LA STRAGE DEI COPTI, IPAZIA, ELENA D'ALESSANDRIA E LA GLOBALIZZAZIONE TENEBROSA

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DI MIGUEL MARTINEZ
kelebeklerblog.com

In questo blog, per mancanza di tempo, ho potuto scrivere poco di originale in questi giorni. E quindi non ho scritto nulla a proposito della strage nella chiesa di San Marco ad Alessandria, in Egitto.

Quando un individuo ancora non identificato fa una strage non rivendicata, i complottisti fanno festa.

E quindi si ipotizza di tutto: al-Qaida che vuole rovesciare il Governo Amico dell’Occidente, la Manovra dell’Opposizione, l’Attacco all’Occidente, l’Insulto al Papa oppure, perché no, il Complotto Governativo per criminalizzare l’opposizione. O magari un atto di elementi estremisti, per creare guai all’opposizione democratica dei Fratelli Musulmani, che cercano da tempo di formare un’ alleanza con i cristiani.

Non lo so; e forse non sapremo mai.

Ma ho vissuto ad Alessandria, conosco i luoghi e ho una mia percezione personale della vicenda, per ciò che può valere. Nulla di documentato e mi posso anche sbagliare.

Intanto parlo di copti, perché non credo che quel cristianesimo abbia molto a che fare con ciò che chiamiamo cristianesimo in Europa, almeno oggi.

Qualcuno avrà visto le radici della Chiesa Copta nel film Agorà, dedicato alla storia di Ipazia uccisa, proprio ad Alessandria, dai cristiani. Chi non conosce l’Egitto, avrà pensato soprattutto all’uccisione della protagonista; ma chi invece lo conosce, pensa per forza anche agli egiziani che hanno messo a morte la filosofa greca.

Forse il film aiuta a cogliere alcuni aspetti fondamentali di quel particolarissimo cristianesimo, anche se in maniera critica.

Innanzitutto, quello copto è sin dalle origini un cristianesimo radicato nelle campagne e tra il popolo delle città. Che in qualche modo univa i discendenti degli antichi egiziani contro tutti gli stranieri – ad esempio, i greci e i romani che troviamo rappresentati dal mondo di Ipazia; ma anche contro gli arabi, di cui solo lentamente avrebbero adottato la lingua.

Poi è un cristianesimo che nasce contro le istituzioni, attorno a figure di santi e asceti. Mentre, come sottolinea Philip Jenkins, il cristianesimo del resto del Nord Africa è scomparso completamente, perché strettamente legato alle istituzioni imperiali, quello dell’Egitto è sopravvissuto proprio perché perseguitato dai romani e dai bizantini.

Infine, è un cristianesimo profondamente orientale. Mi ricordo di persone che facevano la fila per baciare icone o per prostrarsi di fronte alle immagini, le lunghissime liturgie in una lingua molto più estinta del latino, l’interminabile ciclo dei digiuni, le croci tatuate sui polsi quando non anche sulla fronte, l’assoluto divieto di divorzio, la pratica della circoncisione femminile ( comunemente esercitata dai fedeli cristiani e musulmani, comunemente condannata dalle autorità religiose di entrambi), l’importanza dei gesti e delle preghiere, i santini di asceti barbuti del tutto ignoti ai calendari europei, accompagnati da misteriose fiere, gli adesivi della Madonna incollati sulle copertine dei quaderni degli studenti universitari.

Una comunità umana priva di potere politico. Ma proprio per questo, sotto alcuni aspetti privilegiata.

Storicamente, chi detiene il potere in Medio Oriente, non essendo benedetto dalla sacralità dei re occidentali o dalla mistica della nazione, vive in perenne pericolo di essere rovesciato. E quindi si circonda proprio di coloro che senza di lui, verrebbero spazzati via: eunuchi senza famiglia, schiavi, cristiani ed ebrei.

Qualcosa di questa dinamica rimane oggi: almeno quando ero in Egitto, i copti potevano fare brillanti carriere nella pubblica amministrazione e nell’esercito, proprio perché non si sarebbero mai permessi di compiere un colpo di stato.

Non tutti i copti sono ricchi, anzi. Cristiani sono per la maggior parte gli zabbalin, che raccolgono casa per casa i rifiuti, li scaricano sui loro carretti trainati da asini e poi procedono a mano alla raccolta differenziata. Nel salotto di casa. Suscitando più o meno lo stesso tipo di rancore dei mendicanti zingari che secondo me c’hanno tutti la Mercedes.

