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La Redazione

 

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L'AFFAIRE NORMAN ATLANTIC

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A cura di Davide
Il 1 Gennaio 2015
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DI CARLO BERTANI

carlobertani.blogspot.it

E’ la solita storia di errori ed omissioni, che deve essere presentata alla popolazione con molti tweet accorati: tutti pensano alla nave in fiamme in mezzo all’Adriatico, tutti se ne occupano, tutti si sforzano, tutti chiedono che si faccia presto, tutti s’impegnano. Tutti si chiedono se la vicenda, politicamente, non li toccherà.

La storia marittima italiana è costellata di queste vicende assurde, a partire dalla Tito Campanella per giungere, passando per il Moby Prince e la Haven (due disastri a 12 ore di distanza ed un centinaio di miglia l’uno dall’altro!), poi lo sfregio della Concordia con il suo comandante “guappo” – che non rispetta le più antiche regole della marineria – per giungere oggi alla Norman Atlantic.

Sorvolando che – nello stesso giorno, il 28 Dicembre 2014 – una mercantile turco, il Gokbel, è stato speronato a tre miglia dal porto di Ravenna (praticamente, in rada) da un altro mercantile, il Lady Aziza, battente bandiera del Belize: due navi modeste, così come modesti sono stati i risultati dell’impatto. Il Gokbel è colato a picco all’istante, portando negli abissi sei marinai (1).

La ragione? Una tempesta di neve mista a nebbia. A tre miglia dalla costa: tre ore dopo – come si nota dalle foto scattate dai soccorritori – non c’era più traccia di neve e di nebbia: certo, il tempo in mare è balzano…però… La condizione in cui vive la marineria italiana è oggi, prevalentemente, un incubo.

Tutto è soltanto una questione d’immagine – ricordiamo la drammatica telefonata fra Schettino e De Falco, dove il militare gli ordinava di risalire a bordo – che è stato solo uno scoop mediatico: dalla sua posizione – a Grosseto – l’ufficiale militare non era in grado di giudicare quale fosse la miglior posizione per coordinare i soccorsi. Schettino aveva già mostrato tutta la sua incapacità, come marinaio, prima: quando aveva condotto il suo “bestione”, che pescava 8 metri, in un “campo” di scogli dove non s’avventurano neanche le barche a vela (che pescano 1,5 – 2,5 metri). La corruzione imperversa anche in mare o, perlomeno, fra coloro che dovrebbero controllare le condizioni delle navi: ricordiamo che una nave come la Haven – definita, dopo il naufragio (unica superstite della sua classe di quattro unità, tutte naufragate) “un colabrodo galleggiante” – aveva appena superato i collaudi di rito. E sì che aveva appena preso un missile Exocet in pancia: quello a Genova, fu l’ultimo viaggio dopo l’assalto della marina iraniana e le (sbrigative?) riparazioni eseguite a Singapore.

Ma veniamo all’ultima tragedia. La Norman Atlantic era partita a notte fonda da Igoumenitsa, sulla rotta Patrasso – Igoumenitsa – Ancona: le condizioni del mare erano proibitive, forza 8-9, vento a 50 nodi (quasi 100 Km orari) ed onde alte più di sei metri. La nave però, almeno all’inizio della traversata, gode di un vantaggio: naviga nel canale fra l’isola di Corfù e la terraferma, che dona un po’ di requie e maggior riparo. La pratica di navigare fra le isole e la costa è molto attuata in Adriatico in caso di tempeste: spesso, le navi “entrano” nel canale fra le isole a Dubrovnik (Ragusa) e ne escono a Split (Spalato). Alle prime ore del giorno, però, la Norman Atlantic esce dal riparo naturale e viene presa in pieno dalla tempesta: qui, bisogna analizzare attentamente il comportamento del comandante – Argilio Giacomazzi, 62 anni della Spezia – perché qui nasce la tragedia, non dopo.

Fatto salvo che Giacomazzi ha dimostrato d’essere un comandante serio (i paragoni con Schettino si sprecano, sulla stampa e sui media), c’è da dire che la responsabilità della tragedia di qualcuno deve essere, e non vale un’assoluzione generale consolatoria, né un’inchiesta che condurrà ad un processo chissà dove e chissà quando. Sempre che il magistrato conceda, e non decida per un “non luogo a procedere”. Perché di responsabilità, Giacomazzi, ne ha: ricordiamo che il comandante, sulla sua nave, è padre e padrone, Dio ed Imperatore. Con tutto ciò che ne consegue.

Il primo punto: la nave non era in buone condizioni, lo dimostra il rapporto (2) conseguente all’ultima ispezione (eseguita a Patrasso il 19 Dicembre scorso), dove si parla di porte “taglia fuoco malfunzionanti”, “mancanza di alcuni sistemi di sicurezza” e di problemi strutturali (fatto assai grave) che non sono ritenuti all’altezza degli standard vigenti. Nonostante ciò, la nave non viene fermata e di tutto ciò Giacomazzi era al corrente. Secondo punto: avvisato per tempo delle proibitive condizioni meteorologiche, il comandante decide comunque di gettarsi in mare aperto puntando direttamente su Ancona. A tal riguardo, vorrei ricordare un fatto del quale ho serbato ricordo.

