DI SAGRA ELAM
Il sito web israeliano DEBKAfile (specializzato in teorie cospirazioniste) scrisse il 15 gennaio – dieci giorni prima delle elezioni – che “Bush e Sharon erano d’accordo nel lasciare che vincesse Hamas”.
La schiacciante vittoria alle urne di Hamas è soprattutto un trionfo per il governo israeliano ed una grande sconfitta per gli interessi palestinesi. La pressione internazionale sulla Palestina sta crescendo. Se Hamas non farà concessioni consistenti e sofferte si rischierà un taglio pesante del sostegno finanziario internazionale ed un peggioramento delle misure anti-palestinesi da parte di Israele.
Se Hamas si impegna ad onorare queste concessioni non solo tradirà i suoi elettori, ma il governo israeliano ne richiederà di più. Ora, ad esempio, Israele esige che Hamas riconosca lo stato d’Israele e che dichiari la fine della lotta armata prima che considerevoli aiuti economici siano concessi, ma se Hamas accetta queste condizioni se ne ritroverà altre da soddisfare, ad esempio l’impossibile richiesta di rinunciare al Diritto di Rimpatrio dei rifugiati Palestinesi.
Anche se Hamas si adegua a tali richieste, il governo israeliano rivendicherà il fatto che di Hamas non ci si può fidare perché è un’organizzazione basata sul terrore, che ora sembra adeguarsi, ma che rimarrà pur sempre pericolosa. Inoltre Hamas avrebbe comunque problemi nel controllare i militanti palestinesi tra i suoi ranghi, e ne risulterebbe un grande caos.
Il peso politico della Palestina nei confronti del governo israeliano è ora persino minore di quello del partito di Fatah, che non era certo molto forte. È il diretto risultato del fatto che il governo israeliano tiene in ostaggio i palestinesi e può usarne la vulnerabilità militare ed economica come micidiale metodo di pressione.
Tutto ciò è il diretto risultato della crudele guerra economica di Israele che, insieme agli errori delle autorità palestinesi, ha portato l’economia della Palestina sull’orlo del fallimento. Essa sopravvive unicamente per via degli aiuti internazionali. Inoltre i palestinesi non hanno dimostrato finora di poter fronteggiare militarmente Israele e perciò non hanno un grande effetto deterrente. La situazione politica e militare è tale che ogni azione bellica palestinese di successo dà ad Israele il pretesto di reagire molto più duramente nei loro confronti.
Israele ha imposto punizioni collettive con l’intento dichiarato di forzare i civili palestinesi a far pressione sul braccio armato di Hamas, per costringerlo a smettere le proprie attività; un presunto scopo che i generali israeliani sanno perfettamente che sarà impossibile ottenere, poiché i palestinesi non sono certo in grado di imporre la loro volontà sui militanti.
Di conseguenza la strategia kamikaze dei palestinesi si è trasformata in un suicidio collettivo culminato nella vittoria di Hamas. Gli attacchi suicidi si sono rivelati un disastro politico e militare. Alcuni cinici capi palestinesi hanno sacrificato molte vite nell’intento di manipolare la gente senza veramente riuscirci. Gli attacchi suicidi non sono mai stati in grado di colpire alcun obiettivo strategico israeliano ed il loro impatto sui civili israeliani è stato inferiore a quello causato da incidenti stradali (in un anno ci sono più morti dovute ad incidenti d’auto che la somma totale di civili uccisi dentro la “linea verde” dai palestinesi negli ultimi cinque anni, cioè dall’inizio della seconda intifada del settembre 2000). Gli attacchi kamikaze non sono serviti che a suscitare sostegno esplicito ed implicito alle misure anti-palestinesi di Israele.
Mentre i palestinesi non hanno avuto successo nel causare alcuna minaccia esistenziale ad Israele, Israele ha inflitto danni severi alla società palestinese. Perfino la tanto pubblicizzata vittoria dell’evacuazione dei coloni israeliani dalla striscia di Gaza non è servita che a causare un allargamento del ghetto di Gaza aumentandone potenzialmente il degrado.
La vittoria elettorale di Hamas è un pericolo sia per le donne che per i cristiani palestinesi, ma non per Israele. Ha anche aumentato il pericolo di intensificare l’instabilità della Palestina, come se ce ne fosse bisogno. Corrono altresì voci che dopo le elezioni di Hamas alcuni ricchi palestinesi hanno trasferito all’estero i loro capitali, il che significa che la situazione economica della Palestina non può che peggiorare.
Il sito Internet israeliano DEBKAfile (specializzato in teorie cospirazioniste) scrisse il 15 gennaio – dieci giorni prima delle elezioni – che “Bush e Sharon erano d’accordo nel lasciare che vincesse Hamas”. DEBKAfile predisse la vittoria elettorale di Hamas e sostenne che gli Stati Uniti ed Israele avrebbero potuto impedirla se solo avessero sostenuto “il fervente desiderio di Abu Mazen di posporre il voto come richiestogli dal suo stesso Fatah”. “La loro decisione contraria ha fatto sì che l’autorità palestinese diventasse le prima entità nazionale del Medio Oriente ad essere dominata dalla Fratellanza Musulmana di cui Hamas è il ramo palestinese”.
DEBKAfile crede che prima del suo secondo attacco di ictus (del 4 gennaio, n.d.t.) Ariel Sharon cercò ulteriore giustificazione alla sua politica unilaterale provando che non esiste un partner palestinese.
