LA VISIONE DEL SABBA

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DI GIANLUCA FREDA
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Le più recenti tendenze della ricerca antropologica, tendono a dividere le donne essenzialmente in due categorie: quelle carine e le femministe. Si tratta, naturalmente, di una distinzione di massima, utile a fissare in un principio universale una realtà tassonomica che è nei fatti di assai più complessa strutturazione. Molte donne carine, intorno ai 50 anni, quando ormai più nessuno se le fila, si buttano con convinzione nel femminismo; e molte femministe, riuscite a rendersi presentabili attraverso diete, lifting e chirurgie facciali e mammarie, gettano alle ortiche i sacri testi di Margaret Atwood e si trasformano gioiosamente in donne. Talvolta, cedendo ai morsi della fame arretrata, perfino in femmine. Le femmine rappresentano una terza ed assai rilevante, sebbene poco diffusa, categoria: quella delle donne utili. E’ in loro nome che l’umanità continua a sobbarcarsi il peso, sociale ed economico, delle donne carine e delle femministe, le quali sono sostanzialmente improduttive, fastidiose e piene di petulanti rivendicazioni che sfociano, non di rado, in gravi problemi di ordine pubblico. Alcune società evolute, prevedono per le donne carine e le femministe appositi programmi di reinserimento sociale, che forniscono, a spese dello stato, corsi di cucina e di economia domestica, seminari di riproduzione intensiva, interventi estetici e cosmetici gratuiti oppure sconti consistenti sull’acquisto di burqa integrali e tenute da palombaro, a seconda del grado di recuperabilità dei singoli casi.

Esiste poi la diffusa categoria degli equivoci, costituita dalle donne carine che si sentono femministe e dalle femministe che si credono donne carine.

Le prime sono essenzialmente una variante larvale delle femmine, che giunge a repentina maturazione se posta a contatto con una femminista vera. Nietzsche, in “Ecce homo”, spiegava: “«Emancipazione della donna» è l’odio istintivo della donna mancata, cioè inidonea alla procreazione, verso la donna realizzata. La lotta contro l’”uomo” è sempre soltanto strumento, pretesa, tattica”. Appena compreso ciò,  la donna carina – sempre che sia carina davvero, naturalmente – si dà a fuga precipitosa, abbattendo nella foga teoremi e filosofie della diseguaglianza sessuale, calpestando trattati di sociologia e psicologia del patriarcato  e richiedendo l’intervento immediato della forza pubblica. Solitamente si trasforma in femmina dopo pochi mesi d’incubazione. A volte si riproduce, spontaneamente e per più volte, già durante il percorso di ritorno verso la propria abitazione, dando luogo a fenomeni d’abbandono neonatale plurimo che scuotono profondamente la coscienza delle collettività.

Le seconde vengono comunemente classificate dagli zoologi nello stesso ordine degli scorpaniformi, famiglia degli scorpenidi. Vivono su fondali marini duri e rocciosi o sulle secche scogliose, dalle quali si staccano solo durante i tentativi d’accoppiamento, solitamente coincidenti con l’8 di marzo. In questa occasione esse si raggruppano in branchi famelici che sciamano per pubblici happening e salotti televisivi alla vorace ricerca di un partner. Si sa che la gente dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel Tempio. Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare il cattivo esempio. Costoro, aggredite dall’implacabilità della natura, ma non dome, non si accontentano dei buoni consigli elargiti alle femmine meno diroccate con una dovizia di retorica puntualmente accolta da fragorosi scoppi d’ilarità, ma pretendono di dare contestualmente il cattivo esempio, nei limiti entro cui lo consente la cruda impotenza della chirurgia estetica dinanzi alle grandi catastrofi.

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Esulano da questa minima tassonomia scientifica, quei casi che è possibile classificare nel novero delle curiosità genetiche o degli scherzi della natura, come le donne barbute, le donne cannone e i maschi femministi. Appartenente a quest’ultima casistica è un fenomeno italiano di un certo interesse, noto agli studiosi del settore come “piazzata della Sora Gigia”. La Sora Gigia è l’attempata signora che vedete raffigurata in foto. Trattasi, in realtà, d’un transessuale emiliano, pervenuto ad una certa notorietà dopo la sua proclamazione a leader di un movimento politico un tempo piuttosto diffuso in ambito nazionale. La spaventosa virago trascorre le sue giornate rinchiusa nel suo appartamento, rifiutandosi di apparire in pubblico, sorda alle implorazioni dei pochi conoscenti che ancora le rivolgono la parola e ne supplicano invano un incisivo intervento nella vita politica e civile del paese. La Sora Gigia non apre a nessuno. Di tanto in tanto, la si vede affacciarsi al balcone di casa, fra i gerani appassiti e la lettiera del gatto, per inveire sguaiatamente contro l’immoralità dei condomini e le fornicazioni dei vicini di pianerottolo. Poi torna a sdraiarsi di fronte alla Tv, allungando le ciabatte bucate sullo sgabello di formica, sommersa dal fetore di cavolo bollito che promana dalle stoviglie affastellate nell’acquaio della cucina. C’è solo una cosa che riesce a strappare la cupa megera al suo eremo maleolente: la periodica celebrazione del Sabba mediatico di primavera. In tale occasione, la Sora Gigia si sciacqua le ascelle, si rade, si tinge con civetteria le labbra d’un’ombra di rossetto vermiglio, intonaca il viso con due mani di fondotinta utilizzando una pennellessa da imbianchino e si dirige festante verso la vauderie stagionale, unendosi alla moltitudine di befane mestruate che inneggiano, sulla pubblica piazza, alla dignità della donna e inveiscono, sotto i demoniaci auspici di Lucibello, contro l’opprimente preminenza del maschio.

