LA VITA QUOTIDIANA IN GIAPPONE ALL'INIZIO DEL 2013: COME PROTEGGERE I PROPRI FIGLI DALLA RADIOATTIVIT

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DI MARC HUMBERT

pauljorion.com

Sono tornato dal Giappone alla fine di agosto 2012, dopo averci vissuto per 4 anni e vi ho passato una quindicina di giorni tra la metà di novembre e l’inizio di gennaio. La popolazione di una gran parte dell’Est del Giappone dà l’impressione di vivere come se la radioattività non esistesse, ma quando si lascia la routine quotidiana e la lingua si scioglie, si percepisce l’immensa angoscia di fondo e la profonda opposizione alla ripresa della produzione di energia dal nucleare. I sondaggi valutano questa opposizione a più del 60%.
Quando si incontrano le giovani famiglie con bambini, il disagio si acuisce e le mamme vivono molto male questa situazione, soprattutto se sono rimaste a meno di 100 km dalla centrale. Anche se vivono più lontano, come molte di quelle che abitano a Tokyo, sono preoccupate per i bimbi piccoli. Vorrei lasciarvi qualche testimonianza diretta e qualche testimonianza letta nei giornali e trascritta dopo il mio ritorno.

“Ho creduto di perdere la testa” afferma Minaho Kubota, rispondendo a una intervista recente, pubblicata il 31 di dicembre dal Japan Times. Subito prima dell’allarme radioattività è partita per rifugiarsi lontano a Naha, l’isola principale dell’arcipelago di Okinawa, a 2500 km da Fukushima. “Ho sentito che non avrei avuto alcuna risposta per i miei bambini se, una volta cresciuti, mi avessero chiesto: Mamma perché non sei partita”? Questo pensiero rode centinaia di migliaia di madri in Giappone, non solamente quelle che si trovavano nei giorni seguenti l’11 marzo a qualche decina di chilometri dalla centrale, ma una grande parte di tutte quelle che vivevano nell’Est del Giappone.

Minaho oggi vive in condizioni materiali facilitate con il sostegno delle autorità locali. Una certa parte delle 170 000 persone che hanno lasciato le proprie case nella regione di Fukushima hanno potuto richiedere un aiuto per trasferirsi lontano, a partire da luglio del 2011 (la domanda ha valore retroattivo di un anno, la presentazione è stata prorogata fino al dicembre 2012). Alcune autorità locali offrono un aiuto ugualmente, predisposto subito dopo l’11 marzo. Il dipartimento di Fukushima spera ugualmente nel ritorno di quelli che considera come trasferiti temporaneamente e numerose autorità locali hanno invitato le famiglie a tornare quando la situazione sarà tornata “normale”.

Minaho è aiutata dal dipartimento di Okinawa ma vive in condizioni familiari difficili. Come la maggior parte dei 170 000 evacuati, lei si è trasferita senza suo marito. Alcune rifugiate sono angosciate molto di più dei coniugi che non hanno avuto la medesima percezione della situazione. Diverse famiglie si sono frantumate. Altre si sono ricongiunte, è il caso di un’altra madre venuta a Okinawa con due ragazzi di 8 e 12 anni. Il padre ha scelto di restare nella propria regione, lavora come dentista a Ibaraki in una regione costiera a sud di quella di Fukushima. Per qualche tempo la comunicazione si è interrotta ma poi ha ripreso e lui va a trovare la sua famiglia molto spesso a Okinawa e provvede a inviare denaro.

Ho incontrato molti casi come questo, alcuni non molto lontani dalla regione colpita, come quella di Nagano, a un centinaio di chilometri a sud-ovest, o molto più lontano – sempre restando nell’isola principale – come a Kyoto che è a più di 500 chilometri in linea d’aria, nell’ovest del Giappone. Nel dipartimento di Nagano, mi hanno raccontato il caso di una famiglia il cui padre ha presentato, l’autunno scorso, una richiesta di sostegno per ricongiungersi con sua moglie e i suoi figli, il sostegno gli è stato rifiutato: la coniuge ne aveva già ottenuto uno, dimensionato secondo la composizione familiare senza padre. E’ rimasto nella loro piccola casa, che non hanno finito di pagare, ha mantenuto il suo impiego in una impresa locale; si sforza di decontaminare, confidando in ciò che affermano le autorità che sarà possibile decontaminare e ritornare al paese. Purtroppo, i suoi sforzi – come quelli delle imprese incaricate delle opere di decontaminazione – si sono rivelati vani. La decontaminazione è lontano dall’essere attuabile: qua e là il livello della radioattività si è ridotto, altrove si mantiene, in qualche posto aumenta. Sembra che questi sforzi abbiano contribuito a disseminare la radioattività: le acque utilizzate per il lavaggio, i detriti, come le foglie ed altri materiali, non sono stati recuperati sistematicamente e stoccati in modo da non poter essere in condizione di nuocere.

