DI JONATHAN COOK
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Jonathan Cook ha visto recentemente un rapporto pubblicato dal giudice Levy della Corte Suprema Israeliana, in cui si afferma che Israele non sta occupando di fatto i Territori Palestinesi, un passo verso l’ annessione formale di buona parte dalla West Bank – il 62% di territori Palestinesi occupati vengono chiamati “Area C” negli accordi di Oslo.
Cosa si cela realmente dietro il rapporto che nega l’ occupazione israeliana ?
Il recente rapporto di un giudice israeliano conclude che Israele di fatto non sta occupando i territori Palestinesi – nonostante un chiaro consenso internazionale contrario – ha provocato in Israele e all’ estero per lo più incredulità o ilarità.
In Israele, per evidenziare l’ assurda conclusione del giudice Edmond Levy, siti web di sinistra usano in maniera comica foto con didascalie, una di queste mostra un soldato israeliano che preme la canna del fucile sulla fronte di un palestinese inchiodato a terra e gli dice “Vedi – ti dicevo che non è un’ occupazione”.
Addirittura Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, la settimana scorsa sembrava un po’ frustrato dalla copertura. Aveva ricevuto il rapporto più di due settimane prima, ma pareva riluttante a renderlo pubblico.
In ogni caso sminuire il significato del rapporto Levy potrebbe risultare imprudente. Se Netanyahu è imbarazzato è solo per via della tempistica della pubblicazione del rapporto, piuttosto che per la sua sostanza.
Dopo tutto è stato proprio il primo ministro israeliano ad aver istituito ad inizio anno la commissione che avrebbe valutato la legittimità degli “avamposti” dei coloni ebraici, apparentemente non autorizzati dal governo, e che si sono estesi come piante selvatiche in tutta la West Bank.
Ha scelto personalmente i suoi tre membri, tutti estremi sostenitori degli insediamenti, ed ha ricevuto il verdetto aspettato: gli insediamenti sono legali. Era chiaro che la decisione di Levy non sarebbe stata una sorpresa, nel 2005 fu l’ unico giudice della Corte Suprema ad opporsi alla decisione del governo di ritirare i coloni da Gaza.
Anche i commentatori giuridici sono stati troppo sbrigativi. Si sono concentrati più sulle dubbie ragioni di Levy piuttosto che sul significato politico.
Hanno fatto notare che Theodor Meron, consigliere giuridico del ministero degli esteri nel 1967, aveva espressamente avvisato il governo, sulla scia della guerra del 1967, che colonizzare i recenti territori conquistati sarebbe stata una violazione della Quarta Conferenza di Ginevra.
Esperti hanno sottolineato le difficoltà che Israele dovrà affrontare se adotterà le posizioni di Levy.
Annessione contro “bomba ad orologeria” demografica
Per il diritto internazionale il ruolo di Israele nella West Bank ed a Gaza viene considerato come “occupazione belligerante” e, quindi, le sue azioni dovrebbero essere giustificate solo da necessità militari. Se non c’ è nessuna occupazione, Israele non ha nessun motivo per tenere i territori sotto controllo militare. In quel caso Israele deve: o restituire la terra ai Palestinesi e rimuovere i coloni, o sfidare il diritto internazionale annettendo i territori, come fece in precedenza con la parte est di Gerusalemme, e fondare lo stato della Grande Israele.
Tuttavia l’ annessione porta i suoi pericoli. Israele dovrà offrire la cittadinanza ai Palestinesi ed aspettare che emerga una maggioranza non ebraica nella Grande Israele; oppure negare loro la cittadinanza e diventare uno stato reietto fondato sull’ apartheid.
Proprio tali preoccupazioni sono state sollevate il 15 luglio da 40 leader ebraici negli Stati Uniti, hanno invitato Netanyahu a rifiutare le “manovre legali” di Levy, le quali, dicono questi leader, minacciano “il futuro di uno stato ebraico democratico”.
Ma dal punto di vista di Israele si può, infatti, uscire da questo enigma.
In una intervista del 2003, un altro membro della commissione Levy, Alan Baker, un colono che ha fatto da consigliere per il Ministero degli Esteri per molti anni, ha spiegato l’ interpretazione eterodossa degli accordi di Oslo, firmati dieci anni fa, secondo Israele.
Gli accordi non erano, come la maggioranza presume, le basi per la creazione di uno stato Palestinese nei territori occupati, ma un percorso per stabilire la legittimità degli insediamenti. “Non siamo più una potenza occupante, siamo invece una presenza nei territori con il loro [dei Palestinesi] consenso e risultato dei negoziati”.
