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DI MASSIMO FINI

A proposito dello scandalo del calcio, che coinvolge Moggi, Giraudo, la Juventus, la Fiorentina e altri importanti club, arbitri, designatori, vertici della Figc e, anche figli famosi e insaziabili come Chiara Geronzi, Sergio Romano scrive sul Corriere della Sera: “È la dimostrazione, soprattutto dopo le vicende bancarie degli scorsi mesi, che Tangentopoli e i 14 anni passati dell’arresto di Mario Chiesa non hanno intaccato le cattive abitudini di alcuni settori della società. Pensavamo che le indagini di Mani Pulite avrebbero avuto ricadute positive per tutta la vita nazionale. Ma scopriamo che le cattive abitudini di certi ambienti non sono cambiate”. Ci sorprende la sorpresa di Sergio Romano. Ci si è dimenticati della costante, capillare e devastante campagna di delegittimazione della magistratura italiana che, dopo i primi tempi di pelosa euforia, è stata condotta dalla classe politica (soprattutto di centrodestra ma anche di centrosinistra) dai principali giornali, Corriere della Sera in testa con i suoi editorialisti “liberali”, Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, della valanga di fango che è stata riversata a piene mani sulle Procure e i Tribunali, soprattutto milanesi, che avevano osato, per la prima volta nella storia d’Italia, chiamare anche la classe dirigente al rispetto di quella legge cui tutti siamo tenuti?
Ci si è dimenticati delle accuse di “complotto”, “uso politico della giustizia”, di “indebita supplenza”, di “giacobismo”, di giustizialismo, di “protagonismo” dei giudici, di voler creare uno “Stato etico”, del “tintinnar di manette”, del “li arrestano per farli confessare”?
Ci si è dimenticati che per salvare lorsignori si sono inventate di sana pianta categorie giuridiche mai prese in considerazione da alcun Codice penale come “l’accanimento giudiziario” (di cui potrebbero dolersi legittimamente Totò Riina e Bernardo Provenzano) e la “modica quantità” nei falsi in bilancio, problema poi brillantemente risolto cancellando questo reato per il quale negli Stati Uniti sono previsti 25 anni di reclusione?
Ci si è dimenticati che pur di assolvere la classe dirigente dai suoi crimini si è ricorso ad ogni sorta di falsa argomentazione, di sofisma, di paralogismo? Si è gridato che le inchieste di Mani Pulite danneggiavano l’economia italiana e l’immagine del nostro Paese nel mondo. Si è sostenuto, da parte dell’onorevole Berlusconi che i magistrati italiani dimostravano una deplorevole mancanza di “spirito patriottico “quando collaboravano con colleghi stranieri per inchieste che riguardavano nostri connazionali”. Si è detto, da parte dell’onorevole Tremonti che “i comportamenti previsti dalla legge come reati, cessano di esserlo se la coscienza morale dominante non li considera tali”.

Si è scritto – da Angelo Panebianco – che la punibilità o meno di un cittadino dipenderebbe dal consenso che ha o non ha presso l’opinione pubblica (e questa è la vera “giustizia di piazza”, il giustizialismo). Berlusconi ha definito antropologicamente “pazzo” chi fa il mestiere di magistrato e, nella sua veste di premier ha dichiarato in terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale, che Mani Pulite, cioè inchieste e sentenze della magistratura del Paese di cui era allora presidente del Consiglio, erano state una “guerra civile”. Magistrati concordemente ritenuti all’estero fra i migliori del mondo, come Borrelli, Davigo, Colombo, Bocassini sono stati per anni insultati, ingiuriati e accusati senza che mai fosse portato lo straccio di una prova, del reato più grave che possa commettere un giudice: aver prostituito la loro funzione a fini diversi da quello di rendere giustizia. Antonio Di Pietro (“un uomo che mi fa orrore” dichiarò Berlusconi dimenticando di avergli proposto di entrare come ministro dell’Interno nel suo primo governo quando il magistrato, guarda caso, indagava sulla Fininvest) è stato sottoposto a sette inchieste penali da cui è uscito regolarmente assolto. Ma per la borghesia italiana resta “un uomo che fa orrore”. Mi ricordo che prima delle elezioni del 1996 mi trovavo a cena in una casa frequentata dall’altissima borghesia milanese. Chiesi agli ospiti per chi avrebbero votato. Quasi tutti si dichiararono per il centrodestra. Un paio per il centrosinistra. Nessuno scandalo, che mi investì invece quando dissi che io avrei votato per Antonio Di Pietro, non perché lo ritenessi granché come politico ma perché gli riconoscevo il merito di aver scoperchiato il verminaio di Tangentopoli. Fu solo per un residuo di educazione che non mi sbatterono fuori di casa. E quando l’orrore per un magistrato non proviene dai bassifondi della società ma dalle sue alte sfere vuol dire che c’è del marcio in un Paese. Le ispezioni che i vari ministri della Giustizia hanno inviato in questi anni alla Procura di Milano ignorando quelle neghittose e nullafacenti, sono ormai così tante che ho smesso di contarle.

