sulla questione del riscaldamento globale risente di una gigantesca contraddizione. La Politica come luogo di decisione richiederebbe un fondamento platonico-aristotelico(5) completamente assente nell’occidente liberale, alfiere dello stato leggero. Quel che oggi è definita politica nell’occidente americanocentrico, compresa quella in cui è “protagonista” Al Gore, è null’altro che un fattore dell’economia e da essa dipendente. E lo è palesemente.

8) Gore confida, a torto, sulle capacità taumaturgiche dell’americanismo “buono”. In realtà, non esistono un americanismo buono e uno cattivo. Esiste uno e un solo americanismo: quello imperialista. Fin dall’atto della loro fondazione, gli USA incarnano l’idea dell’eccezionalismo messianico, della nuova terra promessa che ha la missione di civilizzare il mondo; l’idea che dà loro il potere di esportare la propria idea di libertà (negando quella degli altri, che o sono servi o sono canaglie…); l’idea della libertà di mercato e della massificazione dei bisogni come parametro fondamentale del benessere dell’individuo “libero” (di iperconsumare o crepare di fame a seconda della residenza). E, soprattutto, la mitica idea della frontiera che si sposta progressivamente in tutto il pianeta, predisposto alla completa annessione dell’“atmosfera” emanata dalla Statua della libertà newyorkese(6). L’imperialismo americano è, dunque, il male da combattere. Anche per contrastare il riscaldamento progressivo del pianeta.

9) L’armonia tra l’uomo e la natura è una verità incontestabile dal punto di vista della prospettiva ecologista. Se anche solo si ammette l’indebolimento di questa particolare categoria ontologica, ogni discorso ambientalista è destinato all’impotenza. Si ammetterebbe, cioè, che la rottura avvenuta nella modernità implica semplicemente delle correzioni in corsa dell’agire (economicista) umano. Ma non la sua messa in discussione, non ritenuta necessaria per la salvaguardia dell’ambiente e per la risoluzione in generale dei problemi ecologici. L’indebolimento o la negazione dell’ armonia porta il pensiero a scindere la soggettività umana dall’oggettività della natura. Di conseguenza, quest’ultima diviene mero strumento nelle mani dell’uomo occidentale e delle sue sconsiderate mire prometeiche(7). Gli effetti di questa strumentalità sono evidenziati da due secoli di industrialismo esasperato, con l’economia capitalista nella veste di principale responsabile dei dissesti ecologici; ivi compreso l’aumento vertiginoso dell’ossido di carbonio nell’atmosfera. Il pensiero di Al Gore si pone all’interno della modernità occidentale, fortemente connotata dall’imperialismo USA, e presuppone la strumentalità della natura nel quadro dell’indebolimento ontologico dell’armonia. Negando l’esistenza di un sistema armonico tra uomo e ambiente, Gore è “costretto” a negare anche l’esistenza di un altro sistema (l’occidente capitalista americanocentrico) che ne determina la crisi profonda e da cui scaturisce la rottura tra pensiero umano e natura. Il discorso antisistematico dell’ex vicepresidente degli USA non può che approdare ad una serie di proposte configurabili in parziali correttivi e misure tampone. Nulla, però, che radicalmente metta in discussione il sistema che genera le catastrofi ambientali, che genera ingiustizie sociali, che genera guerre in serie e che tende ad azzerare le diversità culturali planetarie.

10) L’ambientalismo debole di Al Gore(8) è l’ultima variabile all’interno del filone culturale dello sviluppo sostenibile(9). Ma un ambientalismo che voglia testardamente conciliare un’economia sviluppista con la salvaguardia dell’ambiente oltre che debole è pure sterile e ottuso. E, soprattutto, è funzionale agli esiti finali dell’occidente capitalista americanocentrico. E’ in atto, da parte del sistema capitalista globale, un chiaro tentativo gattopardesco di cavalcare le preoccupazioni ambientaliste per volgerle a proprio favore e per mantenere intatti i propri interessi di accumulazione. In questa ottica sono da leggersi gli ultimi eventi che hanno visto protagonisti George Bush (per conto della Ford e della General Motors…) e Inacio Lula, presidente brasiliano, autori di un accordo – 12 marzo 2007 – che prevede la cooperazione USA-Brasile nella ricerca sui biocarburanti. Oppure la proposta del ministro delle Finanze Gordon Brown, per conto del governo britannico capitanato da Tony Blair, che ha in programma di proporre a tutta l’Unione Europea un nuovo obiettivo che riduca le emissioni di anidride carbonica del 30% entro il 2020 e del 60% entro il 2050. O, anche, l’accordo raggiunto dai 27 capi di governo al Consiglio dell’Unione Europea – 9 marzo 2007 – che prevede un obiettivo vincolante del 20% entro il 2020 del totale dei consumi di energia da fonti rinnovabili.

In realtà, gli obiettivi del sistema capitalista globale, mentre muove le proprie pedine politiche, sono sostanzialmente due. Uno a breve; rimettere in gioco la non inquinante (se non in caso di malaugurati quanto frequenti e inquinantissimi incidenti…) energia nucleare. Il secondo, più a lungo termine, è quello di gestire la sostituzione dell’attuale fonte energetica inquinante con energie sostitutive – in primis quelle rinnovabili – prendendosi il tempo necessario per modificare le strutture di produzione. Intatti, però, rimarrebbero gli stessi effetti provocati dall’attuale globalizzazione capitalistica. Mondo diviso in due tra pochi iperconsumisti e molti candidati alla morte per fame e malattie; catastrofi ecologiche previste e realizzatesi; l’acuirsi delle ingiustizie sociali; l’annichilimento delle diversità culturali planetarie e la progressiva riduzione della persona ad individuo. Perché il tasso altissimo della concentrazione della CO2 è un male che rimanda ad un male più grande: l’occidente capitalista americanocentrico. E Al Gore, malgrado la sincera passione ambientalista(10), ne è una sua proiezione.

