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La Redazione

 

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LA VIOLENZA PORTA SOLO ALTRA VIOLENZA

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A cura di Olimpia
Il 31 Ottobre 2005
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DI DAHR JAMAIL

Le operazioni militari continuano inesorabili nella provincia di Al-Anbar. Con nomi tipo ‘Operation Iron Fist’ e ‘Operation Iron Gate’, iniziata solo pochi giorni dopo ‘Iron Fist’, migliaia di soldati statunitensi, appoggiati da aerei da combattimento, carri armati ed elicotteri hanno cominciato ad attaccare piccole città e villaggi soprattutto nella zona nordoccidentale di Al-Anbar.
Secondo le corporazioni mediatiche e l’esercito americani l’obiettivo di queste operazioni è di “estirpare” i combattenti di al-Qaida in Iraq, insieme ai cosiddetti insorgenti. Una giornalista irachena che scrive con il nome di Sabah Ali (perché teme le vendette delle autorità di governo americano iracheno) e che da poco è tornata dalla zona di Al-Qa’im in Iraq nel suo servizio racconta una storia completamente diversa.
Arrischiandosi nella zona dei combattimenti a fine settembre/primi di ottobre, Sabah ha visitato il villaggio di Aanah, 360 km ad ovest di Baghdad, compiendo un’impresa che nessun giornalista occidentale non-embedded avrebbe osato intraprendere. Quella che segue è la relazione di Sabah, con alcune foto che mostrano l’effetto di queste operazioni sulle zone dove vivono civili:Ci sono 1500 famiglie di rifugiati che ora vivono in questa nuovissima e moderna città di Aanah (la vecchia Aanah è stata allagata dall’Eufrate quando è stata costruita una diga negli anni ottanta). Secondo l’Aanah Humanitarian Relief Committee (AHRC) ci sono 7450 famiglie di Al-Qa’im e delle zone circostanti sparpagliate in diverse città e villaggi ad ovest e nel deserto. La relazione dell’AHRC dice che alcune centinaia di famiglie sono ancora bloccate ad Al-Qa’im; non sono potuti andare via per diverse ragioni, infatti alcuni sono mutilati (ce ne sono molti adesso ad Al-Qa’im), oppure non hanno i soldi per andarsene o preferiscono stare sotto le bombe piuttosto che vivere in un campo rifugiati.
Molte famiglie non hanno potuto andarsene, per esempio Abu Alaa’, a cui mesi fa è stata danneggiata la casa, e la cui moglie ha perso la vista in quell’attacco, non ha potuto andarsene perché avevano sparato ancora a sua moglie e suo suocero la settimana scorsa, ferendo un’altra volta sua moglie all’addome; è ancora in ospedale, e lui non è potuto partire. Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressione perché queste famiglie possano avere la possibilità di andarsene prima che la città venga devastata. Chi resta indietro non è per forza un combattente, ma semplicemente non ha potuto muoversi.

Le famiglie rimaste nella zona sono nelle seguenti città/paesi/posti: The Projects area (2500 famiglie), Okashat, (950 famiglie), Fheida (500), la fabbrica di fosfato (400), la fabbrica di cemento (350), Tiwan (400), Aanah (1,500), Raihana (100), Hasa (200), Jbab (125), Nhaiya (100), and Ma’adhid (75).
Le persone sono rintanate nelle scuole, negli edifici pubblici e nei centri giovanili. Molti sono nelle tendopoli e vivono nelle tende donate da vari enti di assistenza locali.

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I più fortunati sono quelli che hanno amici o parenti con i quali stare in case vere e proprie. Molti di loro hanno bisogno di cure mediche, i bambini e i ragazzi non vanno a scuola, hanno già perso un anno l’estate scorsa, e le donne stanno avendo difficoltà inimmaginabili per cercare di mandare avanti le famiglie in condizioni impossibili. Il centro giovanile di Aanah è diventato un campo rifugiati dove 45 famiglie vivono in tenda e 17 famiglie nell’edificio.

Raja Yasin, una vedova originaria di Bassora che però si è sposata ed ha avuto i suoi 10 bambini ad Alqaim dice: “Se non fossimo corsi via saremmo stati uccisi dalle bombe. Ora non abbiamo più niente, abbiamo bisogno di coperte e di cibo.” La famiglia di Raja è disperatamente povera e l’unica cosa che le è rimasta è suo figlio, un ragazzino che aiuta a mantenere la famiglia. Ma Raja è contenta di essere scappata con la sua famiglia [perché]: “i bombardamenti cominceranno domani,” ha detto.

