DI LUCIANO GIANNAZZA
Medicinenon
Il Chicago Tribune riporta che Cho Seung Hui, lo sparatore del Virginia Tech
che ha ucciso 32 suoi compagni in un raptus omicida, stava prendendo anti
depressivi. Non è la prima volta che un raptus omicida conclusosi in una strage
in altre scuole è stato collegato al consumo di antidepressivi. L’atroce
sparatoria di Colombine, fra altre, è avvenuta otto anni fa, e gli sparatori
anche in quel caso prendevano antidepressivi.
E’ un caso che dei ragazzi, altrimenti ritenuti normali e non violenti, che
all’improvviso prendono in mano pistole e fucili, e poi si mettono a sparare
all’impazzata sui loro compagni, prendessero psicofarmaci di un tipo o di un
altro?
Se così fosse, sarebbe anche un caso che i fumatori hanno più probabilità di
ammalarsi di cancro ai polmoni dei non fumatori.
E in effetti il ragionevole dubbio che gli psicofarmaci inducano all’omicidio e
al suicidio potrebbe diventare certezza se delle ricerche in tal senso
venissero fatte senza l’ostruzionismo delle case farmaceutiche per ovvi motivi,
interessi economici che raggiungono cifre astronomiche, e quando dico
astronomiche non sto esagerando.
Oltre a questo c’è l’omertà dei media che molto raramente riportano che gli
autori delle stragi nelle scuole o delle cosiddette stragi famigliari, nella
quasi totalità dei casi, erano psichiatrizzati e dediti al consumo di
psicofarmaci, e quando fanno dei timidi accenni, lo fanno in maniera quasi
inavvertibile, proprio di sfuggita.
La ragione per cui i media non riportano che molto spesso gli individui che
vengono colti da raptus omicidi o suicidi erano dediti al consumo di
psicofarmaci è che le case farmaceutiche costituiscono una grossa fetta dei
loro inserzionisti, che nell’arco dell’anno pagano milioni di euro per la
pubblicità delle loro pastiglie per il mal di testa, antiacidi e lassativi, e,
in un mondo in cui l’etica ha un valore minore del denaro, nessuno, fra coloro
che hanno perso la propria integrità personale, sputa nel piatto dove mangia.
A causa di questo la comunità rimane all’oscuro di particolari importanti e
nessuno si pone la domanda: ” Ma non saranno questi psicofarmaci la causa di
quei raptus omicidi?” e ovviamente non chiede a gran voce che venga fatta luce
a riguardo.
Nel caso della strage del Virginia Tech, lo sparatore prendeva
antidepressivi. Guarda caso, quando avvengono gravi atti di violenza nelle
scuole, quasi sempre gli psicofarmaci fanno parte della scena del crimine.
Che gli antidepressivi hanno gravi effetti collaterali è ben noto alle
autorità, tant’è vero che negli Stati Uniti è obbligatorio porre una etichetta
sulle confezioni di tutti gli anti depressivi che informa che “stati d’ansia,
agitazione, attacchi di panico, insonnia, irritabilità, ostilità, aggressività,
impulsività, acatisia (impossibilità di stare fermi), ipomania, mania sono
stati riscontrati in pazienti adulti e pediatrici trattati con antidepressivi
per forti disturbi depressivi o altri disturbi sia psichiatrici che non
psichiatrici”. Viene da chiedersi perché non vengono poste chiare indicazioni
sulle confezioni vendute in Italia. A questo proposito leggi il mio articolo
del novembre 2004:
The Black Box
Il collegamento fra gli antidepressivi e la violenza è noto da anni ai
produttori, a chi si occupa del loro marketing e a chi li prescrive.
Alla luce di questo ultimo grave fatto che ha portato alla morte 32 persone
innocenti, tutte le stragi avvenute apparentemente inspiegabili dovrebbero
essere riesaminate al fine di vedere se c’è un collegamento fra tali delitti e
il consumo di psicofarmaci, di modo che possano essere presi adeguati
provvedimenti. E se lo si vuole cercare veramente, sono sicuro che si
troverà il collegamento.
