L'ACCERCHIAMENTO DELL'IRAN E L'EMPASSE EUROPEA

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DI GIULIETTO CHIESA

L’Europa sembra sul punto di cedere alle pressioni americane in tema di Iran. E il gioco si è fatto duro anche se per ora ha preso l’andamento di una farsa. Teheran aveva accettato la sospensione delle sue attività nucleari nel novembre scorso. Data ultima per la sospensione il 31 luglio. Il gruppo UE-3 (Germania, Francia, Gran Bretagna), che negozia (negoziava?) per conto dell’Unione Europea, si era impegnato a presentare entro quella data un piano di proposte alternative ai progetti iraniani di sviluppo nucleare “pacifico”.
Il tutto in un contesto in cui Washington, tramite il candidato a rappresentarla all’Onu, John Bolton, dichiarava a ogni piè sospinto che ogni negoziato con gli ajatollah “è destinato a fallire”. Gli europei speravano in una vittoria di Rafsanjani. Gli americani fingevano di sperare la stessa cosa. Ma ha vinto Mahmoud Ahmadinejad. Per i falchi di Washington il via libera alla linea dura del “tutte le opzioni sono possibili, inclusa quella della forza”, enunciata da Condoleeza Rice. Questo spiega perché gli europei sono mancati all’appuntamento del 31 luglio: dovevano ripensarci sopra. Per questo hanno chiesto un prolungamento della tregua di altri sei giorni (sic). Fino al 6 luglio.

Evidentemente il “pacchetto” che avevano proposto per Ali Akhbar Hashemi Rafsanjani non va bene per Ahmadinejad.

Teheran ha risposto che quei sei giorni non poteva concederli e ha annunciato la ripresa dei programmi precedenti. Gli europei, sempre più in affanno, replicano che “ogni movimento unilaterale” di Teheran sarà considerato “non necessario e pregiudizievole” e potrà rendere “molto difficile” la continuazione del negoziato.

Dall’altra parte dell’oceano – secondo quanto riferito da The Nation (21 luglio) – George Bush “ha dato al Dipartimento della Difesa la sua approvazione alla preparazione di diversi scenari per un attacco nel caso che Teheran proceda con le sue attività di arricchimento dell’uranio”.

L’autore dell’articolo, Michael Klare, esperto di problemi della difesa, afferma di essere a conoscenza che i piani del Pentagono già esistono e prevedono l’uso di armi convenzionali e atomiche su oltre 400 obiettivi iraniani già identificati e scelti.

Qui ci troviamo, e conviene non scherzarci sopra, perché sulla barca ci siamo tutti e il gioco delle parti rischia di diventare tragedia.

Dobbiamo aver paura di Teheran? Forse. Ma prima di tutto degli Stati Uniti. Stiamo ai fatti. C’è un documento ufficiale e riassuntivo, del novembre 2004, dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), braccio specializzato delle Nazioni Unite: in esso si afferma a chiare lettere che non esistono prove che l’Iran stia costruendo armi nucleari”. Si ripete lo scenario già sperimentato contro l’Irak. Quando Hans Blix arrivò alle stesse conclusioni circa le famose armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, Washington scatenò contro di lui una violentissima campagna di discredito. Tanto violenta che Blix, ritiratosi in pensione, non esitò a definire “quei bastardi” gli altissimi funzionari dell’Amministrazione americana che lo avevano preso di mira.

Nel caso Iran, Washington chiese la testa di el Baradei, capo dell’AIEA. Curiosamente pochi sanno che l’Iran si è fatto promotore, nel 2003, di diverse iniziative per la creazione di una zona denuclearizzata comprendente tutto il Medio Oriente. Il progetto fu appoggiato, tra gli altri, da Egitto e Giordania. Una risoluzione in tal senso era pronta per essere presentata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel dicembre 2003, ma fu ritirata perché gli Stati Uniti minacciarono il veto.

Perché? Ma ovviamente perché ciò avrebbe richiesto il controllo degli armamenti nucleari israeliani già esistenti, e Washington questo non intende permetterlo. Le oltre 200 testate nucleari israeliane, con relativi missili, devono restare pronte per ogni evenienza.