La signora Khamis, madre di otto figli e moglie di un insegnante di liceo non è in una situazione migliore: “Siamo dovuti scappare scalzi; ho lasciato il pranzo sui fornelli quando è iniziato l’attacco. Ci furono delle forti esplosioni e colpi di mortaio e siamo dovuti correre per le strade laterali con le bandiere bianche” Ma non sta bene nemmeno nel campo: “Non c’è acqua calda, devo fare il bagno ai bambini con l’acqua fredda e il tempo sta cambiando. C’è un solo bagno comune per tutte queste famiglie: tutti insieme uomini, donne e bambini. Mio fratello ha provato a ritornare ad Al-Qa’im tre volte per prendere qualche vestito e qualche cosa da casa nostra, ma non è riuscito a superare i check point. Abbiamo bisogno di coperte, carburante e medicine… l’attacco comincerà domani.”
Per due mesi prima dell’ultimo attacco la famiglia Khamis non ha ricevuto né la razione di cibo né lo stipendio mensile.
Molti malati nel campo avevano bisogno di assistenza medica immediata, soprattutto i bambini, ma le famiglie sono bloccate lì e dopo il secondo attacco su Haditha, con il nome di ‘Operation River Gate’, tutte le strade erano completamente chiuse.
Il Dr. Hamdi Al-Aloossy, direttore generale dell’ospedale di Al-Qa’im è stato ad Aanah, per incontrare il Dr. Walid Jawad, direttore generale dell’ospedale di Aanah, per discutere ovviamente sul da farsi per quanto riguarda i rifugiati e l’imminente invasione di Al-Qa’im.
Il Dr. Hamdi ha confermato che la maggioranza della popolazione di Al-Qa’ims, 150.000 persone hanno lasciato la città e che sono rimasti solo i mutilati e quelli che hanno preferito restare. Ha altresì confermato che molti dei feriti che ha curato erano donne e bambini (lo aveva già confermato anche tre giorni prima al canale Al-Arabia.) Ha spiegato che le famiglie hanno meno paura dei bombardamenti, dei combattimenti o dei mortai di quanta non ne abbiano di un’invasione americano irachena della città, cosa che è stata detta anche da molte famiglie.

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Secondo il Dr. Hamdi: “Dopo che molte famiglie hanno visto alla televisione quello che è successo a Tal-Afar, e dopo la minaccia del Ministro della Difesa di attaccare Al-Qa’im, si è sparso il terrore e c’è stata un’immigrazione folle. È stata un’affermazione irresponsabile da parte del Ministro della Difesa. Non ci sono stati ordini militari di evacuare la zona e queste migliaia di bambini e di famiglie stanno vivendo nelle zone desertiche in condizioni molto disagiate. Un bambino di 2 mesi ha ricevuto sette punture di scorpione. Altre due famiglie, ciascuna di 14 membri, sono state avvelenate dal cibo in scatola. Nei campi le condizioni di sicurezza per quanto riguarda la salute sono praticamente inesistenti e lo stesso vale per le zone bombardate ed attaccate dove il rischio è altissimo. Mi viene da piangere se penso a quelle famiglie. La mortalità infantile per malattie normali è triplicata perché non abbiamo vaccini né elettricità per conservarli. La salute delle donne non può essere controllata e molte di loro se ne sono andate via dalla città. Prima visitavamo 200 donne al giorno, ora 15-20, e anche se non abbiamo delle statistiche possiamo dire che la percentuale di donne morte è raddoppiata.”

“Ripariamo l’ospedale ogni due mesi, i vetri, l’acqua, l’elettricità… e poi lo bombardano un’altra volta. Il governo deve fare qualcosa. La violenza porta solo altra violenza.
Il Dr.Walid di Aanah, ha detto che il suo ospedale non basta per tutti questi rifugiati.
“Stiamo visitando 500-600 pazienti al giorno, ma non abbiamo i mezzi. Non c’è un chirurgo, né un anestesista, mancano le medicine e l’attrezzatura di pronto soccorso, gli sciroppi per i bambini e materiale da laboratorio, ecc…” ha detto il Dr. Walid, “E ad Annah in ogni casa ora vivono 3-5 famiglie.”
Nel corso della nostra visita durata un’ora nell’ufficio del Dr. Walid, i pazienti non hanno smesso di entrare ed uscire. La maggior parte di loro sono di Al-Qa’im o di Rawa, un’altra città dell’Iraq occidentale che ha subito una terribile invasione tre mesi fa. Una ragazza di 18 anni, Sabreen, zoppica e ha bisogno di un’operazione e di una terapia naturale. È una delle 5 operaie della fabbrica tessile di Rawa alle quali i militari americani hanno sparato tre mesi fa. Il Dr. Walid l’ha mandata da un suo amico chirurgo a Ramadi.
Al liceo di Aanah, abbiamo incontrato 14 famiglie; la maggioranza di loro erano di Rawa.
Hanno trasformato le aule in camere degli ospiti, soggiorni e cucine. I banchi vengono usati come tavoli da cucina, e i piatti e i vestiti si lavano in cortile. Inutile dire che tutte le scuole nelle aree sotto attacco sono chiuse, ma ad Aanah, dove la situzione è relativamente calma le scuole sono aperte, anche se si usano solo 2-3 aule per lasciare il resto alle famiglie dei rifugiati.
La cosa più triste di queste famiglie è che non sanno perché devono affrontare questo destino. Aala’ Ahmad, 15 anni, non capisce perché le truppe americane hanno potuto prendere la casa della sua famiglia, occuparla e mandarli via, perché da lì si vede tutta la città di Rawa: “Non ci hanno permesso di tornare a casa nostra, e hanno aggiunto che dovranno tornare regolarmente,” ha detto. Aala’ ha perso il suo anno scolastico. Um Ismael, madre di sei figli non capisce perché i soldati americani hanno fatto saltare il cancello di casa sua quando era aperto. “Hanno perlustrato dappertutto e distrutto ogni cosa, e non hanno trovato nulla,” ha detto, “non c’erano nemmeno degli uomini giovani da arrestare. E adesso come faremo?”

