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La Redazione

 

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LA TENTAZIONE MOLDAVA

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A cura di Davide
Il 3 Marzo 2005
26 Views

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George W. Bush alla conquista dell’Est

Tutto è pronto a Chisinau per una “rivoluzione arancione” in occasione delle elezioni legislative il prossimo 7 Marzo. Non è chiaro, però, in cosa i democratici cristiani di Yuri Rosca potrebbero rappresentare una rottura con l’attuale governo comunista di Vladimir Vorovin. Quest’ultimo è infatti approdato da tempo al liberalismo ad agli interessi statunitensi.

“Ancor di più al Summit di Bratislava, Vladimir Putin dovrà far capire a G. W. Bush che egli non può abusare con i simboli e che egli tiene nelle sue mani la carta della Transnistria.”

Il 6 Marzo 2005 i Moldavi sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo parlamento. Qualunque sarà il risultato dello scrutinio, non si eviterà la deriva occidentale del paese. Infatti i tre principali partiti in lizza sono favorevoli all’integrazione nell’Unione Europea. Gli Stati Uniti, pertanto, possono essere tentati di influire sul corso degli avvenimenti per eliminare le personalità uscite dal vecchio sistema sovietico, con le quali hanno fino ad ora collaborato. Dopo la “rivoluzione arancione” in Ucraina e la vittoria dei liberali in Romania, tutta la zona manifesterebbe la propria adesione al sistema occidentale.Da un mese i dirigenti del Partito popolare cristiano-democratico (ex Fronte Popolare) hanno adottato il colore arancione per le loro campagne pubblicitarie. Sui loro manifesti il presidente Iuri Rosca posa in compagnia del nuovo presidente ucraino Viktor Yuschenko, al punto che si può palare di “epidemia arancione”. Secondo un meccanismo perfettamente collaudato, i democratici cristiani hanno già annunciato che lo scrutinio sarebbe truccato dal potere e che non ne riconoscerebbero il risultato.

Ma perché lanciare una tale operazione quando il Partito Comunista al potere ha da tempo abbandonato la sua natura ed il presidente Vladimir Voronin non ha occhi che per Washington? Il dipartimento di stato vorrebbe accelerare il processo di integrazione nell’Unione Europea, malgrado la spinosa questione della Transnistria, a rischio di provocare una secessione della popolazione di lingua russa.

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La Moldavia è un piccolo stato di 4,5 milioni di abitanti. Senza risorse energetiche o minerarie, non può contare che sulla propria agricoltura ed offre ai suoi abitanti il più basso livello di vita in Europa. Storicamente parte della Romania, la Moldavia è stata unita all’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale. Vi si parla il rumeno, salvo in una lunga striscia ad est del fiume Dniestr (la Transnistria) ed in un piccolo territorio al Sud (la Gaguzia) dove si parla il russo e l’ucraino.

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Nel 1989, quando Mikhail Gorbaciov stava per essere eletto capo di stato e cominciava a ridiscutere l’apparato ereditato dallo stalinismo, 400 000 Moldavi scesero nelle strade della capitale (chiamata allora Kichinev, oggi Chisinau) per reclamare la riunificazione con la Romania. Troppo felice per l’inaspettata fortuna, il presidente rumeno, Nicolae Ceausescu, denunciò gli accordi del 1940, dichiarandosi pronto alla riunificazione. Fu immediatamente rovesciato da una rivoluzione sapientemente inscenata dai servizi russi e statunitensi coalizzati e di cui il “carnefice di Timisoara” resta il simbolo. Non è, in definitiva, che nel giugno del 1990 che la Moldavia proclama unilateralmente la propria indipendenza, contro il parere dei Gaguzi e dei 700 000 abitanti della Transnistria. Mikhail Gorbaciov lanciò un ultimatum alle autorità locali e minacciò di ricorrere alle maniere forti. Dopo diverse recrudescenze, avendo l’URSS cominciato il suo processo di disintegrazione, Mosca accettò l’indipendenza della Moldavia, sotto la riserva dell’integrazione nella Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Cosciente che la riunificazione alla Romania non avrebbe apportato grandi cose ed avrebbe rischiato di provocare la disintegrazione del loro paese, i moldavi rinunciarono a questo progetto in occasione del referendum.

Eppure se la questione della Gaguzia era stata regolata da uno statuto di autonomia, quella della Transnistria è degenerata. La Russia è intervenuta, nel 1992, per proteggere le popolazioni di lingua russa, dispiegando la 14° armata. Ma quest’ultima, comandata dal generale Alexader Lebed, ha condotto la sua politica senza riferirne sempre al Cremino. Se il numero di soldati russi presenti sul territorio è diminuito, da 10 000 a circa 2500 oggi, non ve ne sono comunque meno in virtù dell’accordo bilaterale. Sotto la loro protezione, la Transnistria si è autoproclamata indipendente e si è perfettamente organizzata. Fin qui la Russia, che intrattiene dei legami privilegiati con l’Ucraina, non aveva alcun interesse strategico nell’affare. Si trattava, piuttosto, di un legame affettivo che si era dimostrato un eccellente segnale per gli Anglo-Sassoni sempre pronti a sostenere movimenti separatisti in Russia.