Non è la prima volta che faccio questa proposta, come puoi vedere da questi
miei due articoli:
Le Stragi Famigliari – seconda parte
Negli Stati Uniti ora, dopo questo ultimo episodio, si sta facendo pressione
per un maggiore controllo sulla distribuzione delle armi. Come al solito,
quando i problemi rimangono irrisolti, è perché si cerca la loro causa nella direzione sbagliata.
Sebbene il controllo delle armi sia comunque auspicabile, il controllo va fatto
sulla prescrizione degli psicofarmaci. Al contrario viene invece approvata con
nuove leggi o decreti la distribuzione e la prescrizione di psicofarmaci a
milioni di bambini, nessuna meraviglia che fra essi possano formarsi
i futuri responsabili di altre stragi nelle scuole.
Dare gli psicofarmaci ai giovani è come costruire delle bombe a orologeria che scoppieranno
all’improvviso. Riempire di farmaci questi giovani turbati dal fatto di trovarsi in una
società moralmente decaduta, è il modo in cui la psichiatria si guadagna il
pane (e non solo), un’industria che ha venduto l’anima (di cui fra l’altro non
ne riconosce l’esistenza) alle case farmaceutiche e che funge da sistema di
distribuzione di droghe legalizzate a facili prede come adolescenti e bambini.
Questo non significa che Cho Seung Hui non sia responsabile, ma il medico o lo
psichiatra che gli ha prescritto gli antidepressivi ha giocato un ruolo nel
destabilizzare la mente di un adolescente che era sull’orlo della pazzia.
Per quanto sia considerata una “tragedia tipicamente americana”, non si dovrebbe pensare che
la cosa non ci riguardi, anche se la tendenza è quella di ritenere che ciò che
ci riguarda è solo quanto avviene nel nostro paese.
Quando qualche anno fa scrissi i primi articoli sull’ADHD e il ritalin, allora
era solo una “faccenda americana” e quando dicevo a qualcuno che in America
drogano i bambini con uno psicofarmaco della stessa classe della cocaina,
quasi sempre mi rispondeva che cose del genere in Italia non possono avvenire. Come
dimostrazione del contrario il 9 marzo 2007 è stata autorizzata anche in Italia dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) la vendita del Ritalin e dello Strattera, psicofarmaci da dare ai bambini e anche il Prozac potrà essere prescritto ai bambini di otto anni. Il tutto con il beneplacito del ministro della sanità.
Leggi questo articolo di sei anni fa:
Ritalin
In che modo uno psicofarmaco può fare di un adolescente, un adulto, o
anche un bambino, un killer?
La depressione e qualsiasi altra condizione indesiderata che possa affliggere
un individuo hanno origine da turbamenti dell’anima. Se un essere spirituale
non sta raggiungendo gli scopi desiderati, se le cose non stanno andando come
vorrebbe, è inevitabile che si senta depresso e infelice. L’unico vero modo di
venirne fuori è quello di risolvere i problemi che gli impediscono di
raggiungere i suoi scopi, ammesso che tali scopi siano veramente degni di
essere raggiunti. Un’altra causa di infelicità, e di tutte le sue armoniche, è
la mancanza di tali scopi.
Se chiedi a una persona depressa, infelice o insoddisfatta qual’è il suo scopo
nella vita, spesso ti sembrerà che stia cercando una risposta in un vuoto
nebuloso, mentre continua a ripetere mentalmente a se stessa: “Qual’è il mio
scopo?”, e quando ritornerà a guardarti per darti la risposta, ti dirà che non
lo sa.
Quando gli scopi non sono raggiungibili a causa di ostacoli che non si stanno
superando, o perché non si conoscono o si sono dimenticati i propri scopi, la
persona sana soffre.
Se va da uno psichiatra gli darà degli psicofarmaci e allora diventerà un
paziente.