A Novembre 2012, ci fu una forte tempesta sul Tirreno Settentrionale e nel porto di Savona si rifugiarono tre navi della Costa Crociere. Una delle tre navi ricevette dalla compagnia l’ordine di prendere il mare per la consueta crociera, ma il comandante si rifiutò e la nave rimase in porto: nulla smosse il comandante dell’unità dalla sua decisione. Questo per ricordare che è solo il comandante a decidere e, se non teme ritorsioni da parte dell’armatore, la sua decisione è legge. Sempre che abbia le palle.

Le due cause primigenie s’uniscono quando inizia l’incendio, che narrano sia stato generato dallo sfregamento d’alcuni camion carichi d’olio contro le paratie o contro il soffitto dell’apposito locale. Una giustificazione che appare assai strana: qui, qualcosa non torna. Gli autoveicoli, nel ponte hangar, vengono attentamente fissati al ponte mediante catene: è stato eseguito a regola d’arte? Per una traversata con mare forza 9? Altro capitolo: nell’hangar c’erano alcuni camion frigoriferi i quali, durante la traversata, affidano l’alimentazione di detti frigo alla nave, nel senso che utilizzano energia elettrica della nave trasformata a 24 V da specie di caricabatteria. Fin qui, tutto regolare. I caricabatteria sono sistemati in appositi alloggiamenti ai lati dell’hangar – in modo che non vadano a sbattere – però, talvolta, i cavi per l’alimentazione non sono abbastanza lunghi. Che si fa se il camion ha l’attacco dalla parte opposta del caricabatteria? Si toglie l’aggeggio dalla sua sede protetta e lo si mette sul ponte, mediante una semplice prolunga: ovvio che è una pratica proibita, perché col moto ondoso potrebbe rovesciarsi, però…

Sulla Norman Atlantic erano presenti camion carichi d’olio (od olive), i quali perdono sempre un po’ di materiale, trafilano olio un po’ dappertutto…accanto ai camion frigoriferi col pesce con l’alimentazione esterna…tutto regolare? Forse: se, però, qualcuno degli alimentatori era fuori posto e s’è rovesciato, ecco che il cortocircuito è stato quasi sicuro, con scintille sull’olio, che è infiammabile. Altro che sfregamento contro il soffitto.

E i sistemi di sicurezza? Posto che in mare, particolarmente durante una tempesta, la Legge di Murphy (3) funziona al quadrato, le immagini che sono state diramate indicavano un incendio grave, difficilmente domabile. Come avevamo già indicato, le porte tagliafuoco avevano dei problemi ma, per fortuna, esistono altri sistemi antincendio sulle navi. Il più semplice è rappresentato da estintori e schiumogeni, poi si passa alle “doccette” che si azionano automaticamente al rilevamento di un calore eccessivo ma, la vera arma antincendio, è l’anidride carbonica. I ponti inferiori, soprattutto – se l’incendio è grave – vengono evacuati e inondati di anidride carbonica, fino a riempire completamente i locali: in questo modo, l’incendio si spegne per mancanza d’Ossigeno.

Il prerequisito, però, è che i ponti siano sgombri: i giornali hanno riportato che molte persone dormivano – fuori dalle norme vigenti – sui loro mezzi, il che potrebbe aver impedito l’uso della CO2, della quale la nave (di soli 5 anni!) doveva essere provvista. Questo è un altro mistero che devono spiegare: quelle lingue di fuoco che uscivano dallo scafo, a molte ore dall’inizio dell’incendio, testimonierebbero che la CO2 non sarebbe stata usata.

E i soccorsi? Se l’incendio è scoppiato alle prime luci dell’alba del 28, il “MAYDAY” – la chiamata di soccorso – dovrebbe essere stata immediata: come mai nave San Giorgio prese il mare solo nel pomeriggio, dopo le 16?

La vicenda è zeppa di non sense e suscita dubbi: da ultimo, perché una nave in difficoltà che dista 13 miglia da Valona (Vlore, Albania) e 45 da Brindisi deve essere rimorchiata proprio a Brindisi traversando l’Adriatico in tempesta? Salendo a Valona, la nave avrebbe avuto il vento in prora, favorevole per la visibilità e la stabilità della nave.

L’ultimissimo “scoop” è che gli albanesi – sempre in pieno accordo con la magistratura italiana? – prendono a rimorchio la nave al prezzo della vita di due loro marinai (una cima di rimorchio che si spezza è peggio di un colpo di sciabola) per portarla in Albania.

Perché adesso va bene in Albania? Quanti sono i morti del fallimento nella strategia di gestione della tragedia? Da undici a novantotto?

Vi pare una cosa seria? Cosa va “ripulito” in Albania?

Renzi, illuminaci: twitta qualcosa.

Carlo Bertani

Fonte: http://carlobertani.blogspot.it

Link: http://carlobertani.blogspot.it/2014/12/laffaire-norman-atlantic.html

31.12.2014

(1) http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/12/28/ARCLJ50C-ravenna_affonda_davanti.shtml

(2) http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/28/norman-atlantic-controlli-19-dicembre-porte-taglia-fuoco-malfunzionanti/1299891/ (3) Semplificando: “Se qualcosa si può rompere, state pure sicuri che si romperà”.

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