LA STRAGE NEL CAMPUS AMERICANO, LA CULTURA DELLA PAURA…

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…E IL DECLINO DELL’OCCIDENTE BORGHESE

DI CARLO GAMBESCIA

Quel che è accaduto ieri negli Stati Uniti, dove in un campus universitario, uno studente armato ha ucciso più di trenta persone ferendone molte altre, deve far riflettere su quella cultura della paura che va diffondendosi in Occidente. E che spinge le persone ad armarsi, e per reazione, a farsi giustizia da sole. Il discorso è piuttosto lungo e complesso. E dovremo prenderlo da lontano. Chiediamo perciò al lettore un briciolo di pazienza, per poi giungere a conclusioni, piuttosto sorprendenti ma interessanti dal punto di vista della storia comparata delle civiltà.

Quando incomincia a morire una civiltà? Di sicuro, nel momento in cui inizia a essere corrosa dalla paura. Quando si diffonde tra la gente uno stato di agitazione, ansia, terrore, che va ben oltre l’entità del pericolo reale: la collettività scorge nemici ovunque e ne amplifica la pericolosità in misura irragionevole e inspiegabile. Come un corpo malato, anche le civiltà si difendono elevando la propria temperatura fino a scivolare nel delirio. Così accadde nel III secolo ai Romani davanti ai cristiani e barbari, dipinti come cannibali (i primi) e asociali selvaggi (i secondi). E così avvenne in età moderna, all’antica nobiltà feudale di fronte al borghese in ascesa, raffigurato come un essere, al contempo rapace e sciocco.Nelle età di decadenza prevalgono gli stereotipi. Una civiltà che inizia a dissolversi ha bisogno di parole d’ordine rozze ed emotive, e soprattutto capaci di risvegliare nelle folle solitarie, pericoli diffusi, sfuggenti, misteriosi e terribili. Il timor panico, se per un verso può spingere ad armarsi (anche grazie a una legislazione permissiva, come negli Stati Uniti) e provocare tragedie come quella di ieri, consente al potere di controllare meglio i popoli e fronteggiare i nemici interni ed esterni. Ma fino a un certo punto: i Romani e le aristocrazie feudali alla fine uscirono sconfitti dal confronto epocale con cristiani, barbari e borghesi, perché già privi di nerbo e coesione culturale, militare ed economica. E oggi, è il turno degli Usa, in lotta contro il “nemico islamico”.

La paura e la conseguente burocratizzazione della società per serrare le fila, da sole però non bastano. Le febbre può salire, pervadere gli individui (e spingerli a commettere atti di violenza inusitata), come accade nelle gravi neoplasie, il rialzo febbrile può essere frutto di metastasi, e dell’abnorme aumento dell’attività di alcuni organi, le cui scorie non possono essere eliminate dall’organismo con la stessa rapidità con cui vengono prodotte. Fuor di metafora: anche se ricorre all’uso politico della paura, una cultura che ha perduto la propria creatività, è condannata prima o poi a scomparire. “Paura” e “Forza”, da sole, non bastano a tenere insieme una civiltà.

Oggi, pare giunta l’ora della classi borghesi. Sono in crisi, perché la cultura materialistica, di cui sono impregnate, è profondamente corrotta e malata, come mostrano episodi di gravissima violenza come quello avvenuto ieri negli Stati Uniti. Il borghese tenta però di rinviare a tutti i costi la resa dei conti. Tuttavia la febbre da metastasi sale, e così la paura si diffonde tra le folle delle metropoli americane e occidentali. E di riflesso la società si burocratizza.

Un sociologo nordamericano, Barry Glassner, autore di uno studio sulla “cultura della paura” negli Stati Uniti (The Culture of Fear, Basic Books 1999 – www.perseusbooksgroup.com/basic/) ha chiarito molto bene come le voci su microbi incontrollabili, crimini orrendi, incidenti, sparatorie, amplificate ad arte dai media (facendone, libri, film e speciali televisivi), siano in realtà strumenti per controllare la gente. Forme di controllo sociale.

Dopo l’11 Settembre, gli Stati Uniti hanno semplicemente sostituito, come “pericolo numero uno”, al nero e all’immigrato, il terrorista “islamico assetato di sangue”. Secondo Glassner (di cui ci piace ricordare la partecipazione a Bowling for Columbine di Moore) tutto ciò serve a tutelare i privilegi delle élite politiche, economiche, culturali e militare al potere (privilegi cui si aggrappano, non credendo più in altro). Di riflesso i veri disagi sociali (povertà, disoccupazione, marginalità culturale) sono così occultati, mentre i dati sui pericoli, spesso “irreali”, vengono ingranditi per seminare paura e imporre ubbidienza.
Oggettivamente, il ragazzo che ieri ha ucciso più di trenta persone, rafforza il potere. E questo spiega pure, perché la vendita delle armi a privati (certo, entro certi limiti), difficilmente verrà vietata negli Usa. Il cittadino-armato, che si trasforma in una scheggia impazzita” è funzionale alla difesa dello status quo.