Paolo Bogni
20.03.2007

NOTE:

1) “An inconvenient truth” (Una scomoda verità), 2006; Regia di Davis Guggenheim; Casa distributrice Paramount Classics.

2) Questi studi consistono in analisi su carotature di ghiaccio prelevato nei diversi livelli stratificatisi durante gli ultimi 650.000 anni.

3) Teoria liberista secondo la quale tra un obeso iperconsumista di New York e un povero denutrito e moribondo del Bangladesh non c’è nessun tipo di relazione. Tra i due diverge, sfortunatamente per il secondo, l’appartenenza o meno al regime del libero mercato e delle molteplici possibilità di accesso alle merci e/o servizi. Sembra incredibile, ma un’idiozia del genere è accettata da una significativa parte dell’opinione pubblica occidentale.

4) Non possiamo tacere del fatto che Al Gore, in qualità di vicepresidente degli Stati Uniti d’America, è stato complice di Bill Clinton e dell’Amministrazione americana quando, nella primavera del 1999, gli USA invasero la Serbia – con l’Europa zitta e serva – e a più riprese bombardarono Belgrado con la scusa di una missione umanitaria e in risposta ad un genocidio inesistente (le famose fosse comuni di 500.000 kosovari sono un’altra delle tante menzogne propagandistiche americane dell’ultimo decennio. A guerra finita, dati ONU alla mano, nelle fosse comuni vennero ritrovati circa 2000 cadaveri, e una parte erano quelli di paramilitari serbi. Dove fossero spariti gli altri 498.000 cadaveri, la stampa e la televisione occidentalista non ce l’hanno mai fatto sapere…). E’ impossibile, dunque, che Al Gore possa mettersi seriamente contro l’occidente americanocentrico e le sue logiche predatorie e assassine. Semplicemente perché quello è il suo mondo, oltre a quello del suo connazionale George Bush.

5) Mancano le Polis e gli edifici istituzionali che incarnino e siano sintesi dei valori di una Comunità. Mancano Stati sovrani del proprio destino e rispettati nella propria diversità culturale. L’Europa, a riguardo, è paradigma di questa decadenza. Al posto di Comunità e Popoli autodeterminati, oggi esistono parlamenti locali sempre più subordinati ai poteri forti economici e tutta una serie di organizzazioni transnazionali più o meno riconducibili alla stessa ratio: quella che ordina la garanzia internazionale del libero mercato di merci e capitali. A scapito delle sovranità nazionali e delle proprie politiche comunitarie.

6) L’atmosfera è da intendersi nei due sensi. Sia in quello fisico, laddove è protagonista il famigerato biossido di carbonio, la cui emissione è garantita dal popolo americano nella misura del 30% (pur essendo esso solo il 4% della popolazione mondiale). Sia in quello epocale, laddove la cultura americanista imperversa nel villaggio globale sempre più ridotto ad una gigantografia di New York.

7) Il mito di Prometeo ha un senso se viene interpretato tenendo conto della necessità (a priori) dell’armonia dell’uomo con la natura. Il fuoco modella la natura, la plasma; rende l’uomo più naturale e la natura più umana. Ma il fuoco non incendia la natura. Non rende la terra un deserto di cenere. Si “limita” a scaldare la creatività dell’uomo. La modernità ha completamente travisato questo mito, trasformando l’uomo occidentale in un dio creatore: creatore del nulla. Un dio creatore che ha perso il senso del limite e ha completamente reciso ogni legame con la terra e con la storia.

8) L’implicito parallelismo con il pensiero debole di Gianni Vattimo, che viene da noi ripreso per la caratterizzazione intorno all’indebolimento delle categorie ontologiche e la consequenziale precarietà del concetto di “verità”, non può esimerci, però, dal ricordare che il filosofo torinese è uno dei pochi (pochissimi…) intellettuali della sinistra italiana che radicalmente si è permesso di mettere in discussione il concetto di sviluppo economico.

9) Lo sviluppo sostenibile, come qualsiasi altro sviluppo economico altrimenti aggettivato (solidale, equo, …), è da noi fortemente criticato nella sua essenza in quanto cade anch’esso all’interno della modernità. In quella modernità in cui è non solo accettata ma addirittura posta come precondizione la rottura tra il soggetto (pensiero umano) e l’oggetto (natura). Ciò non toglie che all’interno della complessa letteratura riferita a questa importante corrente culturale ambientalista (che viene fatta risalire a partire dai lavori compiuti da Aurelio Peccei) vi siano studi e analisi di tutta dignità e di enorme valore che, pur senza radicalmente combatterlo, mettono in risalto limiti e contraddizioni dello sviluppo economico occidentale.

10) Riteniamo che Al Gore conduca la sua battaglia in assoluta buona fede. Conosciamo bene, però, come il sistema occidentalista sappia creare ad arte gli eroi e i paladini delle buone intenzioni. Molto spesso, utili idioti al servizio del pluralismo funzionale al teatrino dell’occidente democratico. Così come, al contrario, elabori le figure degli stati canaglia e le reti globali del “terrorismo”. La spettacolarizzazione dell’immaginario collettivo, laddove il bene e il male assumono le forme dell’assoluto, è la “migliore” invenzione propagandistica dell’occidente americanocentrico. Per esempio, nell’indicare all’opinione pubblica gli avversari(!) politicamente corretti e designati ufficialmente (l’ambientalista Al Gore, il banchiere dei poveri Yunus, il senatore Turigliatto, il No(?)Global Casarini, ecc..).

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