Per anni è suonato il leit motiv che bisognava “uscire da Tangentopoli” con un’amnistia, un indulto, un atto di clemenza. Una formula che non significa niente o l’esatto contrario di ciò che vuol far intendere. Forse che amnistiando gli stupratori usciamo da Stupropoli? I mafiosi da Mafiopoli? I ladri da Ladropoli? Alla fine – apparendo troppo spudorata l’amnistia – il problema è stato risolto inzeppando il Codice di procedura penale di norme ipergarantiste per i reati di competenza, diciamo così, di lorsignori, cioè quelli finanziari e contro la pubblica amministrazione. Si è creato così di fatto un doppio diritto, uno per gli esponenti della classe dirigente cui è stata garantita attraverso una serie di marchingegni l’impunità o la quasi impunità, e un altro, da “tolleranza zero” per gli stracci. Lo si è visto proprio nei giorni scorsi. A Vanna Marchi, truffatrice da quattro soldi, dieci anni di galera e obbligo di risarcimenti milionari (in euro); a Cesare Previti che corrompendo dei magistrati nella causa Imi-Sir ha fatto perdere allo Stato, cioè alla collettività, duemila miliardi delle vecchie lire (lo Stato dovette pagare agli eredi Rovelli mille miliardi che avrebbe invece dovuto incassare), sei anni di reclusione, arresti domiciliari concessi a tempo di record, permesso di girare due ore al giorno liberamente per Roma in ragione delle “indispensabili esigenze di vita del detenuto”, possibilità illimitata di ricevere chi gli pare (strani arresti domiciliari, davvero) e nessun rimborso.Stando così le cose ci si può meravigliare come fa Sergio Romano, che la classe dirigente e privilegiata, cui anche il mondo del calcio appartiene, abbia ricavato dall’andazzo di questi dieci anni la convinzione di poter continuare a delinquere impunemente come ha sempre fatto?

In quello stesso articolo Sergio Romano mette le mani avanti e scrive che anche l’inchiesta sul calcio o finirà in una bolla di sapone. “I risultati di questo clamore giudiziario saranno inevitabilmente inferiori alle attese: qualche condanna cassata in appello, qualche detenzione cautelativa seguita da proscioglimento, qualche archiviazione”. È probabilissimo che vada così. Di chi la colpa? Dei magistrati naturalmente (almeno secondo Sergio Romano), ammalati come quelli di Mani Pulite, di protagonismo nella loro smania di perseguire i Vip per guadagnarsi le luci della ribalta. Tanto varrebbe dire – e sarebbe meno ipocrita – che i Vip in questo Paese, non sono perseguibili, perché è inevitabile che ogni indagine che li riguarda susciti clamore, indipendentemente dalla volontà dei magistrati.

Fra poco risentiremo parlare di “tintinnar di manette”, di “complotto”, di “accanimento giudiziario”, di giustizialismo e quant’altro e andrà a finire esattamente come finì con Mani Pulite dove nel giro di brevissimo tempo i colpevoli divennero i magistrati e i ladri i giudici dei loro giudici.

Questo Paese, come il suo calcio, è marcio, marcio fino al midollo. Come il calcio andrebbe azzerato per qualche anno. O quantomeno commissariato, possibilmente sotto il pugno di ferro di un gaulaiter tedesco.

Massimo Fini
Fonte: http://gazzettino.quinordest.it
16.05.06

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