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La Redazione

 

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LA TEORIA DELLO SCONTRO DI CIVILTA' E IL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE

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A cura di Davide
Il 17 Gennaio 2005
181 Views
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DI JOHN PETROVATO

 
Dalla fine della Guerra Fredda, scrittori e commentatori politici hanno teorizzato che siamo entrati in una nuova guerra fondata questa volta sullo “scontro di civiltà”. La teoria, come viene proposto da scrittori quali Samuel Huntington e Bernard Lewis, tra gli altri, suggerisce che “l’Occidente” sia in guerra con l’Islam e che questa contrapposizione globale sostituirà la precedente ostilità della Guerra Fredda. Secondo la loro visione, questa battaglia non viene portata avanti per nessuna motivazione particolare, ma semplicemente a causa della violenta natura islamica e del suo odio nei confronti della civiltà occidentale.

Il problema è la natura stessa dell’Islam, una religione che non condivide i nostri valori fondamentali, e il solo modo per arginare la sua violenza e’ quello di essere spietati.

A prescindere da tali affermazioni retoriche, portate avanti come “fatti” da reti di informazione quali Fox cable news, CNN, e la maggior parte dei giornali, questa tesi viene regolarmente utilizzata dai potenti per giustificare le guerre. Gli Stati Uniti se ne sono avvalsi per legittimare la guerra con l’Iraq e l’Afghanistan, i Serbi e i Croati l’hanno invocata per giustificare la pulizia etnica sui Bosniaci e sui Kosovari musulmani, inoltre viene adottata da Israele come giustificazione per la guerra contro i Palestinesi. Per restare in linea con la teoria dello “scontro di civiltà”, Israele non ha fatto del male ai Palestinesi: in quanto musulmani e arabi, essi odiano in modo irrazionale gli Ebrei e pensano solo a distruggerli. Questa retorica è molto comune nelle conversazioni con Ebrei Israeliani e viene utilizzata regolarmente sui mezzi di informazione. E’ interessante notare che oggi, secondo gli Israeliani, questa sia la spiegazione piu’ ovvia del conflitto.La maggioranza dei Palestinesi dirà “non siamo contro gli Israeliani o gli Ebrei, ma contro la politica dello stato di Israele e contro l’opinione secondo cui il teorema ‘il potere rende giusti’ debba guidare il mondo”. Il consenso tra i Palestinesi rispetto a tale affermazione è semplicemente sorprendente, considerato il livello di violenza perpetrata regolarmente contro di loro dall’esercito israeliano e dalla polizia.

Gli Israeliani d’altro canto, accusano sempre i palestinesi, con dichiarazioni come: “I palestinesi sono incapaci di vivere in pace con noi” o, per citare il commento di un tassista: “Hanno sofferto perchè il loro comportamento irrazionale ci ha costretti ad essere duri nei loro confronti”. Di norma gli israeliani, quando viene chiesta loro la ragione del conflitto con i palestinesi, rispondono alzando le mani al cielo e dicendo: “Cosa possiamo fare? La nostra patria si trova in questa pericolosa parte di mondo”. Ovviamente, sempre restando in argomento, non mettono mai in discussione il fatto di occupare le terre di questo popolo e di negare loro i diritti umani fondamentali. L’occupazione, la più lunga della storia attuale, condannata dalle risoluzioni delle Nazioni Unite (che hanno chiesto il ritiro di Israele), è brutale nel suo utilizzo della forza militare. Si tende a credere che i due punti -l’occupazione da un lato e la violenza contro Israele dall’altro- non siano collegati. Ciò che risulta curioso ed interessante è che coloro che detengono il potere credono che la pace sia impossibile… mentre coloro che non hanno alcun potere, che hanno patito grandi sofferenze per oltre un secolo, credono che la pace con l’altro sia possibile. Senza considerare il discorso per cui Israele, a causa della sua vicinanza con questi pericolosi “emarginati” – arabi (e in particolare palestinesi)- si trova sempre a rischio di attacco. Peggio, Israele è anche esposta ad attacchi dall’interno. Dopotutto Israele viene definito come uno ‘Stato Ebraico’ e non come una società che celebri e incoraggi il pluralismo etnico. Pertanto le immagini di un pericolo interno – sia esso costituito dalla propria popolazione araba o dai Palestinesi nella West Bank- sono molto diffuse nella cultura popolare e nei media. Come i precedenti imperi coloniali, Israele dipinge i Palestinesi più come terroristi che come cittadini. Non solo: i Palestinesi vengono ritratti come persone che agiscono in branchi, in orde, quasi come animali guidati dall’istinto piuttosto che da una volontà individuale.

I media israeliani, riferendosi alle azioni palestinesi, le definiscono sempre “terroristiche” (anche quando sono non-violente o semplicemente simboliche).