Non del maschio in generale, che quest’anno non va di moda. E poi, neanche le più maltrattate dalla natura hanno il coraggio di chiudere del tutto la porta alla speranza. No, quest’anno va di moda un maschio specifico, con nome e cognome, fatto bersaglio di sortilegi ed invettive per l’ardire mostrato nel ricordare alle italiche giovenche ciò che sono e sempre sono state, ciò che desiderano e hanno sempre desiderato essere, facendo scempio del velame ideologico con cui il femminismo aveva nascosto le virtuose pulsioni della natura alle proprie adepte di sesso maschile e femminile.

La manifestazione di quest’anno rappresenta la summa di due grandi emblemi della convivialità femminile: il sabba e la “piazzata da comari”. Di entrambi, la Sora Gigia ha una conoscenza di alto livello, resa sopraffina dalle prolungate frequentazioni dei salotti politici romani. Gioiosamente disdegnando le preghiere dei suoi seguaci, i quali la impetrano di dedicare le proprie residue energie a cause meno futili, la democratica befana si lascia puntualmente irretire dalla chiamata del Magistelus, il demone messaggero d’oltreatlantico, che con voce calda e potente le ingiunge di recarsi ad ogni raduno in cui sia possibile inveire contro l’esistente senza con questo proporre nulla che possa scombinare i piani del Belzebub anglosassone, principe dell’universo, suo signore e padrone. Si cosparge dunque di unguenti abominevoli, monta in groppa al Magistelus, mutato in capro per l’occasione, e in un attimo è portata al Sabba telegiornalistico, volando o correndo.

Già il saggio papa Giovanni XXII, nell’anno del Signore 1326, si era scagliato contro l’empietà di tali raduni, nella bolla Super illius specula. In essi, le brufolose baccanti si producono in gracchianti anatemi contro gli effetti indesiderati delle proprie vantate conquiste. Vogliono sculettare, ma detestano che gli si tocchi il culo; ciò rappresenta una grave discriminazione interna alla categoria, non possedendo tutti i culi la medesima appetibile consistenza. Vogliono esibire carni e glutei al desiderio del maschio, ma si sentono umiliate dal maschio che prova desiderio; anche il desiderio è selettivo, dunque discriminante. Vogliono strepitare contro l’attitudine delle meno attempate a “raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno”, senza minimamente chiamare in causa la vasta azione propagandistica, culturale e ideologica con cui hanno legittimato e avallato tali comportamenti negli ultimi 50 anni. In parole povere, vogliono continuare ad essere “puttane e madonne”, come fanno da millenni e millenni, mantenendo i vantaggi offerti dalla posizione, ma senza dover affrontare le responsabilità del ruolo, né l’inevitabile selezione estetica e meritocratica che ne consegue. In nome di tutto ciò, non esitano ad intrattenere abusivi commerci con demoni incubi e succubi, abiurando con bocca sacrilega l’emblema stesso della società dello spettacolo che le ha generate, nutrite e fortificate, ed anzi maledicendolo con eretica ed irriconoscente pravità.

L’adunca e lubrica Sora Gigia, con gli occhi temperati dal fiele, sguazza laidamente in questo crepuscolo femminista, sognando putsch egiziani, ribaltoni parlamentari, furenti sollevazioni del volgo in armi che la innalzino per via sovversiva all’altrimenti inavvicinabile scranno del potere. Addita la strega in altri, lontano da sé, mentre prepara le sue fiale di sterco di rospo, di polvere d’ossa dei sepolti senza battesimo, di capelli e peli inguinali bruciati, sorvolando gaudente le piazze delle lamie a cavallo della sua scopa. Congiunta in nefando amplesso al nemico del genere umano, non esita a promettergli nuove liberalizzazioni e nuovi scempi dell’economia nazionale in cambio del potere sufficiente a divenire grande nel mondo. S’invoca contro tali maligni spiriti ermafroditi l’istituzione d’un novello ufficio inquisitorio, il quale provveda alla punizione, incarcerazione e correzione dei delitti e degli eccessi sacrilegamente perpetrati contro il corpo della nazione, con pericolo delle anime, con offesa della maestà divina, con pernicioso esempio e scandalo di molti.

Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.altervista.org
Link: http://blogghete.altervista.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=773:gianluca-freda&catid=25:politica-italiana&Itemid=44#comments
13.02.2011

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