Una persona normale quando si trova nelle condizioni di cui sopra, è altrettanto normale
che soffra, perché la sua sofferenza ha origine da una vita che non è come
vorrebbe che fosse. Ci sono due modi per smettere di soffrire, uno, corretto,
consiste nel fare i cambiamenti necessari per fare andare le cose come si
desidera, l’altro, sbagliato, consiste invece nel delegare tutto agli psicofarmaci.
Un anestetico non ti fa sentire il dolore anche se la causa di quel dolore non
è stata rimossa. Se calpestandolo si è infilzato un chiodo nella pianta del
piede, non ha molto senso lasciarlo lì dove si trova e prendere anestetici per
non avvertire il dolore. Fa molto più senso rimuovere il chiodo, la causa del
dolore. Dopo un po’ il dolore cesserà, prima ancora che la ferita sia guarita completamente.
Gli psicofarmaci agiscono da anestetici per il dolore emozionale causato dalle
ferite presenti nella nostra coscienza. Di fatto annichilano la coscienza e chi
si imbottisce di farmaci “sta bene” non è più turbato dalle sue sofferenze.
Ma le cause del turbamento sono sempre lì, non vengono rimosse.
La nostra coscienza è il guardiano del nostro comportamento. In essa risiede la
nostra capacità di essere responsabili nei confronti di noi stessi e gli altri.
Nella mente, di cui la psichiatria ritiene di sapere molto quando invece non sa
altro che se percuoti un cane un po’ di volte mentre fai suonare una campanella
si mette a guaire per il dolore, quando poi farai suonare la campanella senza più percuoterlo, il cane
guairà ugualmente, o cose del genere, … nella mente a volte sorgono
pensieri “inconfessabili”, di cui appunto gli psichiatri non ne conoscono
l’origine.
Questi pensieri inconfessabili possono comparire
soprattutto in condizioni di forte stress e contrasti. Può succedere che
durante un animato litigio compaiano pensieri come “Ti spacco la
faccia” o addirittura: “Ti ammazzo”, ma la nostra coscienza e senso di
responsabilità ci trattiene dal passare dal pensiero all’azione, al massimo
permette di dare voce a tali pensieri.
Avrai sentito qualche volta due litiganti minacciarsi con tali frasi, ma poi
non le hanno portate a compimento, la loro coscienza li ha fermati.
Assumendo psicofarmaci la coscienza viene praticamente gradualmente annullata e
l’individuo diventa succube di quei pensieri che continuano a tormentarlo e lo
spingono a tramutarli in azione.
Se questo avverrà o meno dipende dalla percentuale, se posso esprimermi in
questi termini per non diventare complicato, di coscienza non ancora completamente sotto l’effetto anestetico degli psicofarmaci.
Le persone fortemente irresponsabili che commettono azioni assai deprecabili
vengono etichettate come “senza coscienza” e questo luogo comune di fatto
possiamo considerarlo una verità. Tali persone in realtà non hanno mai smesso di avere una coscienza, solo che è completamente addormentata.
Sono stati fatti degli studi che dimostrano i collegamenti fra l’assunzione di
antidepressivi e la tendenza al suicidio e all’omicidio, ma le case farmaceutiche, appoggiate da coloro che hanno interessi comuni, negano o sminuiscono o dicono che è la malattia che
spinge a commettere le azioni sconsiderate e non i loro farmaci.
Su PLos journal, un giornale di libero accesso, sono pubblicati dei casi medico
legali che mostrano chiaramente il collegamento fra antidepressivi e la
compulsione all’omicidio e suicidio. Quello che segue è uno di questi casi:
Secondo un rapporto legale indipendente compilato un anno dopo gli eventi in
cui C.P. è stato messo sotto processo nel novembre 2001, C.P. era un bambino di 12
anni, con una famiglia con molti problemi. Malgrado le difficoltà
della sua situazione sociale, non ha mai avuto la necessità di trattamenti per disturbi
nervosi o per comportamenti violenti.
A seguito di una discussione con suo padre alla fine dell’ottobre 2001, è stato
assegnato ad un centro di rieducazione comportamentale per sei giorni dove è
stato sottoposto a trattamenti con paroxetine.(Leggi qui le avvertenze sulla paroxetine).