La stessa cosa accade in Europa. Eric Werner, filosofo-sociologo svizzero, ha mostrato, da par suo (L’anteguerra civile, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2004 – http://www.libreriaeuropa.it/). come il potere borghese incoraggi oggi il disordine e la paura che ne segue, chiudendo gli occhi davanti all’immigrazione indiscriminata e alla microcriminalità diffusa (e spesso anche di fronte a quella “macro” dei colletti bianchi”). Per poi imporre il “suo” ordine. Accrescendo in modo soffocante i controlli sui cittadini. Lo scopo delle élite “politicamente corrette” sarebbe perciò quello di anestetizzare e depoliticizzare i cittadini, isolandoli. In Europa come in America si vuole perseguire “l’ordine attraverso il disordine”. Ma a quale prezzo?

Secondo David Lyon, sociologo canadese, “l’obsessione sécuritaire”, conduce al controllo sempre più stringente dei cittadini, attraverso l’uso massiccio di tecnologie elettroniche (si veda per tutti La società sorvegliata, Feltrinelli 2002 – http://www.feltrinelli.it/ ) .Nella “società sorvegliata” (come nel Panopticon, il carcere modello progettato da Bentham, padre dell’utilitarismo borghese), c’è un occhio centrale, oggi elettronico, che controlla ogni azione dell’uomo. Di più: ne fa scomparire il corpo “riformulandolo digitalmente”… Insomma, in certa misura, secondo Lyon, saremmo già oltre le già sconfortanti previsioni di Orwell: il potere non agisce più ( o non solo) sul linguaggio, cambiando il senso delle parole, ma agisce direttamente sui corpi, trasformandoli, attraverso l’occhio elettronico in password. Infatti, l’ occhio, la mano, eccetera, già oggi garantiscono, come negli Stati Uniti (dove si registra – si noti la “coincidenza” – un numero crescente di “schegge impazzite”), l’ accesso a servizi sociali e sanitari. E domani potrebbero garantirlo a prestazioni ancora più selettive e socialmente discriminanti, ad esempio nei riguardi di ex detenuti, ex tossicodipendenti, malati di Aids. Infine, già oggi sussiste la possibilità di perdere, in caso di privazione involontaria delle proprie coordinate elettroniche, anche l’identità civile, e così sparire di colpo, o essere scambiati con altri.

In futuro sarà perciò sufficiente digitare il nome di un “pericoloso agitatore” per farlo scomparire? Sembra di sì. Ecco i “vantaggi” del progresso: dall’eliminazione fisica a quella digitale. E, attualmente, ogni scheggia impazzita, come lo studente americano di ieri, favorisce “oggettivamente” (e dunque “sociologicamente”), lo ripetiamo, questo processo di “securizzazione” radicale della società.

Ma basterà l’uso intensivo di tecnologie elettroniche a salvare la società borghese? Dietro le macchine ci sono gli uomini, e dietro questi le idee. La paura indotta dall’alto, prima o poi rifluisce e contagia anche il potere, che inizia a temere in misura crescente di non essere più ubbidito. Di qui conflitti e inasprimenti fino allo scontro finale che, come mostra la storia, premia le forze giovani e vede soccombere quelle senili, prive di idee e creatività… E, oggi, i “morsi” della paura (si pensi alla visione paranoica della politica del gruppo che gravita intorno a Bush figlio) indicano che il ciclo borghese, nonostante il tentativo americano di riorganizzazione imperiale liberal-liberista, è entrato, da un punto di vista più generale, nella fase discendente.

Diocleziano, verso la fine III secolo d.C., cercò di riorganizzare le istituzioni imperiali. In parte vi riuscì e l’Impero, grazie anche ad altri sovrani, durò ancora, circa due secoli. Ma gli Imperatori successivi non poterono far nulla per contrastare la “cultura della paura”, impadronitasi delle istituzioni, e così della vittime come dei carnefici. E alla fine Roma crollò.

Ecco, il nostro tempo assomiglia a quello di Diocleziano.

Carlo Gambescia
Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
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17.04.2007

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