In questa prospettiva, gli accordi di Oslo hanno ridisegnato il 62% della West Bank assegnata al controllo di Israele – la così detta Area C – da territorio “occupato” a “conteso”. Questo spiega perchè qualsiasi amministrazione israeliana dalla metà degli anni 90 è stata indulgente con l’ orgia di costruzione di insediamenti.
Preparazione all’ annessione
Secondo Jeff Halper, capo dell’ Israeli Committee Against House Demolitions, il rapporto Levy stà preparando il terreno legale per l’ annessione dell’ Area C da parte di Israele. La sua preoccupazione è condivisa da molti.
Un recente rapporto dell’ Unione Europea ha usato un linguaggio senza precedenti per criticare Israele per il “trasferimento forzato” – modo diplomatico per dire pulizia etnica – dei Palestinesi fuori dall’ Area C nelle città della West Bank, caduta sotto il controllo palestinese.
L’ UE nota che il numero dei palestinesi nell’ Area C si è ridotto drasticamente sotto il controllo israeliano a meno di 150000, o non superiore il 6% della popolazione palestinese nella West Bank. I coloni ora superano i palestinesi per un rapporto di 2 a 1 nell’ Area C.
Israele potrebbe annettere circa due terzi della West Bank e continuare tranquillamente a concedere la cittadinanza ai palestinesi del posto. Sommando i 150000 ai già 1,5 milioni di cittadini palestinesi di Israele, un quinto della popolazione, non si eroderebbe il dominio della maggioranza ebraica.
Se Netanyahu sta esitando è solo perchè i tempi non sono ancora maturi. Ma durante il fine settimana ci sono indicazioni per le prossime mosse di Israele per rafforzare la stretta sull’ Area C.
È stato riportato che la polizia per l’ immigrazione israeliana, che dovrebbe tradizionalmente operare all’ interno d’ Israele, è stata autorizzata ad entrare nella West Bank ed espellere gli attivisti stranieri. Le nuove forze sono entrate in gioco lo stesso giorno in cui stranieri, tra cui un reporter del New York Times, sono stati arrestati durante una regolare manifestazione contro il muro di divisione costruito su territorio palestinese. Queste proteste sono le principali espressioni della resistenza contro l’ acquisizione di territori palestinesi nell’ Area C da parte di Israele.
E il 15 luglio è emerso che Israele ha iniziato una campagna contro l’ Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), un’ agenzia delle Nazioni Unite focalizzata sui danni subiti dai palestinesi per mano dell’ esercito israeliano e l’ attività d’ insediamento, per la gran parte nell’ Area C. Israele ha domandato dettagli su dove lavorassero i membri dello staff dell’ OCHA e quali fossero i loro progetti, in più minacciava di ritirare il visto ai collaboratori, a quanto pare nella speranza di limitare le sue attività nell’ Area C.
Nondimeno c’è un problema. Se Israele prende l’ Area C ci vorrà qualcun altro responsabile per il rimanente 38% della West Bank – poco più dell’ 8% della Palestina storica – per “riempire il vuoto”, usando le parole di commentatori israeliani delle ultime settimane.
Quisling palestinese
L’ ovvio candidato è l’ Autorità Palestinese (AP), il governo-in-attesa di Ramallah, guidato da Mahmoud Abbas. Le sue forze di polizia già agiscono come contractor per Israele, tenendo i palestinesi della West Bank fuori dall’ Area C. Inoltre, come destinatario di infiniti aiuti internazionali, la AP rimuove utilmente l’ onere finanziario dell’ occupazione da Israele.
Ma la debolezza dell’ Autorità Palestinese è evidente: ha perso credibilità con i palestinesi, è impotente nei forum internazionali, ed è impantanata in una crisi finanziaria. Nel lungo periodo sembra spacciata.
Per il momento però Israele sembra tenere la AP al suo posto. Ad esempio, il mese scorso è stato rilevato che Israele ha provato – anche se senza successo – a far fallire l’ AP richiedendo un prestito di 100 milioni di dollari dal Fondo Monetario Internazionale per conto dell’ AP.
Se l’ Autorità Palestinese rifiuta, o non riesce, a prendere possesso dei rimanenti frammenti della West Bank, Israele può semplicemente optare per rimandare indietro le lancette dell’ orologio e tornare ancora a coltivare leader locali isolati e deboli per ogni città palestinese.
La questione è se alla comunità internazionale verranno fatte ingoiare prima le assurde conclusioni di Levy.
Jonathan Cook
Fonte: www.redress.cc
Link: http://www.redress.cc/palestine/jcook20120719
19.07.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di REIO