Le mani di uno zabbal, raccoglitore di rifiuti, con tatuato il volto di Gesù (anzi, a ben guardare due mani di due zabbalin diversi, per evidenti motivi di chiralità)

Però, una minoranza di copti ha una presenza sproporzionata nell‘economia egiziana. Sproporzionata non vuol dire dominante, ma certamente nelle grandi imprese, nelle banche, come tra i proprietari di negozi grandi e piccoli, è assai facile trovare dei cristiani.

L’Egitto è un paese nervoso, nonostante abbia una popolazione con la singolare caratteristica di non aver mai fatto una rivoluzione in cinquemila anni. La povertà storica non ha più la copertura dello stato sociale che si era cercato di creare negli anni Cinquanta e Sessanta.

La sopravvivenza del paese dipende in grandissima parte dal turismo, che genera capitali notevoli. Ma il turismo riguarda pochissime località e poche persone, che non hanno in genere alcuna intenzione di reinvestire i propri capitali in Egitto: molto meglio un conto in banca a Londra.

Per il resto, l’Egitto dipende in larga misura da quanto il governo riesce a farsi regalare dagli Stati Uniti o dalle reti bancarie, in cambio della propria utilità alle mire imperiali. In un clima di collasso di tutte le strutture sociali, di miseria crescente e di disoccupazione per milioni.

E’ chiaro che sia le ricchezze del turismo, che i soldi che provengono da istituzioni internazionali, passano attraverso pochissime mani, tutte vicine all’intramontabile presidente Hosni Mubarak. E’ il mondo descritto nel romanzo di Alaa al-Aswani, Palazzo Yacoubian, in cui riconosco decisamente l’Egitto che ho visto io. Vi consiglio vivamente di leggerlo.

Gli altri egiziani subiscono, mugugnano, raccontano straordinarie barzellette, lavorano dall’alba a ben dopo il tramonto per mettere insieme qualcosa. E si incarogniscono. Molti musulmani, anche non particolarmente religiosi, vedono al potere un connubio di ladri, mafiosi e cristiani.

Almeno per quanto riguarda il ruolo cristiano, è una versione distorta, però conosciamo visioni ancora più distorte in Italia – alzi la mano chi non ha sentito mugugnare cose demenziali, tipo “stanno islamizzando l’Italia con la complicità della sinistra“, oppure “i Rom hanno una corsia preferenziale per i posti all’asilo“. Che maschera il vero problema: che i posti all’asilo stanno diventando sempre di meno per tutti.

Ma qui da noi, ci possiamo permettere di prendercela con gli sfigati. La situazione in Egitto fa invece venire in mente lo Sri Lanka, dove la maggioranza buddhista ha scatenato da tempo una guerra implacabile contro i tamil, più istruiti e molto più presenti nell’economia.

Nei paesi dominanti, i media riescono a sedurre. Nei paesi dominati, l’inganno è talmente evidente, e la censura quindi così palese, che le Voci riescono a essere più credibili dei media. Ora, una caratteristica delle voci, anche da noi, è che riguardano cose che colpiscono l’attenzione. Un Travaglio che esplora i meandri delle proprietà di Berlusconi fa sbadigliare, le amanti di Berlusconi galvanizzano le masse. Ora, in un sistema come quello egiziano, sia Travaglio, sia il gossip sulle veline, devono affidarsi al circuito delle voci. Facile indovinare quali si sentano di più.

Questo significa che certe voci, fondate o meno che siano, assumono una reale importanza. L’ “>islamofobia da noi ha molte cause, sia sociali che frutto di precise decisioni, ma per gli islamofobi, si tratta sempre di storie – il crocifisso che si presume offeso, la carne di maiale che scompare da una mensa scolastica, la rumorosa predica dell’imam, il modo in cui una donna copre i propri capelli.

Nel Medio Oriente molte azioni reali sono prodotte davvero da storie. Sarà vero che la guerra di Troia riguardava il controllo delle vie commerciali dell’Egeo, ma se ce la ricordiamo, è per via della storia di Elena.

E nel conflitto tra copti e musulmani, ci sono molte Elene.

Infatti, la straordinaria convivenza di etnie in Medio Oriente si è sempre basata su un patto, che si può riassumere nel concetto, io non guardo tua figlia e tu non guardi la mia. Che molti italiani di ceto medio-alto non riterranno il massimo, ma che è quasi inevitabile in una società in cui l’unica barriera contro la morte per fame è costituita dalle reti familiari.

Qualunque siano i motivi incoscienti degli scontri tra copti e musulmani in Egitto, i motivi coscienti, quelli che girano nel circuito delle Voci, riguardano quasi sempre un unico tema: la violazione di tale patto.