Nel Novembre- Dicembre 2004, gli Anglo-Sassoni hanno preso il controllo dell’Ucraina in favore della “rivoluzione arancione”. Le truppe russe della Transnistria si sono trovate dunque tagliate dalle proprie basi. Pensando che fosse il momento di sbarazzarsene per gettarsi fra le braccia della NATO, Andrei Satran, Ministro moldavo degli affari esteri, si è appellato all’OSCE denunciando l’occupazione illegale del territorio moldavo; dichiarazioni qualificate immediatamente “assurde, irresponsabili e non amichevoli” dal Cremino, brandendo l’accordo bilaterale e ricordando marginalmente la fornitura a basso prezzo di energia alla Moldavia.

Tutto accade come se la Casa Bianca cercasse di spingere la situazione a suo vantaggio pensando che la Russia, incapace di reagire a Kiev, lo sarebbe egualmente a Tiraspol. Sicuramente il presidente Vladimir Putin, che domani incontrerà il suo omologo George W. Bush a Bratislava, non mancherà di tracciare i limiti da non superare. Mosca potrebbe decidere di sostenere in Ucraina la popolazione di lingua russa, che ha massicciamente votato Viktor Yushenko, e di incoraggiarla a riavvicinarsi ai Transnistriani per reclamare insieme la loro riunificazione alla Russia.

Washington è dunque invitata a pensarci due volte prima di dare il segnale della sua “rivoluzione” arancione a Chisinau. Nel 2001, il partito comunista aveva alzato le mani alle elezioni legislative e Vladimir Putin era diventato il primo presidente comunista eletto democraticamente. A differenza dei partiti fratelli dell’Europa centrale ed orientale, il Partito Comunista moldavo non ha considerato utile cambiare di nome per riciclarsi. Ma non ha esitato a cambiar rotta. Abbandonando la sua politica sociale è diventato filo-statunitense al punto da sostenere l’invasione dell’Iraq e sfidare la Russia sullo scenario internazionale. Tutti i sondaggi lo accreditano, ancora questa volta, di una vittoria schiacciante.

Dato che l’opposizione è insieme disomogenea e poco credibile, il partito verso il quale si dirigono molti sguardi e speranze è la coalizione “Moldavia democratica”, creata quest’estate e che raggruppa più partiti che vanno dal centro-sinistra alla destra classica. Vi si ritrova, in particolare, il Partito Sociale Liberale, il Partito Democratico, l’Alleanza Braghis (dal nome del suo dirigente principale). Questa coalizione, diretta da Serafim Urechean, sindaco della capitale moldava, è molto presente nelle grandi città e soprattutto a Chisinau. E’ molto meno conosciuta nelle campagne, che sono appannaggio dei comunisti molto presenti e che dispongono di una rete ben organizzata.

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L’altro partito relativamente importante dell’opposizione è il Partito Popolare Cristiano Democratico (PPCD), marcatamente orientato a destra, entrato al Parlamento da quattro anni ma i cui 11 deputati non hanno bilanciato i 71 deputati comunisti e i 19 di una alleanza di centro-sinistra. A dispetto del suo programma elettorale poco chiaro e delle sue possibilità di vittoria ridotte, il suo capofila, Iuri Rosca, ha già riservato la piazza centrale della capitale per due settimane a partire dal 7 Marzo, nella speranza di ripetere il colpo di Kiev. Già da ora è circondato da squadre abituali della NED, della Freedom House e della Fondazione Soros, ma incontra qualche difficoltà a spiegare in cosa potrebbe segnare una rottura politica con il governo attuale.

Se le elezioni in Ucraina hanno diviso geograficamente il paese fra l’est e l’ovest, quelle moldave hanno la tendenza a dividere il paese fra città e campagna. La situazione economica difficile ha spinto circa un milione di moldavi ad abbandonare il paese da una decina d’anni. Sono soprattutto le zone rurali ad essersi private della loro forza lavoro, mentre i pensionati, che restano, sono soddisfatti del Partito Comunista che mantiene il livello delle loro pensioni. Nelle città, soprattutto nella capitale, dove si concentrano le sacche di ricchezza, la politica governativa è osservata con la lente d’ingrandimento e con occhio critico dalla stampa, dalle organizzazioni non governative e dalle istanze internazionali.

La settimana passata, il nuovo presidente rumeno Traina Basescu ha compiuto la sua prima visita di stato in Moldavia. Ha assicurato che il suo paese “si farà avvocato della Moldavia e sosterrà la sua integrazione nell’Unione Europea”, ma Bruxelles non ne vuol sentire parlare fino a che i moldavi non avranno trovato una soluzione alla questione della Transnistria.

Margareta Donos-Stroot avec la rédaction du Réseau Voltaire
23 02.05

Per gentile concessieone di Réseau Voltaire

Traduzione per www.comedonchisciotte.net a cura di Elio B.

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