Le condizioni familiari non sono dunque facili e rinforzano la difficoltà a prendere la decisione di trasferirsi. Diverse famiglie hanno problemi con i propri parenti anziani, non per il timore dell’effetto delle radiazioni, che sono potenzialmente più nocive e per i bambini. Molte persone anziane non sono totalmente indipendenti, e per le famiglie non è possibile prevedere di trasferirsi con i bambini lasciandosi alle spalle i nonni. Anche questo porta le madri a partire sole con i figli mentre i padri rimangono: custodiscono le abitazioni, si occupano dei parenti anziani e conservano il loro impiego e una fonte di reddito. Il tasso di disoccupazione è diventato in Giappone una realtà importante (5% quando negli anni ’80 era al 2%) in un contesto di crescita debole. In primo luogo quelli che partono sono molto criticati, diversamente da chi rimane. Gli viene rinfacciato di abbandonare il “paese” che rischia di scomparire, di non rispettare gli anziani, di abbandonare gli altri e di infierire sulla comunità locale.

Ci sono alte ragioni che impediscono il trasferimento. Diversi agricoltori non possono lavorare presso le proprie fattorie situate nelle zone vietate e sono alloggiati in abitazioni temporanee messe a disposizione dall’autorità pubblica. Esitano ad abbandonare tutto e trasferirsi altrove quando le autorità hanno promesso, e ad alcuni di loro promettono ancora, che sarà possibile tornare alla vita normale. Meno di un migliaio sono in una zona reputata non accessibile per lungo periodo (1). Altri sono autorizzati a lavorare nella propria fattoria, e pensano, almeno un certo numero di loro, di ridurre la contaminazione o almeno di avere, per quest’anno, un raccolto contaminato sotto la soglia massima autorizzata. Per ottenere un indennizzo è stato necessario produrre ugualmente e farsi poi rifiutare il raccolto per contaminazione da radioattività. Quelli che non hanno coltivato i campi e sono partiti, se la loro attività non è in una zona vietata, non hanno ricevuto nulla. E’ comprensibile che pochi agricoltori hanno deciso per il trasferimento, come ha fatto fin dal primo giorno, Shimpei Murakami, con la moglie e i bimbi piccoli, dopo aver dimorato cinque anni come agricoltore a Iitate, paese dei suoi progenitori anch’essi agricoltori.

Ho potuto incontrare un allevatore della città di Soma, sulla costa, a nord della regione di Fukushima, con moglie e figli rifugiati nella regione di Niigata dall’altra parte dell’isola sul mare del Giappone. Le sue vacche da latte producono un latte “bio” con un livello di radioattività non rilevabile ufficialmente (in linea di principio meno di 20 bq al litro) che potrebbe vendere – è eccellente, io ne ho bevuto – ma se potesse non esiterebbe a trasportare con un colpo di bacchetta magica la sua fattoria e le sue mucche dalla sua famiglia. Ma ha un altro pensiero: bisognerebbe che tutti i suoi colleghi potessero fare altrettanto.

Ecco i molti freni alla partenza, una partenza che smembra le famiglie, una decisione per l’avvenire della salute dei bambini. Il malessere psichico è diffuso e qualche volta coinvolge i bambini rifugiati. Il cambiamento della scuola non è usuale in Giappone e le difficoltà di integrazione e di adattamento dei nuovi arrivati sono aggravati dalle circostanze. Qualche volta i nuovi venuti non sono accettati molto bene. E’ più facile trasferirsi all’inizio di un nuovo anno scolare (che in Giappone inizia all’inizio di aprile), meglio in coincidenza del cambiamento del ciclo scolastico: dalle primarie al college, dal college ai licei. 30.000 bambini alla ripresa dell’anno scolastico del 2012 hanno lasciato le loro case nella regione di Fukushima, probabilmente ci sarà un nuovo flusso nel 2013.