Nella descrizione di questi eventi è abbastanza comune leggere sui giornali israeliani di tumulti, violenze, rivolte, tafferugli. E mentre l’IDF risponde con brutale forza, le sue azioni vegono presentate come legali, moderate, finalizzate al mantenimento dell’ordine. Nella rappresentazione dei conflitti i media israeliani sono simili a quelli statunitensi. Israele viene costruito e definito tramite le problematiche stesse che dice di affrontare e tramite l’“altro” che è la fonte dei suoi problemi. Gli Israeliani sono in guerra dentro e fuori dai propri confini. La sicurezza nazionale e il bene pubblico sono le questioni in pericolo: il terrorismo palestinese mette a repentaglio la pace dei cittadini ebrei di Israele, civilizzati e rispettosi della legge.

La retorica dello “scontro di civiltà” suggerisce che il mondo sarà sempre in guerra. Contrariamente alla Guerra Fredda con l’Unione Sovietica (un paese che è esistito per meno di un secolo), l’Islam è una religione diffusa in tutto il globo. La cornice della Guerra Fredda tra l’“Est” comunista e l’“Ovest” capitalista si è rivelata utile nell’originare questa teoria. La nuova guerra è tra l’Occidente razionale, democratico, “secolare” e tollerante e l’Oriente irrazionale, fondamentalista e violento. Orwell avrebbe potuto predire anche questo: il nuovo nemico creato la mattina successiva alla caduta di quello vecchio. Sembra quasi che l’Occidente, per sentirsi in pace con se stesso, abbia bisogno di una perenne guerra contro qualche “altro”. Forse questo ci aiuta a comprendere che cosa siamo e che cosa non siamo: semplicemente non siamo l’“altro”. Forse sono nel giusto Chomsky e gli altri quando affermano che la ragione principale per cui le nazioni fanno le guerre è di natura interna e tali guerre servono a mantenere disciplinati i propri cittadini.

Questo non coincide con quanto sostenuto dai “teorici dello scontro” come Bernard Lewis, il quale afferma che l’attrito continuerà fino a quando esisterà l’Islam. Ritiene che gli integralisti musulmani non siano una deviazione dell’Islam, ma che al contrario ne applichino una visione più corretta. Per questa ragione diventeranno, verosimilmente, più influenti col passare degli anni. Ma se tale scontro esiste davvero, allora perchè le nazioni occidentali continuano a foraggiare sia finanziariamente che militarmente queste nazioni e questi gruppi islamici? Come ha fatto notare Eqbal Amad, gli Stati Uniti hanno aiutato a lungo questo stesso nemico, sia nel caso dell’Iraq (durante e dopo la guerra Iran-Iraq), che della monarchia saudita o dei Mujahidin afghani.

Forse questa teoria va collocata in un più ampio quadro di colonialismo. Le nazioni coloniali occidentali hanno conquistato il mondo e obbligato i suoi abitanti non-occidentali a sottomettersi alla propria autorità. Si credeva e si faceva credere che il colonialismo avrebbe aiutato queste popolazioni “arretrate” nel lungo cammino che le avrebbe fatte diventare come i colonialisti. A prescindere dall’arroganza dell’idea, il colonialismo ha sviluppato sofisticati sistemi di schiavitù e servitù utili all’estrazione di importanti risorse naturali presenti nelle zone, a beneficio esclusivo delle nazioni colonizzatrici.

Curiosamente, è nell’ambito di questo stesso ‘conflitto assoluto’ che i militanti anti-occidentali collocano la loro guerra contro l’Occidente. Affermano che il conflitto è tra l’Occidente edonistico, degenerato, repressivo, immorale e crudele e il centro dell’Islam giusto, veritiero e morale. A proposito di questo argomento, scrittori come Qureshi e Sells osservano: “Coloro che proclamano tale scontro di civiltà, sia che lo facciano per l’Islam oppure per l’Occidente, mostrano gli aspetti tipici del fondamentalismo: l’assunto di un’essenza statica, immobile, immediatamente conoscibile, di ogni civiltà, la capacità di ignorare storia e tradizione, e il desiderio di guidare la battaglia ideologica nell’interesse di una delle civiltà in lotta”.

Il punto cruciale è che tale scontro di civiltà è una teoria artificiale che ha ben poche basi nella realtà. E’ stata creata e sviluppata per ragioni politiche e ideologiche, ed utilizzata per giustificare la guerra e la pulizia etnica. Se le guerre devono cessare e i conflitti devono essere risolti, come quello israelo-palestinese, dobbiamo evitare di accettare le idee pericolosamente semplicistiche che ci vengono proposte da autori rigorosamente parziali.

John Petrovato
Fonte: www.zmag.org
9.01.05

Documento originale
The “Clash Of Civilizations” Thesis and the Israeli-palestinian
Conflict

Traduzione di Marina Gamberini e Fabio Sallustro

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