Se la Chiesa copta è riuscita a sopravvivere a 20 secoli di dominio altrui – tra pagani, ortodossi e musulmani – è anche per la sua intransigenza su queste faccende.

Nel 2004, Wafa Constantine, moglie del prete copto di un villaggio nel delta del Nilo, abbandonò il marito (prete), accusandolo di usarle violenza  e si dichiarò musulmana,  suscitando un’ondata di manifestazioni di protesta cristiane; fu presa dalla polizia e riconsegnata ai cristiani.

Da allora, non se ne hanno più notizie, ma i musulmani ovviamente l’hanno inserita nella propria lista di martiri.

Nel 2005, due giovani laureate in medicina cristiane del Fayyum, Marianne Makram Ayad e Teresa Ibrahim scomparvero, per poi riapparire dichiarandosi convertite all’Islam. Migliaia di cristiani scesero in piazza, brandendo croci e sostenendo che le conversioni erano state forzate, finché la polizia non le interrogò. Pur constatando  che le conversioni erano state volontarie, la polizia le riconsegnò ai copti, che poi le sottoposero a “consulenza pastorale” in un luogo segreto.

A ottobre del 2008,  il cristiano Rami Khilla è riuscito finalmente a rintracciare, al Cairo, il musulmano che aveva osato fuggire con sua sorella, Maryam: entrato nell’appartamento, Rami ha ucciso lui e ferito gravemente lei e la loro bambina. Appena una settimana prima, un cristiano era stato ucciso in una lite con un musulmano che lui accusava di aver corteggiato una ragazza cristiana.

A novembre del 2009, un cristiano fu accusato di aver violentato una musulmana dodicenne a Nag Hammadi – alcuni musulmani reagirono sparando sui cristiani che uscivano da una messa, uccidendone sei.

L’ultima strage è invece legata a un episodio che ha suscitato un’ondata di follia: Camelia Shehata Zakher, un’insegnante di scienze naturali copta trentenne, moglie di un prete, si è recata presso l’università di al-Azhar per formalizzare la propria conversione all’Islam.

I copti hanno cominciato a organizzare manifestazioni di protesta, per cui l’università di al-Azhar, probabilmente sotto pressione governativa, ha negato la conversione; e Camelia è stata oggetto di un drammatico rapimento da parte di uomini della sicurezza di stato egiziana, che l’hanno riconsegnata ai cristiani.  In seguito, Camelia è scomparsa.

Nel frattempo,  l’avvocato cristiano della Chiesa,  Naguib Gibrail, dopo aver ringraziato la polizia, ha suggerito come soluzione definitiva al problema delle conversioni il raddoppio dello stipendio ai preti, in modo che potessero tenere le proprie mogli in casa, lontane da islamiche tentazioni sul posto di lavoro.

Voi potete immaginare l’effetto che fa su una gioventù poco cinica come quella araba musulmana, una vicenda da principessa-rapita del genere.

Aggiungiamo che i musulmani fanno in genere confusione tra “i cristiani” all’incirca come gli occidentali fanno confusione tra “i musulmani”.

Aggiungiamo che invece il numero di musulmani che conoscono lingue occidentali è infinitamente superiore al numero di occidentali che conoscono lingue orientali. E quindi hanno ben chiaro che ovunque in Occidente si dice che in nome della Civiltà Giudeo-Ateo-Cristiana, bisogna sconfiggere l’Islam.

Ergo, c’è una campagna mondiale cristiana per distruggere l’Islam, e il predicatore della Florida o il leghista di Bergamo sono uguali al negoziante copto sotto casa.

Così, alcuni mesi fa, in nome di Camelia, un gruppo estremista a Baghdad ha compiuto una  spaventosa strage in una chiesa di cristiani che non hanno mai avuto nulla a che fare con i Copti, anzi sono dottrinalmente agli antipodi.

Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in Egitto per la libertà di Camelia, che è diventata una causa come, alcuni decenni fa da noi, lo fu l’omicidio di Pinelli nella questura di Milano. Umm Usama presenta sul suo blog  la versione diffusa tra i musulmani: non è tanto importante se corrisponde fedelmente ai fatti, quanto sapere che è così che tanti musulmani pensano che siano andati i fatti.

Per una storia, purtroppo, si può uccidere, se dietro ci sono dietro le pressioni e le motivazioni sociali necessarie.

Speriamo che Camelia faccia meno morti di Elena.

Miguel Martinez
Fonte: www.kelebeklerblog.com/
Link: http://kelebeklerblog.com/2011/01/04/la-strage-dei-copti-ipazia-elena-dalessandria-e-la-globalizzazione-tenebrosa/
5.01.2011

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