C’è la possibilità di sottrarsi, almeno in parte, alle conseguenze di una esposizione prolungata alle radiazioni. E’ offerta dalle associazioni delle famiglie, dalle madri di Fukushima: si tratta di accogliere i bambini durante le vacanze o fine settimana. Delle ricerche mediche hanno dimostrato che l’evacuazione temporanea dei bambini permette al loro organismo di “respirare” e di risanarsi. Ho visitato un gruppo di studenti del college in stage di decontaminazione dal 22 al 24 dicembre a Yamagata ( nella regione omonima, una città a circa 100 km a Nord-Nord-ovest di Fukushima) organizzato da una associazione (Musubiba) di cittadini di Sapporo (isola di Hokkaido) insieme ad altre associazioni di Fukushima e di Yamagata. Per evitare di confrontarsi con le autorità locali, ufficialmente questo stage di fine settimana prolungato è uno stage di supporto scolastico. Infatti i bambini hanno seguito un programma di lavoro molto serio e sono stati seguiti da un gruppo di insegnanti. Il programma dell’estate o delle vacanze è dedicato alla resistenza fisica.

Un argomento importante per ridurre le conseguenze della vita in atmosfera contaminata dalla radioattività è l’attenzione a non aggiungere all’esposizione esterna una esposizione interna dovuta agli alimenti. Oggi le mense scolastiche pubbliche di Fukushima (e della quasi totalità del paese) controllano gli alimenti serviti ai bambini secondo procedure definite. Diversi genitori non sono completamente confidenti e preferiscono dare ai propri figli un pasto da portare a scuola. La maggior parte dei genitori che sono rimasti nella regione di Fukushima fanno molta attenzione a ciò che servono ai propri bambini. A Soma una attività commerciale lanciata con il sostegno di Confederation Paysanne (il suo equivalente giapponese, membro di Via Campesina), assicura la qualità non radioattiva dei prodotti agricoli venduti e dispone di un analizzatore. Una associazione di madri di Koriyama (altra grande città della regione di Fukushima), “Action3A”, ha ottenuto in donazione un analizzatore che utilizza per noleggio, i proventi del noleggio permettono di finanziare i fine settimana d’ossigenazione e i periodi di vacanza per i bambini.

In mezzo a coloro che rimangono, la maggior parte si considerano irradiati, come a Hiroshima. Tutti gli irradiati non sono morti, diversi sono stati malati per tutta la vita e traumatizzati.

Le autorità hanno fatto il possibile per evitare il panico nella popolazione dopo l’11 marzo. Le misure che hanno attuato a questo proposito sono state messe in opera da dei funzionari esecutivi, ignorando la situazione reale. L’idea generale presuppone che non c’è un pericolo reale al di sotto di un certo livello di esposizione alle radiazioni, quello che porta a una certa percentuale di insorgenza supplementare di tumori che possono colpire l’insieme della popolazione. Al di sotto tutto è cancellato. La popolazione deve continuare a vivere anche quando i bambini hanno certamente ricevuto una dose eccessiva di iodio radioattivo – ha diritto “in generale” a un controllo medico. Perché? Se c’è la certezza che non c’è nessun pericolo? Perché creare inquietudine con degli esami supplementari? Conclusione: la popolazione è angosciata e non si sente protetta e tanto meno curata. Gli altri elementi radioattivi non sarebbero pericolosi… E’ come se facessimo una radiografia ai polmoni o uno scanner affermano i funzionari, viene tutto eliminato: ma tutti sanno bene che i radiologi fanno molta attenzione a proteggersi quando fanno le radiografie. Perché dunque non evitare le radiazioni che mettono i nostri corpi e quello dei nostri bambini a dura prova, come noi evitiamo di prendere freddo?

A questa angoscia si aggiunge anche quella della possibilità di un nuovo terremoto che distrugga la piscina del reattore numero 4 o che faccia altri disastri. Come proteggere i nostri bambini?

Nella regione di Fukushima la popolazione è molto inquieta e manifesta, anziani, adulti, giovani, bambini. Decine di milioni di persone hanno espresso attraverso i sondaggi la propria intenzione di smetterla con l’energia nucleare. Hanno dimostrato la loro volontà di farsi ascoltare con delle manifestazioni che hanno avuto luogo a Tokyo – e numerose altre in diverse città. E’ chiaro che durante le giornate di manifestazione, previste per il 9 e 10 marzo 2013, ci sarà nuovamente una folla immensa.

Marc Humbert
Fonte: www.pauljorion.com

Link: http://www.pauljorion.com/blog/?p=49521
29.01.2013

Traduzione per www.Comedonchisciotte.org a cura STEFANO CHIODINI

NOTA
(1). Se ci si trova in una zona considerata contaminata a 50msv/anno. Nelle zone tra i 20 e i 30 le attività agricole sono permesse. Se i raccolti non sono vendibili, si riceve una indennità: se non si coltiva non si riceve nulla.

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