Il suo comportamento peggiorava di giorno in giorno mentre assumeva la
paroxetine. È stato rilasciato contro parere medico alla custodia dei nonni,
che, quando le pastiglie di paroxetine finirono, lo portarono dal loro medico curante che gli
prescrisse il sertraline da 50mg, aumentato a 100 mg due giorni prima degli
assassini di cui C.P. è stato accusato. Il sertraline fu somministrato per tre
settimane. Dopo la prescrizione del sertraline, C.P. è stato coinvolto per la
prima volta in un certo numero di episodi aggressivi a scuola, e fu segnalato
dai membri della famiglia e da membri della chiesa che era agitato ed era
insolitamente loquace a sproposito. I parenti notarono una serie di
comportamenti avventati.
Il giorno degli omicidi, i nonni gli dissero che non poteva prendere lo
scuolabus a causa di un episodio di aggressione sul bus nei confronti di uno degli
altri bambini. Più tardi quella sera partecipò alle pratiche del coro con i
nonni, che per le difficoltà crescenti lo avevano avvertito che avrebbe potuto
essere ricondotto dal padre.
Nel rapporto legale indipendente sul caso è annotato che C.P. disse quella notte:
“Qualcosa mi diceva di sparare a loro”. Inizialmente le aveva riportate come
allucinazioni e poi riferì che pensava che fossero suoi pensieri. Quando gli fu
chiesto specificamente di descrivere esattamente quell’esperienza disse che
erano “come echi nella mia testa che dicevano “Ammazzali”, “Ammazzali”, come
qualcuno che gridasse in una caverna”.
Secondo il rapporto legale, riportò che questo iniziò dopo essere andato a
letto e che prima di allora non aveva mai considerato la possibilità di
nuocere ai suoi nonni e che era qualcosa che non aveva mai sperimentato prima.
Riportò che le voci dentro la sua testa lo hanno tormentato così tanto che si
è alzato dal letto. Le voci continuarono fino a che non uccise i suoi nonni. Non riusciva
a controllarsi e gli echi si arrestarono dopo che sparò ai suoi nonni. Diede
fuoco alla casa ma non riusci a spiegare il perché di queste azioni,
semplicemente i pensieri apparivano all’improvviso.
Poi prese una macchina e cominciò a guidare, ma non aveva idea di dove stesse
andando e tutto gli sembrava come un sogno. Si ricordò di aver chiesto alla
polizia riguardo ai suoi nonni, quando fu catturato, perché non era sicuro se
fosse realmente accaduto. Questi eventi, il comportamento generale e la storia
di C.P. hanno indotto uno psichiatra pediatrico forense indipendente a
diagnosticare mania e comportamento psicotico indotti da sostanze.
Le imputazioni di duplice omicidio ed incendio doloso furono discusse in un
tribunale ordinario invece che nel tribunale dei minori. Nel
corso della selezione della giuria, 32 su 75 dei possibili membri della giuria
dichiararono che prendevano o avevano preso degli antidepressivi. Il processo
si svolse per tutta la sua durata a porte chiuse. Sia l’accusa che la difesa
sostennero fin dall’inizio che C.P. aveva ucciso i suoi nonni. I media discussero
animatamente sulla domanda: “Malvagio” o “Compulsione da sostanze chimiche?”
Nel febbraio 2005, dopo un processo che durò due settimane, una
giuria dichiarò C.P. colpevole dell’omicidio dei nonni ed è stato condannato a 30
anni di prigione.
Nonostante l’evidenza del collegamento fra gli impulsi omicidi e suicidi con
gli antidepressivi, C.P., un bambino di 12 anni è stato sacrificato da un sistema giudiziario che
parteggia per un sistema medico che è culo e camicia con le case farmaceutiche.
Luciano Giannazza
Fonte:www.medicinenon.it
Link: http://www.medicinenon.it/modules.php?name=News&file=article&sid=86
20.04.07