Due pesi e due misure. Ma non soltanto a favore di Israele. Anche il Pakistan è potenza nucleare, ma è amica degli Stati Uniti, quindi non le si chiede nulla. Anche l’India è potenza nucleare, ma il capo del governo indiano si reca a Washington e firma accordi per interscambi di tecnologia nucleare. Né Israele, né il Pakistan, né l’India hanno firmato il trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Tutti e tre hanno armi nucleari. Tutti e tre hanno sistemi aerei e missilistici in grado di portare queste armi a destinazione su obiettivi nemici. Tutti è tre sono in aperta violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

L’Iran, all’esatto contrario, non ha armi nucleari, non ha sistemi di missili per portarle a destinazione, è firmatario del trattato TNP e dichiara di volerlo rispettare.

L’Europa sa perfettamente queste cose e, giustamente, ha negoziato con Teheran. Ma le pressioni di Washington stanno diventando fortissime.

Bush e i suoi vogliono che si arrivi al più presto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che formalizzi sanzioni economiche contro Teheran, quelle che gli Stati Uniti già hanno –illegalmente- messon in atto per conto loro. L’obiettivo, evidente, è di far salire la tensione internazionale contro Teheran: è la seconda tappa della preparazione alla guerra.

La prima la si vede a occhio nudo guardando la carta geografica. Ai fianchi dell’Iran ci sono adesso Afghanistan e Irak, due paesi che sono governati (si fa per dire) da governi che sono diretta espressione della volontà statunitense , e che controllano poco o nulla del loro stesso territorio.

Bush e i suoi dichiarano di voler promuovere le libertà civili in Iran (la favola dell’”esportazione delle democrazia”), di voler stroncare il sostegno iraniano al terrorismo internazionale e di voler impedire la proliferazione.

Sul terzo punto s’è già detto con quanto cinismo Washington usa due pesi e due misure, a seconda delle convenienze. Ma pochi sanno che fu il presidente americano Ford a incentivare la politica di aiuti nucleari all’Iran. Certo, erano altri tempi e a Teheran c’era la monarchia Pahlevi. Ma sarà utile ricordare che a Washington, anche a quei tempi, c’erano gli stessi di oggi: Donald Rumsfeld segretario alla difesa, Dick Cheney capo dello staff, Paul Wolfowitz alla testa dell’agenzia per il disarmo e il controllo degli armamenti.

Chissà se si ricordano che furono proprio loro a vendere a Reza Phalevi il primo reattore nucleare sperimentale, completo di uranio arricchito e di isotopi di plutonio. Ma allora l’Iran era un protettorato americano. Proprio a questo vogliono arrivare.

Hanno dichiarato invalide le elezioni iraniane di giugno. Io non c’ero e non posso dire niente. Salvo che sono andati a votare i due terzi degli iraniani. Molti di più di quelli che vanno a votare negli Stati Uniti.

E, sfortunatamente per Bush, gl’iraniani non si sono dimenticati che furono gli Stati Uniti a rovesciare un governo iraniano legittimamente eletto nel 1953 e a mettere al potere un monarca fasullo, tenendocelo con ogni mezzo fino a che una rivoluzione popolare non lo rovesciò nel 1979.

Infine: sulla democrazia iraniana non possiamo giurare. Per lo meno non più di quanto potremmo fare su quella russa di Putin. Ma non possiamo non vedere la situazione nei dintorni, vicini e lontani di Teheran. Basta fare l’elenco: Giordania, Egitto, Pakistan, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Oman, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Uzbekistan, Azerbajgian . Sono tutti amici e alleati degli Stati Uniti d’America. E di democrazia non odorano per niente.

L’Europa sarà in grado di reggere di fronte a tanta impudenza di Washington?

Giulietto Chiesa
Fonte:www.giuliettochiesa.it
Link:www.giuliettochiesa.it/modules.php?name=News&file=article&sid=164
da Avvenimenti del 5 agosto 2005

 

 

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