Ma cosa sarà mai questa politica unilaterale?
È difficile ipotizzare che un governo israeliano in queste condizioni voglia realmente evacuare un grande numero di coloni ebrei dalla West Bank. Tale piano è evidentemente un imbroglio siccome gli attivisti di destra continuano a precisare che ci sia un’intesa col governo per cui essi presto potranno ritornare alle loro proprietà “evacuate”. A tale proposito, sembra possibile che una simile intesa sia stata fatta anche con i coloni di Gaza, anche se non esiste traccia di un simile progetto.
Questo scenario di politica unilaterale fu attribuito a Sharon dal quotidiano israeliano Ma’ariv prima del suo ictus. Il piano prevederebbe l’eliminazione dell’autorità palestinese e la presenza di truppe americane nella West Bank e nella striscia di Gaza. Si parla anche di evacuazione in grande stile dei coloni ebrei.
È molto improbabile che l’amministrazione Bush approvi questa mossa. I soldati americani hanno abbastanza guai in Iraq e gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di essere trascinati in un altro pantano. Il no americano al “piano Sharon” giustificherà piuttosto il più probabile scenario di una ulteriore crescita delle misure israeliane contro la Palestina, il che significherà una sanguinosa rioccupazione, l’eliminazione dell’autorità palestinese e provocherà espulsioni di massa, se le condizioni politiche si riterranno “favorevoli”.
Dalla prospettiva dell’élite israeliana il successo di Hamas rappresenta una situazione vincente per Israele perché o darà il pretesto per incrementare la repressione oppure si allineerà al “pacifico” scenario di Eli Hurvitz, il presidente del Teva Pharmaceutical Industries Ltd.
“Hurvitz sostiene che è addirittura possibile un miglioramento della situazione ora che Hamas ha vinto le elezioni, perché Hamas ha la possibilità di controllare il terrorismo nei territori palestinesi, al contrario dell’inefficacia delle autorità palestinesi di Mahmoud Abbas (Abu Mazen)”, riportò il quotidiano di economia israeliano Globe il 30 gennaio. Hurvitz venne citato dicendo “io penso che l’effetto negativo che si da ad Hamas è molto esagerato. Non avrà assolutamente rilevanza sugli investimenti stranieri in Israele. La vendita di due miliardi di dollari di obbligazioni della Teva negli Stati Uniti non ne ha assolutamente risentito, anzi, nessuno ne ha mai neanche parlato.”
Ad ogni modo Hurvitz è convinto che “Hamas non minaccia l’esistenza di Israele, anzi è più probabile che riesca a controllare il terrorismo meglio che nel periodo di gestione di Abu Mazen, che non ci riuscì”. “Se il terrorismo causa devastazione – continua Hurvitz – riuscirà a piegarci? Non scoppiano forse bombe altrove nel mondo?”.
Hurvitz sembra aver ragione a supporre che la possibilità di Hamas di intensificare la lotta armata ad Israele sia piuttosto limitata. Se ad esempio un aereo della El-Al fosse fatto esplodere dalla West Bank, la rappresaglia israeliana sarebbe molto sanguinosa.
Di fronte ad una situazione impossibile, Hamas può ancora rimediare allo sbaglio di aver partecipato alle elezioni dissolvendo l’autorità palestinese (PA), mettendo fine alla farsa iniziata con l’accordo di Oslo, che in sostanza assolveva Israele dalla responsabilità derivante dall’occupazione del territorio palestinese e lasciava agli israeliani carta bianca nella distruzione delle infrastrutture palestinesi anziché nella loro salvaguardia. In effetti, gran parte degli aiuti internazionali alla Palestina diventano indirettamente aiuti ad Israele, che altrimenti dovrebbe da solo provvedere ad occuparsi della popolazione palestinese (vedi l’articolo di Ghada Karmi del Guardian del 31 dicembre 2005 “Senza lo stato della Palestina gli aiuti diventano un’occupazione aggiunta”.)
Sciogliere il PA deve accompagnarsi ad una seria ricerca di nuovi metodi di lotta non violenta all’occupazione e ad un approfondimento della cooperazione con i movimenti per la pace israeliani. È giunta l’ora di creare un movimento sulla falsariga dell’African National Congress che affronti temi come razzismo ed oppressione. Come per il popolo del Sud Africa, ci si deve rendere conto che il separatismo nazionale significa la catastrofe e deve assolutamente essere abbandonato. La visione di uno stato democratico che va dal fiume Giordano fino al Mare Mediterraneo è l’unica alternativa possibile ad uno stato di apartheid e di un continuo, terribile intensificarsi della guerriglia.
È molto difficile per un popolo colonizzato accettare la pacifica e giusta coesistenza con i suoi oppressori, come è difficile per gli occupanti rinunciare ai privilegi e agli atteggiamenti arroganti. Ci sono molte paure e sentimenti di odio da superare prima che la fiducia possa ritornare. Come dal rapporto padrone-schiavo descritto da Hegel, il padrone ha paura dello schiavo perché lo ha oppresso e naturalmente lo schiavo ha paura del padrone e la sola via d’uscita da questa situazione è l’abolizione dell’oppressione. Esiste forse un’altra possibilità?
Sagra Elam
giornalista israeliano che vive a Zurigo. Può essere contattato via e-mail all’indirizzo [email protected]
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=ELA20060203&articleId=1879
3.02.06
Traduzione per www.comedonchiscitte.org a cura di GIANNI ELLENA
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