Le famiglie con le quali abbiamo trascorso la nostra prima notte ad Aanah stavano occupando il terreno di un cantiere abbandonato. È una casa piuttosto grande a due piani. Il suo proprietario è un avvocato di una famiglia in vista, che pensava di farne una pensione. Le donne l’hanno ripulita dalle carcasse di animali, dai calcinacci e dalla spazzatura… hanno provveduto ad acqua, luce elettrica e tappeti di plastica per terra, stracci nelle aperture delle finestre, ma ancora non è comoda per viverci, di notte è pieno di pipistrelli e dalle finestre entra aria fredda, le scale sono senza ringhiera, …ecc.

Afaf, insegnante e madre di sette figli ha descritto quello che è successo: “Ce ne siamo andati 3 settimane fa quando sono cominciati i bombardamenti su Al-Qa’im. Alcune famiglie se ne erano già andate dopo che il Ministro della Difesa Sadoon Al-Duleimi, aveva minacciato un attacco a tappeto sulla zona di Al-Garbiya. Hanno fatto bene, perché hanno avuto tempo per prendere con sé qualche mobile, vestiti, cibo e vettovaglie. Quando invece sono cominciati i bombardamenti noi siamo dovuti scappare più velocemente possibile. La gente correva via dalla città, tenendo in mano bandiere bianche, terrorizzata, alcuni in macchina, altri a piedi; alcuni con i loro camion hanno aiutato gli anziani e le famiglie.”
I motivi che hanno spinto tutte queste famiglie ad andarsene potevano essere più o meno simili, ma tutti erano d’accordo su una cosa: avevano paura dell’imminente invasione americano irachena. “Dobbiamo preoccuparci per le nostre figlie. Si può aggiustare tutto tranne l’onore,” ci ha ditto Afaf. Avevano paura che gli invasori violentassero le loro figlie. “Abbiamo visto quello che è successo a Tal-Afar. Arrestano tutti gli uomini, le donne sono lasciate da sole e le strade sono chiuse. Non vogliamo trovarci in questa situazione,” ha detto Afaf.
Altre famiglie stanno vivendo in condizioni orribili in vari campi rifugiati sparsi per tutto il nordovest della provincia di Al-Anbar.

Ricordiamoci che questa visita ha avuto luogo appena prima che cominciassero le attuali operazioni militari maggiori. Le notizie da quella zona confermano che la situazione è peggiorata moltissimo.
Un’altra mia amica, tornata da poco dalla zona di Al-Qa’im dove ha portato aiuti alle famiglie di rifugiati durante una telefonata ha raccontato, “Non puoi immaginarti la situazione nella quale stanno vivendo queste persone, Dahr. Moltissime delle loro case sono state bombardate dagli aeri da combattimento, persone che vivono nelle tendopoli e famiglie nel deserto sono senza coperte né cibo. È orribile.”
Secondo una recente indagine dell’IRIN (United Nations Integrated Regional Information Networks) in base a quanto riferito dai residenti della zona, al momento “Quasi 1000 famiglie sono scappate dalle loro case ad Haditha nell’Iraq occidentale, in seguito all’inizio dell’operazione militare americana per scovare gli insorgenti nella città nella valle del fiume Eufrate.”

Data: 8 agosto 2005

Fonte: Dahr Jamail’s Iraq Dispatches

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Traduzione dall’inglese a cura di OLIMPIA BERTOLDINI per www.comedonchisciotte.org

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