DI MASSIMO FINI
ilgazzettino.it
Non parlerò del caso Berlusconi-Veronica. Credo che anche un premier, al pari di ogni altro cittadino, abbia diritto che i suoi fatti privati rimangano tali. Come credo che anche noi cittadini abbiamo il diritto di non essere alluvionati da pagine e pagine dei giornali, talk show, trasmissioni, interviste, che spiattellano fino ai minimi dettagli, i fatti privati del premier, proprio mentre avvengono cose gravissime che riguardano direttamente noi italiani e, in primis, il nostro governo e il suo capo.
Una settimana fa una pattuglia di nostri soldati ha ucciso una bambina afgana di 12 anni e ferito tre suoi familiari che viaggiavano su una Toyota Corolla bianca che non si era fermata all’alt. Come Calipari. Solo che l’auto di Calipari non si era fermata a un posto di blocco, mentre quella su cui era la bambina viaggiava semplicemente in senso opposto ai blindati italiani.
Nella foto: Il generale Marco Bertolini, capo di Stato maggiore della missione IsafLe spiegazioni che i nostri comandi hanno dato dell’incidente sono penose. I soldati italiani avrebbero prima lanciato un razzo, poi sparato dei colpi in aria, poi uno a terra, poi uno al motore e infine uno alla macchina. Abbiamo delle pallottole formidabili, perché una sola di esse ha quasi staccato la testa alla bambina, ferito gli altri occupanti mentre la Toyota, a vedere le fotografie, era crivellata nella parte anteriore e in quella posteriore. E di un cinismo ributtante è stato il commento del generale Marco Bertolini, capo di Stato maggiore della missione Isaf: “Gli afgani sono abituati a questi incidenti, purtroppo. Qui le armi fanno parte del paesaggio. Un incidente provocato dalle armi è come da noi un incidente stradale”.
La verità è che i nostri soldati hanno i nervi a fior di pelle perché, ad onta di quanto dichiarano i loro comandanti, sanno benissimo di essere odiati dalla popolazione, anche se regaliamo caramelle e costruiamo ospedali che noi stessi, o i nostri alleati, contribuiamo a riempire. Finora ce la siamo cavata con un accordo tacito con i Talebani, ma l’omicidio della bambina potrebbe avere pesantissime conseguenze.
L’altro ieri i bombardieri dei nostri alleati americani hanno raso al suolo due villaggi facendo 150 morti, in maggioranza vecchi, donne e bambini. La vicenda afgana è puntellata, quasi quotidianamente, da stragi del genere, solo che in questo caso la Croce rossa internazionale ha potuto documentarla e denunciarla. La giustificazione degli americani è sempre la stessa: in quei villaggi si erano rifugiati dei guerriglieri talebani facendosi scudo della popolazione. Due osservazioni. I guerriglieri (manipoli di tre, quattro persone al massimo) non potrebbero rifugiarsi nei villaggi se non avessero l’appoggio della gente che vi abita, altrimenti sarebbe questa, per prima, a farli fuori sapendo i rischi che corre. Seconda. Se si vogliono prendere dei guerriglieri rifugiatisi in un villaggio si mandano fuori delle truppe di terra a rastrellarlo. Ma gli americani (come gli italiani nel caso della Toyota) non vogliono correre nessun rischio. Ma il combattente che non combatte perde ogni legittimità.
In guerra l’eccezionale legittimità ad uccidere deriva dalla possibilità di essere, altrettanto legittimamente, uccisi. In Afghanistan questa reciprocità non c’è. Gli eserciti della Nato stanno asseragliati nelle loro basi e bombardano, possibilmente con aerei fantasma, i Dardo e i Predator, senza pilota, telecomandati da Nellis nel Nevada. Si esce così dall’ambito della guerra e si entra in quello dell’assassinio, non solo quando si uccidono civili ma anche guerriglieri.
Il nostro ministro degli Esteri, Frattini, ha dichiarato che la Conferenza internazionale sull’Afghanistan che si terrà a Trieste il 25 giugno servirà “per dimostrare che non siamo degli occupanti”. Non siamo occupanti? Quando sul territorio di un Paese ci sono 80mila soldati stranieri, che bombardano, radono al suolo villaggi, ammazzano resistenti e civili a decine di migliaia, sostengono un governo fantoccio che cadrebbe in 24 ore senza la loro presenza, come la vogliamo chiamare?
E in mezzo a questo macello infame, ci tocca leggere per bocca di Silvio Berlusconi: “Ho un nipotino straordinario, già a un anno sa contare fino a 15”. Forse i bambini afgani non sanno contare fino a 15, ma non sono meno bambini dei nostri bambini.
Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 08/05/2009